volantini_dell_utri (1)Alle 12,09 del 29 marzo 2012, presso la Sala Bolaffi di via Manzoni 7 a Milano, il suono sordo del martelletto precede l’annuncio del battitore: «Aggiudicato a 17.000 euro».
Il lotto 243 dell’asta promossa dalla casa di collezionismo Bolaffi – 17 volantini ciclostilati delle Brigate rosse – base d’asta 1.500 euro, è stato conteso tra un ragazzo presente nella sala stipatissima di curiosi e giornalisti, da un anonimo via internet e telefonicamente, attraverso la sua segretaria, da Marcello Dell’Utri. Proprio il senatore del Pdl, a nome della fondazione Biblioteca di via Senato a Milano, si è aggiudicato i documenti brigatisti risalenti al periodo 1974-1978.
Tra di essi anche il drammatico comunicato n. 6 del 15 aprile 1978 col quale le Brigate rosse annunciavano la condanna a morte del loro prigioniero Aldo Moro. L’esecuzione del presidente della Democrazia cristiana avvenne poi, come sappiamo, il 9 maggio successivo.
Non appena si è diffusa la notizia, il 19 marzo 2012, della messa all’asta di questi reperti brigatisti, sono esplose le polemiche. Familiari di vittime del terrorismo, politici, giornalisti hanno vivacemente contestato l’asta, denunciando lo squallore di un simile mercato.
Ecco qualche estratto dalle cronache giornalistiche del giorno successivo all’annuncio dell’asta. «Chi è attorno ai cinquanta ha ancora sulla pelle quegli anni, nel naso il tanfo dei lacrimogeni, nelle orecchie le esplosioni delle molotov, negli occhi il buio di città cupe e terrorizzate. Noi c’eravamo. E a maggior ragione, c’erano le mogli e i figli di chi cadde in quella stagione. Non è come vendere gli orecchini di Maradona o il reggiseno di Madonna, non riusciamo a immaginare un gioco al rilancio su carte ancora intrise di lacrime» (Goffredo Buccini, L’asta senza pietà del volantini Br, ma il dolore non è merce in vendita, Corriere della Sera, 20 marzo 2012). «[…] tutti devono sapere che dietro ognuno di quelli [i volantini] ci sono tuttora vedove, figli, parenti, amici. C’è quel rituale del dolore che ancora  fa  lacrimare. […] La memoria che sanguina, per sublimarsi in documento della Storia, ha bisogno di qualche anno in più. Buttarlo così in pasto ai feticisti dell’autografo non è illegale ma a noi sembra ancora inopportuno» (Cesare Martinetti, Troppo presto è una scelta inopportuna, La Stampa, 20 marzo 2012).

Abbiamo cercato di capire di quali documenti brigatisti si trattava. Nel catalogo dell’asta, alla pagina 47 del volume Libri antichi e autografi – Asta Bolaffi Ambassador, Milano 29 marzo 2012 – Lotto 243 Brigate Rosse – si legge: «Insieme di 17 copie coeve di comunicati del 1974 e del 1978 delle Brigate Rosse […] Questi volantini erano ciclostilati clandestinamente e distribuiti solitamente davanti alle fabbriche o alle manifestazioni politiche per far propaganda».

Ci siamo chiesti, limitandoci al “reperto” più significativo dei 17, ossia il comunicato n. 6 del 15 aprile 1978, se la «copia coeva» messa all’asta facesse parte davvero dell’esiguo numero di esemplari diffuso quel lontano giorno di primavera di 34 anni fa. Quel sabato sera, con un giro di telefonate a redazioni di giornali ed agenzie, le Brigate rosse fecero ritrovare quattro copie di quel comunicato a Roma (due furono recuperate da un giornalista del Messaggero alla fine del traforo, verso via Nazionale; altre due furono trovate da un redattore di Radio Onda Rossa in via dei Volsci, angolo piazza dei Sanniti); due copie furono rinvenute a Genova (lungo la scalinata che unisce borgo Incrociati e corso Monte Grappa); altre copie furono trovate a Torino (da un redattore dell’Ansa, in via Brusca) e a Milano (da un redattore del quotidiano la Repubblica, in via dell’Annunciata).
Confrontando l’esemplare del comunicato n. 6, rinvenuto a Roma dal giornalista del Messaggero (riprodotto negli atti della Commissione parlamentare Moro, vol. 30, 1988, pp. 733-734), con quella messa all’asta da Bolaffi ci siamo resi conto facilmente che quest’ultima è una copia ribattuta rispetto all’originale reso noto il 15 aprile 1978. Basta uno sguardo per notare le differenze: già l’intestazione dei due ciclostilati è leggermente diversa: ad esempio la forma delle lettere maiuscole “G” e “A” della parola “BRIGATE”, che precede la stella a cinque punte, e le due “S” della parola “ROSSE”, entrambe incise a mano nella matrice utilizzata per stampare i ciclostilati. È del tutto evidente poi che chi ha ribattuto il comunicato usava una macchina da scrivere – e soprattutto una “font” – diversa rispetto al carattere “corsivo” della testina rotante della IBM elettrica utilizzato per il comunicato originale. La copia ribattuta presenta inoltre un numero di righe diverso nelle due facciate (53 e 23) rispetto all’originale (65 e 18). Alla fine della prima riga di testo della copia ribattuta si nota anche una mancata spaziatura tra due parole: «annidi». Pure la “firma” finale del comunicato non è conforme con l’originale: «Per il comunismo» è scritto con la “c” minuscola invece che maiuscola.

Si evince pertanto da questa semplice analisi comparata che la copia del comunicato n. 6, che si è aggiudicata il senatore Dell’Utri, ha ben scarso valore “storico” limitandosi ad attestare il “lavorio” dei volonterosi dattilografi-copisti, gravitanti in quell’area grigia dei fiancheggiatori delle Brigate rosse, che riproducevano e diffondevano nelle fabbriche, nei quartieri popolari, nelle università le tragiche cronache insanguinate della “ditta madre”.

Nelle arroventate polemiche che hanno circondato questa vicenda, si sono levate molte voci che lamentavano il mancato intervento delle istituzioni della Repubblica che avrebbero dovuto muoversi in tempo per acquisire (o impedire la vendita a privati) dei 17 reperti brigatisti. Rappresentativo di questo atteggiamento è l’articolo di Francesco Merlo, estremamente polemico verso «uno Stato che, per colpevole distrazione, permette le scorrerie dei pataccari come lui [Dell’Utri]*. È infatti la sempre più proverbiale ignavia del ministero dei Beni culturali che ha consentito l’incursione di Dell’Utri nell’asta di Bolaffi. L’assenza dello Stato ha trasformato Dell’Utri da bibliofilo a biBRiofilo, vale a dire, nientemeno, in storico delle Brigate rosse» (Le patacche di Dell’Utri e i volantini delle Br, la Repubblica, 30 marzo 2012).
Chiamato direttamente in causa, il ministero per i Beni e le attività culturali ha risposto a Merlo tramite Rossana Rummo, direttore generale della Direzione generale per gli archivi, la quale ha precisato che dalla verifica sui reperti messi all’asta è emerso «che si trattava esclusivamente di documentazione “seriale”, fotocopie e/o ciclostilati, tali da non poter essere dichiarati “di interesse culturale”, requisito essenziale per imporre il vincolo ed esercitare eventualmente il diritto di prelazione» (Volantini Br, il ministero aveva fatto le verifiche, la Repubblica, 31 marzo 2012; con risposta di Francesco Merlo).

In questo caso il comportamento delle pubbliche istituzioni è stato saggio. La risposta del ministero metterà probabilmente fine alle discussioni su questa vicenda, dal momento che gli “originali” dei documenti brigatisti, come ha aggiunto Rossana Rummo, «si trovano tutti presso l’archivio della Corte di Assise di Roma».

Molto rumor per nulla, si potrebbe concludere

Riteniamo tuttavia che l’inatteso clamore per gli scritti delle Brigate rosse andati all’asta potrebbe, almeno in prospettiva, avviare una nuova fase di studi, finora in parte mancati. Non si tratta – ovviamente – di equiparare la memoria dei carnefici e delle vittime: Aldo Moro e gli uomini della sua scorta (e tutti coloro che sono stati uccisi o feriti dalle Brigate rosse). In questo contesto ci pare appropriato discutere dell’opportunità di trasferire tutti gli originali superstiti dei comunicati delle Brigate rosse – diffusi durante i 55 giorni del sequestro di Moro – all’Archivio Centrale dello Stato, che ha già meritoriamente accolto e restaurato, lo scorso anno (in anticipo sui tempi stabiliti dalla legge), gli autografi sopravvissuti delle lettere di Moro dalla prigionia brigatista.
Solo lo studio comparato degli scritti dei due protagonisti principali di quei tragici giorni – Aldo Moro e le Brigate rosse – potrà riconfigurare in un ambito più strettamente storico-filologico la vicenda più drammatica della storia della cosiddetta prima Repubblica, in parte ancora prigioniera dei paradigmi storiografici della guerra fredda.

I tempi ormai sembrano maturi, come dimostrano le amare riflessioni, a oltre tre decenni di distanza dal 1978, dell’ignoto estensore di queste considerazioni sul quotidiano La Stampa: «Allora li dicevamo proclami “farneticanti” [i comunicati delle Br], ma non lo erano affatto. Dietro ogni nome tra i tanti che vengono indicati in quei diciassette volantini come “nemici del popolo” c’è del dolore vivo. Non erano farneticazioni, ma un lucido e disumano piano di destabilizzazione della nostra società e dello Stato repubblicano che si è attuato attraverso la destabilizzazione della vita dei lavoratori, esseri umani colpiti alle spalle, indifesi» (Asta volantini Br. Specchio dei tempi non accetta l’offerta, La Stampa, 31 marzo 2012).

* La definizione di “pataccaro” affibbiata da Merlo a Dell’Utri deriva dalla vicenda dei cosiddetti “Diari di Mussolini”, acquistati nel 2010 dal senatore del Pdl e in corso di pubblicazione per Bompiani. Veri o tarocchi? Su questa domanda si sono sviluppate vivaci polemiche e numerose contestazioni durante presentazioni pubbliche.

Gabriele Paradisi