Copertina_cutAlle 18:23 del 7 Gennaio 1978 in via Acca Larentia nel quartiere Tuscolano di Roma, 5 militanti del Fronte della Gioventù escono dalla sede del Movimento Sociale Italiano per un volantinaggio. È in programma un concerto degli “Amici Del Vento”, un gruppo di Musica Alternativa.

Un commando sbucato all’improvviso fa fuoco sui cinque ragazzi. Il 20enne Franco Bigonzetti viene ucciso sul colpo; resta ferito ad un braccio Vincenzo Segneri che riusce a barricarsi nella sede del partito insieme a Maurizio Lupini e Giuseppe D’Audino. Il 18enne Francesco Ciavatta viene invece colpito e tenta la fuga verso la scalinata situata a lato della sezione, ma inseguito, viene colpito nuovamente alla schiena. Morirà in ambulanza durante il trasporto in ospedale. La notizia ben presto si diffonde e sul luogo dell’eccidio si radunano molti attivisti missini romani. Un giornalista getta, si disse intenzionalmente, un mozzicone di sigaretta sulla macchia di sangue davanti alla sezione. È il gesto che scatena la rabbia dei militanti. Iniziano violenti scontri con le forze dell’ordine, durante i quali il Capitano dei Carabinieri Edoardo Sivoni sparando ad altezza uomo colpisce in piena fronte il chitarrista del gruppo di Musica Alternativa “Janus” Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio che muore 2 giorni dopo in ospedale. Il raid alla sede dell’Msi di Acca Larentia venne rivendicato dai Nuclei Armati di Contropotere Territoriale (Narc) con un comunicato che recitava:

« Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga».

Ha inizio quella sera una lunga scia di morte, di vendette alla cieca e di suicidi senza fine. Come quello del padre di Ciavatta che qualche mese dopo si uccise per la disperazione.

Per circa 10 anni le indagini non approdarono a nulla. Nel 1988 si scoprì che la mitraglietta Skorpion usata nell’azione venne usata successivamente anche in altri tre omicidi firmati dalle Brigate Rosse: quello dell’economista Ezio Tarantelli (Roma, 27 marzo 1985), dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti (10 febbraio 1986) e del senatore Roberto Ruffilli (Forlì, 16 aprile 1988). Le indagini si indirizzarono verso ex esponenti di Lotta Continua. Furono accusati: Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari, Francesco de Martiis e Daniela Dolce. Tranne quest’ultima, che si dette alla latitanza, gli altri ex militanti vennero arrestati. Mario Scrocca si tolse la vita in cella il giorno dopo essere stato interrogato dai giudici. Gli altri tre imputati, verranno assolti in primo grado per insufficienza di prove. La tragica vicenda ebbe una coda anche un anno dopo. Il 10 Gennaio 1979, in occasione delle manifestazioni per il primo anniversario della strage, scoppiarono tumulti durante i quali un agente di polizia in borghese, Alessio Speranza, sparò e uccise il 17enne Alberto Giaquinto. L’agente fu prosciolto dall’accusa di omicidio.

Valerio Cutonilli è autore, insieme a Luca Valentinotti, di un interessante libro-inchiesta dedicato alla vicenda (Acca Larentia, quello che non è stato mai detto, edizioni trecento, pp. 200). In quest’intervista Cutonilli ci presenta l’opera in anteprima.

D: L’eccidio di via Acca Larenzia costituisce uno degli episodi più gravi degli anni di piombo. Ma anche uno dei meno conosciuti. Come spieghi questo paradosso?

R: Credo che, per molto tempo, abbia pesato in negativo il fattore politico. La collocazione ideologica delle vittime ha portato a sminuire la portata dell’evento. A mio avviso si tratta di un approccio miope, non certo l’unico palesato dalla ricerca storica dedicata agli anni del terrorismo. La strage del Tuscolano (ndr il quartiere romano dov’era sita la sezione del Movimento sociale italiano), infatti, rappresenta una pagina importante della storia italiana più recente. Basti riflettere sul fatto che anticipa di soli due mesi l’agguato brigatista di via Fani. Esso dunque si consuma in un momento molto particolare per Roma. In quelle settimane la capitale appare fortemente destabilizzata. Somiglia quasi a Belfast e non credo che l’affinità sia casuale. L’attacco mortale ai giovani missini è l’annuncio, rimasto purtroppo inascoltato, di un 1978 davvero terribile.

D: Non si tratterebbe, quindi, dell’ennesimo caso di terrorismo diffuso?

R: Secondo una tesi “riduzionista”, largamente predominante sinora, l’eccidio di via Acca Larenzia è solo una delle tante azioni violente degli anni di piombo. L’ennesima pagina infausta dello scontro folle, ma occasionale, tra rossi e neri. Ritengo, invece, che andrebbe verificata un’ipotesi di lavoro più complessa. Occorre chiedersi se c’è un filo, neppure troppo sottile, che unisce i vari attentati commessi nella capitale in danno di giovani di destra. Dal rogo di Primavalle, appiccato nel 1973, sino alla strage del Tuscolano.

D: L’eccidio di via Acca Larenzia venne rivendicato?

R: I Nuclei armati per il contropotere territoriale rivendicarono l’agguato. La sigla dei Nact, almeno nella capitale, era apparsa in precedenza in una sola occasione. Un piccolo attentato incendiario contro una sezione di periferia della Dc. Dopo di che scomparve nel nulla. Anche qui bisogna chiedersi come si possa conciliare la gravità dell’azione con una formazione eversiva dalla durata così effimera. Tutto porta a credere, in realtà, che dietro quella sigla abbia operato una struttura terroristica già consolidata. Una struttura che all’epoca faceva ricorso a molteplici sigle, sia per confondere le acque sia per trasmettere l’immagine di un’area della lotta armata eccezionalmente vasta.

D: Una tesi di questo tipo, se confermata, consentirebbe nuove chiavi di lettura sul terrorismo di sinistra. Ma vi sono sul serio elementi che potrebbero corroborarla?

R: A mio avviso sono numerosi. E proprio le azioni di retroguardia, come sicuramente deve considerarsi la strage di via Acca Larenzia, aiutano a comprendere certi meccanismi. Credo che a molti continui a sfuggire la complessità dell’eversione di sinistra negli anni settanta. Rosario Priore, il maggior esperto italiano in materia di terrorismo, ha spiegato come le formazioni dell’epoca fossero sviluppate su più livelli. Il grado di riservatezza aumentava nei livelli più alti. Le relazioni internazionali, non a caso, operavano solo su questo piano. Molte organizzazioni, o meglio ancora sigle, sembravano distanti se non addirittura in contrapposizione tra loro. E invece trovavano nella subordinazione a questi livelli più alti il loro tratto unificante. Senza che, peraltro, la stragrande maggioranza dei militanti se ne potesse accorgere.

D: L’eccidio di via Acca Larenzia rappresenta anche una tappa fondamentale per il terrorismo nero…

R: Non v’è dubbio. La sera del 7 gennaio 1978 rappresentò un momento critico per le nuove generazioni dell’estrema destra. Ritengo che essa operò come un detonatore. Nel senso che non ha trasformato certo degli angeli in demoni. La prassi omicidiaria era già presente a Roma da tempo. Le azioni mortali contro i neri erano cominciate nel 1973. E il gruppo che sarà poi conosciuto con il nome dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari) aveva già commesso l’omicidio di Walter Rossi. Il terrorismo quindi era un’opzione che già stava seducendo una parte delle nuove leve della destra. Tuttavia, l’eccidio di via Acca Larenzia produsse un’accelerazione spaventosa in questo processo di radicalizzazione dello scontro. La dinamica di quel 7 gennaio 1978 sembra avere quasi una valenza simbolica. Gli omicidi di Bigonzetti e Ciavatta per mano dell’ultrasinistra, quello di Recchioni ad opera delle forze dell’ordine. Quella notte i giovani neofascisti si convinsero di vivere una situazione di accerchiamento totale. Una parte di loro decise di reagire imboccando, in modo ormai irrimediabile, la strada della lotta armata. Mi riferisco, in particolare, al gruppo in cui agiscono Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Nelle settimane successive, non a caso, iniziarono le rapine e gli omicidi preordinati.

D: Escludi quindi che i Nar siano stati la longa manus di Licio Gelli?

R: Credo che l’ostinazione con cui si sia tentato, anche in talune sedi giudiziarie, di accreditare questa tesi, abbia nuociuto non poco alla ricerca della verità. Il gruppo di Fioravanti era cresciuto nei quartieri della capitale saturi d’odio, respirò la stessa violenza di cui fu portatore. Il primo omicidio deliberato, quello del ragazzo di sinistra Roberto Scialabba, rappresentò la vendetta proprio per i fatti di via Acca Larenzia. Una vendetta consumata alla cieca contro un compagno. L’omicidio Scialabba venne commesso neppure due mesi dopo l’azione dei Nact. Con il tempo però l’obiettivo del terrore nero si spostò sui rappresentanti delle istituzioni, indicati come i responsabili della guerra civile in corso. Ritengo che i Nar non siano un prodotto di laboratorio. Essi costituiscono piuttosto il frutto terribile di una pianta avvelenata. Questo non assolve nessuno né può giustificare nulla. Ma è un passaggio che dobbiamo comprendere, per evitare che in futuro si ripetano aberrazioni simili. A mio avviso, esiste solo un modo per impedire la rinascita di un fenomeno terroristico: capire in che modo e per quale precisa ragione è potuto sorgere.

D: Il vostro libro costituisce il punto d’arrivo di una ricerca piuttosto lunga; contiene anche delle informazioni inedite?

R: Lo studio effettuato negli archivi storici del Tribunale di Roma ha prodotto i suoi frutti. Ad esempio, abbiamo scoperto un particolare riguardo la pistola mitragliatrice Skorpion, usata nell’agguato, che ha quasi dell’incredibile. Ma gli elementi sconosciuti all’opinione pubblica sono molteplici e tutti di obiettiva rilevanza. Dalle informative della Questura di Roma inviate all’epoca all’ufficio istruzione, al memoriale di un noto brigatista che sull’eccidio di Acca Larentia ha raccontato particolari piuttosto circostanziali. Solo che nessuno ce lo hai detto.