via_faniPremessa: da Zappolino al territorio di Gradoli nel viterbese (2-6 aprile 1978)

Giovedì 6 aprile 1978: sono trascorsi 22 giorni dalla strage di via Fani e dal sequestro di Aldo Moro. Apparentemente è un giorno che trascorre senza avvenimenti particolarmente eclatanti. Solo molto tempo dopo quella data, e nel corso di molti anni, si verrà a sapere che in quel giorno si conclude una sequenza di avvenimenti che avevano preso avvio la precedente domenica 2 aprile. Ci riferiamo alla vicenda della “seduta spiritica” che per le unanimi dichiarazioni delle dodici persone che vi parteciparono, ribadite di fronte all’autorità giudiziaria e a due commissioni parlamentari nel corso di un ventennio, tra il 1978 e il 1998, si svolse a Zappolino, una località situata a una trentina di chilometri da Bologna. Da quanto riferito dai partecipanti, che in quella circostanza evocarono gli spiriti di Giorgio La Pira e don Luigi Sturzo, ad un certo momento della “seduta” emerse la parola “Gradoli”, insieme con “Bolsena” e “Viterbo”. Quella parola fu intesa come un luogo dove le Brigate rosse avrebbero potuto tenere prigioniero Aldo Moro. Il nulla di fatto seguito a quella “rivelazione” avrebbe fatto presto dimenticare questo episodio che sarebbe finito rapidamente nell’oblio.

Ma il 18 aprile 1978, a Roma in via Gradoli al numero civico 96, venne scoperta, a causa di un allagamento, un’importantissima base delle Brigate rosse nella quale abitavano Mario Moretti (alias “Mario Borghi”) e Barbara Balzerani, che però sfuggirono alla cattura.

Questo fatto, con le peculiari modalità dell’emersione dell’informazione su “Gradoli” e la notorietà assunta da alcune delle persone partecipanti a quella “seduta”, in particolare i professori universitari Romano Prodi, Alberto Clò e Mario Baldassarri, che ricoprirono poi rilevanti incarichi politici, nel caso di Prodi fino alla presidenza del Consiglio e della Commissione Europea, hanno reso quella vicenda un episodio costantemente ricordato nella voluminosa storiografia sul caso Moro. In uno dei numerosi lavori pubblicati nella primavera dello scorso anno, trentennale della tragica vicenda (F. Imposimato e S. Provvisionato, “Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il giudice dell’inchiesta racconta”, Chiarelettere, Milano 2008, pp. 249-253), l’episodio di “Gradoli” e della “seduta spiritica” è annoverato tra le “occasioni mancate” (titolo di un capitolo di quel libro), occasioni che non portarono alla individuazione della “prigione” dove era detenuto Moro.

Nel quarto di secolo trascorso dalla pubblicazione della Relazione di maggioranza della Commissione Moro (giugno 1983) non sono emerse rilevanti novità sulla sequenza di eventi che si susseguirono tra il 2 e il 6 aprile 1978. Inoltre, per quanto nei tredici anni successivi al 1983 siano stati resi pubblici (in ben 130 volumi) tutti gli atti accumulati dalla stessa Commissione Moro, compresi naturalmente quelli utilizzati dalla Commissione stessa per ricostruire l’episodio di “Gradoli”, in parte della imponente storiografia sul caso Moro quella successione di eventi ha subito una sorta di metamorfosi che ha finito per rendere ancora più oscuro di quanto non lo fosse già di suo, questo piccolo tassello del gigantesco mosaico legato al sequestro dell’uomo politico democristiano.

In questo scritto non ripercorriamo in dettaglio tutta la vicenda, ma ci focalizziamo solo sull’evento conclusivo, ossia su quel che avvenne realmente nel territorio del comune di Gradoli il 6 aprile 1978.

Ricordiamo comunque in estrema sintesi le tappe del “viaggio” compiuto dalla “rivelazione” scaturita dalla “seduta spiritica” tra i giorni 2 e 5 aprile 1978:

– domenica 2 aprile 1978: Zappolino (Bologna), casolare di campagna del prof. Alberto Clò; “seduta spiritica” alla quale partecipano 12 persone, tra le quali i prof. Romano Prodi e Mario Baldassarri, in presenza di 5 bambini; emerge l’indicazione di “Gradoli” (in provincia di Viterbo) quale possibile luogo di detenzione di Aldo Moro, sequestrato il 16 marzo 1978 in via Fani;

– lunedì 3 aprile 1978: Bologna, facoltà di Scienze politiche, la “notizia” è fatta conoscere da Prodi ai colleghi docenti in attesa di partecipare al consiglio di facoltà, tra questi vi è il prof. Augusto Balloni;

– martedì 4aprile 1978: Roma, nei pressi della sede della Democrazia cristiana in piazza del Gesù, Prodi, a Roma per un convegno, incontra Umberto Cavina, dirigente dell’ufficio stampa della Dc, al quale comunica l’”informazione” riguardante “Gradoli” (si veda sotto);

– mercoledì 5aprile 1978: Roma, ministero dell’Interno, Luigi Zanda, addetto al gabinetto del ministro dell’Interno Francesco Cossiga, ricevuta per telefono la comunicazione di Cavina, stende un appunto manoscritto, e comunica a voce l’informazione alla Direzione generale di pubblica sicurezza (al capo della Polizia Giuseppe Parlato fa poi pervenire lo stesso appunto manoscritto) (si veda sotto).

Per una ricostruzione dettagliata si veda anche la sezione dal titolo “La seduta spiritica”, nel volume di Vladimiro Satta, “Odissea nel caso Moro”, Edup, Roma 2003, pp. 263-270 e le note alle pp. 294-297.

Lo spunto per cercare di chiarire gli eventi del 6 aprile 1978 ce lo offre un libro pubblicato alcune settimane fa, all’inizio del mese di marzo 2009, che ci dà inoltre la possibilità di presentare qui, per la prima volta, una nostra piccola scoperta. La nostra, pur essendo una modesta scoperta, rappresenta pur sempre una novità. Infatti, almeno per quanto ci risulta, nella pur voluminosa storiografia del caso Moro, le notizie che abbiamo reperito pare non siano mai state utilizzate. Le nuove informazioni che abbiamo raccolto non provengono da fonti “riservate”, da qualche polveroso archivio, o da qualche documento rimasto inaccessibile e desecretato recentemente, provengono molto semplicemente dalla consultazione di alcuni quotidiani risalenti a quei terribili e drammatici 55 giorni. La cosa può sembrare effettivamente sorprendente e destare meraviglia se si pensa alla sbalorditiva e quasi inquantificabile quantità di carte che sono state prodotte nel corso dei 31 anni trascorsi da quella tragica primavera del 1978. Ciò dimostra che anche le “fonti” apparentemente più banali, come possono sembrare i giornali, sono in grado di riservare delle sorprese.

Verità e finzioni sul 6 aprile 1978 negli “Anni di piombo” di Baldoni e Provvisionato (2009)

Fatta questa premessa, passiamo ad esaminare quanto scrivono Adalberto Baldoni e Sandro Provvisionato nel libro al quale accennavamo poco sopra, vale a dire “Anni di piombo. Sinistra e destra: estremismi, lotta armata e menzogne di Stato dal Sessantotto a oggi” (Sperling & Kupfer, marzo 2009) un voluminoso tomo di oltre 750 pagine. Il capitolo 10 (pp. 323-375) è interamente dedicato al “caso Moro”.

Abbiamo scelto di analizzare un frammento di questo libro non per spirito polemico nei confronti degli autori, ma perché sull’episodio di “Gradoli” questo volume esemplifica bene una situazione: ossia che le buone intenzioni, ossia il tentativo di rovesciare una qualche “falsa verità” possono portare, a volte, paradossalmente, a costruire delle nuove “leggende metropolitane”.

Si legge a p. 336 di quel volume a proposito dell’esito finale della “seduta spiritica”: “La ricerca da parte degli inquirenti non si indirizzò, però, verso via Gradoli, e neppure, come si è sempre creduto, verso il paesino di Gradoli, in provincia di Viterbo, [nota 19] che in realtà il 6 aprile 1978 non fu affatto letteralmente occupato manu militari come si è sempre sostenuto e come la tv di Stato mostrò attraverso immagini di repertorio”.

Un esempio del “come si è sempre sostenuto” lo possiamo ritrovare, curiosamente, anche nel precedente libro scritto dallo stesso Provvisionato insieme al magistrato Ferdinando Imposimato (”Doveva morire”, Chiarelettere, Milano febbraio 2008), dove alla p. 250 si trova scritto: “La polizia, il 6 aprile 1978, frugherà alla disperata, con grande dispiego di forze e sfondamento di porte, le case, le cantine, perfino le grotte del piccolo paese di Gradoli, in provincia di Viterbo”.

E nella nota 19 della stessa pagina 336 leggiamo: “Il regista Carlo Infanti, nel suo film Moro, la verità negata del 2008, ha intervistato tutti i componenti del consiglio comunale del paese di Gradoli (Viterbo) in carica all’epoca del sequestro Moro, sindaco e assessori compresi. Nel film gli stessi riferiscono che mai forze di polizia si recarono a Gradoli e tanto meno alla ricerca di qualche vittima di rapimento”.


Carlo Infanti con le sue interviste ai componenti della giunta comunale di Gradoli ha in effetti portato uno dei pochi nuovi contributi chiarificatori su questa vicenda. Dal libro di Manlio Castronuovo, “Vuoto a perdere. Le Brigate Rosse, il rapimento, il processo e l’uccisione di Aldo Moro”, edizione riveduta e ampliata, BESA, Nardò 2008, pp. 308-309 trascriviamo la testimonianza del vice sindaco di Gradoli in carica nel 1978, tratta dal film di Infanti: “«l’unica cosa che si vide furono due posti di blocco nei due bivi di ingresso nel paese. Ma dentro Gradoli non vi fu nessuna ispezione, né perquisizione. Niente. Le uniche cose che abbiamo saputo, in seguito, è che perquisizioni furono fatte in alcune grotte nelle vicinanze del paese e in casali abbandonati nella campagna, noi non sapevamo niente. Quello che poi è stato fatto successivamente vedere, anche in alcuni film di perquisizioni all’interno del paese sono cose tutte completamente false: non esistono […] Quella sera vennero da me due corrispondenti locali del “Messaggero”, dell’”Avanti” e dell’”Unità” e mi dissero che in paese si diceva vi fosse Aldo Moro. Ricordo che gli dissi che qui Moro non c’era. Neanche loro, il giorno dopo scrissero una riga sulla questione pur essendo venuti a controllare di persona»”.

Occorre però puntualizzare che il testo di Baldoni e Provvisionato, non fornendo ulteriori precisazioni, suggerisce nel lettore l’idea, come precisato poco dopo, che il 6 aprile non ci sia stata alcuna operazione di ricerca neppure nel circostante territorio del comune di Gradoli.

Qui possiamo renderci conto di un grave limite che una parte della storiografia sul caso Moro esibisce su questo episodio (e temiamo anche su altre tessere dell’intricato mosaico): ossia l’uso parziale e selettivo o anche il non utilizzo della documentazione fondamentale già pubblica da molti anni a questa parte e ampiamente nota.

Baldoni e Provvisionato continuano poi avvitandosi in una bizzarra considerazione: “Nonostante la mai avvenuta operazione di polizia avesse avuto risalto sui giornali e nei telegiornali, Moretti – che in via Gradoli viveva con Barbara Balzerani – rimase per altri dodici giorni in quel covo da ritenersi a rischio. Come mai i due brigatisti erano tanto tranquilli? Non era forse ipotizzabile che una battuta di polizia nel paese di Gradoli (che non fosse mai avvenuta Moretti non poteva saperlo) si sarebbe potuta spostare, in seguito, proprio in via Gradoli?”.

Ma come hanno fatto i giornali e i telegiornali a dare risalto ad una “operazione di polizia” che gli autori dichiarano”mai avvenuta”? Hanno compiuto un gigantesco falso mediatico? Come ci sono riusciti? E per quale motivo? In realtà la cosa è più semplice: l’operazione di polizia ci fu davvero (più avanti spieghiamo esattamente dove) ma telegiornali e giornali la ignorarono del tutto, almeno nei giorni del 6 e 7 aprile e in quelli immediatamente successivi. Ecco il motivo per cui Moretti e Balzerani rimasero nel covo di via Gradoli fino alla mattina del 18 aprile. Non avevano motivo di allarmarsi.

Eventi e documenti di “una giornata particolare”

Già consultando la Relazione di maggioranza della Commissione Moro (giugno 1983) ci si poteva rendere conto che le nuove informazioni fornite nel film del regista Carlo Infanti non erano in contraddizione con quanto si può leggere in quella stessa relazione (p. 39 = p. 109 del libro “Dossier delitto Moro”, a cura di Sergio Flamigni, Kaos maggio 2007, che alle pp. 57-313 ripubblica appunto la Relazione di maggioranza della Commissione Moro):

Il nome Gradoli venne di nuovo in evidenza il 6 aprile, ma non come strada urbana di Roma, bensì come paese, allorché vennero controllate, ad opera della Questura di Viterbo, alcune case coloniche nel comune di Gradoli, vicino al lago di Bolsena”.

Ben difficilmente si possono trovare delle “case coloniche” all’interno di un paese, qualunque esso sia. Tuttavia, al termine della ricostruzione dell’episodio di “Gradoli”, alla pagina 43 (= p. 114, ed. Flamigni) della stessa Relazione di maggioranza, si poteva leggere un’affermazione in contrasto con la precedente, che poteva essere fonte di ambiguità e incertezza:

Da ultimo non può non rilevarsi che a Gradoli paese, dopo la segnalazione conseguente alla “seduta spiritica”, l’ispezione fu compiuta da uomini della Questura di Viterbo il 6 aprile”.

Per dissipare queste ambiguità è necessario consultare la documentazione di base utilizzata e parzialmente citata nella stessa Relazione di maggioranza.

Si tratta di due soli documenti (non presi in considerazione da Baldoni e Provvisionato, e neppure nel precedente volume di Imposimato e Provvisionato), resi pubblici negli atti della Commissione Moro nel 1988 (nel vol. XXVII, p. 33 e p. 35). La fondamentale importanza di questi due testi consiste nel fatto che sono stati redatti il 5 e il 6 aprile 1978 e sono gli unici documenti agli atti della Commissione Moro scritti durante i 55 giorni del sequestro che riguardano la vicenda dell’informazione su “Gradoli” scaturita dalla “seduta spiritica”.

Per maggiore leggibilità trascriviamo integralmente i due testi. Gli originali si possono consultare nel sito internet del Senato della Repubblica

Il primo documento consiste nell’appunto manoscritto redatto da Luigi Zanda, addetto al gabinetto del ministro dell’Interno Francesco Cossiga, che recepisce le informazioni che gli comunica Umberto Cavina, dirigente dell’ufficio stampa della Dc, su due possibili ubicazioni della “prigione” in cui era sequestrato Aldo Moro. La prima riguarda un indirizzo di Milano, suggerito da fonte non identificata; la seconda concerne l’”informazione” scaturita dalla “seduta spiritica” del 2 aprile 1978, ed è quanto il prof. Romano Prodi aveva comunicato a Umberto Cavina il 4 aprile.

Il testo è datato “5/4/78″,ma da mano diversa da quella di Luigi Zanda, forse la stessa che ha vergato anche le due annotazioni che seguono i due appunti scritti da Zanda, il quale consegnò questo foglio alla Direzione generale di pubblica sicurezza, ossia al capo della Polizia Giuseppe Parlato. Altra diversa mano ha aggiunto la nota finale.

Il testo originale è tutto manoscritto.

5/4/78

Caro dottore,

ecco le indicazioni di cui s’è detto:

– CASA GIOVONI

VIA MONREALE 11, Scala D, int. 1

piano terreno – MILANO [altra mano] – ore 20 – Interessato telefonicamente

il Questore di Milano –

– lungo la statale 74, nel piccolo tratto in provincia di Viterbo, in località GRADOLI, casa isolata con cantina [altra mano] – ore 10 del 6-4-78 Interessato

il Questore di Viterbo che alle
ore 13 ha comunicato che il sopralluogo

ha dato esito negativo –

con molti saluti cordiali

Luigi Zanda

[altra mano]

18/4 ore 16,00 circa

inviata copia fotostatica

al dr. Zanda che ne ha fatta richiesta”

Il secondo documento, 6 aprile 1978, è una breve relazione scritta dal vice questore di Viterbo che comandò l’operazione di polizia e carabinieri (che Baldoni e Provvisionato, nel libro sopra citato, pretendono “mai avvenuta”) alla ricerca della “prigione” di Moro. Si tratta dell’anello terminale degli eventi messi in moto il 2 aprile. Da notare che in entrambi i documenti ricorre identica la stessa espressione “casa isolata con cantina”, che è quindi un nucleo fondamentale della notizia circolata in quei giorni.


Il testo originale è dattiloscritto.

AL SIG. QUESTORE

S E D E

^^^^^^^^^^^^

In relazione all’appunto verbalmente comunicatomi e relativo al controllo di non meglio indicata casa isolata con cantina in territorio del comune di Gradoli è stato oggi effettuato dalle ore 11,30 un accurato rastrellamento nella zona indicata ivi ispezionando varie case coloniche in stato di apparente abbandono con le relative dipendenze, nonché grotte e ripari naturali.-

Non è stato riscontrato alcun elemento sospetto.-

Alla battuta hanno preso parte, agli ordini dello scrivente, personale dell’U[c]igos con un altro funzionario, il Tenente dei Carabinieri comandante la Tenenza di Tuscania e complessivamente n. 22 militari tra Guardie di P.S. e Carabinieri.-

Viterbo, 6 aprile 1978

IL VICE QUESTORE AGG. DI P.S.

(Dr. Fabrizio Arelli)”

La nostra “scoperta”

Abbiamo reperito quattro testate giornalistiche che riportano brevi notizie su quanto avvenne nel comune di Gradoli il 6 aprile 1978. Queste notizie furono pubblicate però il 22 e 23 aprile 1978 rispettivamente dall’”Unità”, dal “Messaggero”, dal “Resto del Carlino” e dalla “Repubblica”. Integrano e chiariscono la documentazione della Commissione Moro.

A nostro avviso l’importanza di queste notizie è duplice: di ordine geografico e cronologico. Da una parte emerge con precisione il luogo in cui avvenne “il rastrellamento” o “la battuta” o la “perquisizione” ossia “un’area di quattro chilometri quadrati, […] dalla località «Cantoniera di Latera» fino a un gruppo di casali isolati, a poca distanza dal paese” (Il Messaggero, 23 aprile 1978, p. 4), area situata a sud-ovest del paese di Gradoli, che quindi non venne effettivamente interessato da alcuna operazione di polizia. Dall’altra parte occorre notare la data di “emersione” di queste notizie, ossia i giorni 22 e 23 aprile 1978, vale a dire dopo la scoperta del covo brigatista di via Gradoli (la base principale della colonna romana delle Br, dove abitavano Mario Moretti – alias “Mario Borghi” – e Barbara Balzerani), avvenuta il precedente 18 aprile.

I testi delle quattro testate giornalistiche, che abbiamo trascritto qui di seguito, meritano alcuni ulteriori commenti e osservazioni.

Le notizie dei quattro quotidiani sono indipendenti le une dalle altre e paiono come “filtrate” da canali informativi non meglio esplicitati.

Il contesto è rappresentato ancora dagli strascichi della scoperta dell’importantissima base di via Gradoli, avvenuta solo quattro o cinque giorni prima. Ogni giornale apporta qualche prezioso frammento conoscitivo accanto ad alcuni errori o imprecisioni che cerchiamo di individuare.

  • – “l’Unità” è l’unico giornale che data con precisione (”il 6 aprile scorso”) le “perquisizioni” della polizia che vengono localizzate genericamente “nella zona di Gradoli”;

  • – “Il Messaggero”, vago nella cronologia (”nei giorni scorsi”) e impreciso nell’indicazione oraria del “rastrellamento” (”L’operazione era stata condotta nottetempo”, mentre in realtà era avvenuta intorno a mezzogiorno), è invece molto preciso nella localizzazione della perlustrazione (”un’area di quattro chilometri quadrati, […] dalla località «Cantoniera di Latera» fino a un gruppo di casali isolati, a poca distanza dal paese”);

  • – “la Repubblica” localizza invece la “vasta battuta” nel “paesino” di Gradoli;

  • – sia “l’Unità” sia “la Repubblica” rimandano alla Digos di Bologna come luogo d’origine dell’informazione riguardante “Gradoli”; un’informazione in parte errata poiché la Digos di Bologna smentì di aver mai ricevuto notizie su “Gradoli”; ma in parte veritiera perché era effettivamente a Bologna l’origine dell’informazione.

I testi pubblicati dai giornali il 22 e 23 aprile 1978 riguardanti il 6 aprile

l’Unità, 22 aprile 1978

Appunti scottanti nel covo BR?”, Sergio Criscuoli

p.3 […]

Tornando al «covo» di via Gradoli, da più parti è stata notata una singolare coincidenza. Un paio di settimane fa – precisamente il 6 aprile scorso – la polizia aveva compiuto numerose perquisizioni nella zona di Gradoli, un paese del Viterbese. Erano stati ispezionati casolari, grotte, cantine, anche abitazioni, ma senza risultati. Secondo una voce circolata ieri, sembra che quell’operazione fosse stata compiuta in base ad una segnalazione giunta al Viminale dalla Digos di Bologna. Se fosse vero, la cosa apparirebbe incredibile: perché non si pensò subito a via Gradoli, oltreché a Gradoli paese?

Il Messaggero, 23 aprile 1978, p. 4

Il «covo» è stato segnalato?

Perquisito un paese Si chiama Gradoli

Al covo di via Gradoli si è giunti attraverso una segnalazione? La tesi, già emersa nei giorni scorsi, si è rafforzata con un episodio di cui si è appreso nelle ultime ore: riguarda una battuta compiuta nei giorni scorsi in un paesino del Viterbese, con grande spiegamento di mezzi, ma senza risultati di rilievo. Era accaduto che la questura di Viterbo avesse ricevuto una segnalazione da Roma, anche se non dagli uffici della Digos. L’ordine, sulla base di segnalazioni non meglio specificate, era di rastrellare le campagne circostanti un paesino della provincia. L’operazione era stata condotta nottetempo: gli agenti avevano perlustrato un’area di quattro chilometri quadrati, spingendosi dalla località «Cantoniera di Latera» fino a un gruppo di casali isolati, a poca distanza dal paese. Ma l’aspetto più interessante sta proprio nel nome del piccolo centro: Gradoli, come la via del covo delle Br scoperto a Roma.

il Resto del Carlino, 23 aprile 1978

La famiglia cerca un intermediario”, Guido Paglia

p.1 – […]

p.2 – Le indagini […]

A proposito del «covo», si è saputo che già nove giorni fa era giunta alla polizia una segnalazione che indicava la via in cui le «Br» avevano ubicato quella che si è rivelata la «sala operativa» della «colonna» romana dell’organizzazione. Per un equivoco, però, le ricerche si spostarono nel Viterbese dove esiste un paese di nome Gradoli.

la Repubblica, 23 aprile 1978, p. 6

Si è appreso che in passato, nel corso dei quaranta giorni di indagini sul rapimento, gli uomini della Digos avevano ricevuto la segnalazione dai colleghi di Bologna di un «confidente» in seguito alla quale venne effettuata una vasta battuta in un paesino nei pressi di Viterbo. Nessun risultato. Si è poi saputo che il paesino era Gradoli. Lo stesso nome della strada nella quale, dopo una prima perquisizione a vuoto nello stesso palazzo in cui si trovava la base brigatista, è stato poi trovato, grazie all’ennesima «soffiata» il covo delle Br.

Una nuova ricostruzione degli eventi del 6 aprile 1978 nell’area di Gradoli

Combinando le informazioni contenute nei due documenti della Commissione Moro con quelle riportate dai giornali del 22 e 23 aprile 1978, si possono ricostruire nel modo seguente gli eventi accaduti nel territorio di Gradoli il precedente 6 aprile.

  • – alle ore 10 del 6 aprile 1978, a Roma, la Direzione generale di pubblica sicurezza, ossia la polizia diretta allora da Giuseppe Parlato, comunica al questore di Viterbo di cercare e controllare una “casa isolata con cantina”, lungo la strada statale 74 nell’area del comune di Gradoli, dove potrebbe essere tenuto prigioniero Aldo Moro;

  • – alle ore 11:30 dello stesso giorno il vice questore aggiunto di Viterbo comanda, insieme ad un funzionario dell’Ucigos e ad un tenente dei Carabinieri di Tuscania, un rastrellamento al quale partecipano 22 militari tra poliziotti e carabinieri;

  • – la battuta interessa un’area di quattro chilometri quadrati dalla frazione di Cantoniera fino ad un gruppo di casali isolati situati a sud-ovest del paese di Gradoli; vengono ispezionate case coloniche con le relative dipendenze, grotte e ripari naturali; il sopralluogo si protrae per poco meno di un’ora e mezza;

  • – alle ore 13 dello stesso giorno il questore di Viterbo comunica alla Direzione generale di pubblica sicurezza di Roma che il sopralluogo ha dato esito negativo.

Pertanto il centro abitato del paese di Gradoli, in provincia di Viterbo, non venne effettivamente interessato dalle operazioni delle forze dell’ordine il 6 aprile 1978; le testimonianze dei componenti della giunta comunale di Gradoli, registrate nel film di Carlo Infanti, “Moro, la verità negata” (2008), sono coerenti con la documentazione coeva della Commissione Moro e le informazioni pubblicate sui giornali il 22 e 23 aprile 1978.

Le agenzie di stampa, i giornali e la televisione non diffusero alcuna notizia di operazioni delle forze dell’ordine alla ricerca della prigione dove era rinchiuso Aldo Moro il 6 e 7 aprile e nei giorni immediatamente seguenti prima del 18 aprile, quando cioè venne scoperto il covo brigatista di via Gradoli a Roma. Le prime notizie del rastrellamento effettuato nell’area del comune di Gradoli, ma non all’interno del paese stesso, trapelarono sulla stampa solo nei giorni del 22 e 23 aprile.

Questa ricostruzione crediamo porti un contributo, per quanto modesto, per dissipare una parte delle cortine di nebbia che spesso si sono frapposte a oscurare una vicenda già di per sé “oscura”, quella degli eventi del 2-6 aprile 1978 originatisi dalla “seduta spiritica” da cui emerse l’informazione “Gradoli” come possibile luogo dove poteva essere tenuto prigioniero Aldo Moro.

La vera “fonte” di quella informazione resta uno dei pochi veri segreti della storia della cosiddetta prima Repubblica.

Per le ulteriori conseguenze che si possono trarre da questa nostra riconfigurazione della giornata del 6 aprile 1978 nell’ambito della critica storiografica del caso Moro, occorreranno di certo altri scritti.