L’ex dirigente della Polizia Lidano Marchionne in audizione sulla scomparsa di Emanuela Orlandi: “L’organizzazione coinvolta non era improvvisata”

Durante l’audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, l’ex commissario capo della Polizia Lidano Marchionne, all’epoca in servizio presso la Digos di Roma, ha dichiarato che “non si ebbe mai prova dell’esistenza in vita della ragazza” dopo il rapimento del 1983. Secondo Marchionne, anche la pista che coinvolgeva Ali Agca — avanzata come possibile scambio per la liberazione di Emanuela — non trovò conferme concrete: “Si arrivò alla scadenza dell’ultimatum senza che ci fosse alcuna iniziativa reale per la liberazione”.

Marchionne ha ricordato che fu coinvolto nella vicenda marginalmente, soprattutto nella fase in cui il caso venne collegato all’attentato al Papa. Ha sottolineato che l’attivazione di un gruppo vicino ad Agca avvenne solo dopo un appello pubblico di Giovanni Paolo II durante l’Angelus. Prima di quel momento, le comunicazioni con la famiglia Orlandi sembravano mirate a rafforzare l’ipotesi di un allontanamento volontario.

L’ex dirigente ha definito il gruppo che si è attribuito il sequestro come “ben strutturato”: “Non erano ragazzi che si erano inventati qualcosa più grande di loro”. Sebbene non abbia indicato un coinvolgimento diretto della malavita romana, ha ammesso che “potrebbe aver avuto un ruolo” e che Emanuela “è caduta in una trappola da cui non è riuscita a uscire”, orchestrata da soggetti con un obiettivo preciso.

Marchionne ha poi ricordato il presunto appuntamento di Emanuela con una persona che le avrebbe proposto un lavoro come presentatrice di cosmetici, circostanza mai confermata dall’azienda menzionata. Secondo lui, è possibile che la ragazza sia stata attirata con l’inganno.

Sul fronte delle piste investigative, Marchionne ha citato numerose informative provenienti dai Servizi, spesso basate su fonti poco attendibili o occasionali, che dipingevano scenari fantasiosi come la sindrome di Stoccolma o una relazione con i rapitori. Alcuni sedicenti informatori, in particolare dalla comunità turca in Germania, fornivano indicazioni che non portarono a riscontri concreti.

Sulla questione del possibile depistaggio legato alla pista turca, l’ex capo Digos ha detto di non aver mai avuto certezza di un intento deliberato di sviare le indagini, pur riconoscendo che molte versioni diffuse “erano poco credibili e costruite su collage di elementi noti”.

Infine, ha commentato i contatti diretti avuti dal gruppo che chiedeva la liberazione di Agca, come le telefonate firmate dal “sedicente Americano” o da “Mario”, e l’invio di documenti riconducibili a Emanuela: secondo lui, chi trasmetteva quei materiali aveva avuto accesso diretto alla ragazza o a chi la conosceva.

FONTE ADNKRONOS