“Le differenze tra le stragi di Milano 1969, Brescia 1974 e Bologna 1980 sono profonde” perché “dal 1969 al 1980 passano undici intensi anni, nel corso dei quali l’Italia era cambiata, soprattutto negli aspetti aventi a che fare con il terrorismo”. Così lo storico Vladimiro Satta intervenendo al convegno ‘Milano, Brescia, Bologna: quale verità storica sulle stragi’, promosso dal periodico Realtà Nuova. Secondo Satta mentre Piazza Fontana (1969) e Piazza della Loggia (1974) possono essere considerate stragi fasciste, per Bologna “la tesi della strage fascista soffre di una grave carenza di movente, perché il contesto del 1980 era completamente diverso” e “un attacco fascista contro ‘il sistema’ era divenuto insensato”.

“Per questo – sottolinea – anche i sostenitori della colpevolezza dei condannati fascisti sono andati a cercare mandanti altrove”. “Ma Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi avevano un movente? – si chiede Satta – Si direbbe di no. E’ arduo vedere nella strage di Bologna un inconsulto assalto contro la Repubblica sferrato da un mestatore che nel sistema italiano prosperava, Gelli, insieme al suo sodale Ortolani, ad un senatore di un gruppo che si era scisso dal Msi aspirando a diventare alleato di governo della Dc, ossia Mario Tedeschi di Democrazia Nazionale, e al Direttore della Polizia Postale e di Frontiera, Federico Umberto D’Amato. Erano gente da rischiare tutto ciò che si era costruita per mettersi nelle mani dei Nar?”.

Secondo Satta, dunque la pista palestinese, finora archiviata o preclusa in ambito giudiziario, “sotto il profilo storico è assai più plausibile di quelle fascista e piduista” perché “ha riscontri e un movente consistente”. E, per “una conoscenza esauriente dello stato dei rapporti tra Italia e Fplp alle soglie dell’estate 1980, sarebbe necessario accedere alle carte del colonnello Giovannone, l’ufficiale del Sismi che era praticamente il plenipotenziario italiano in materia di ‘lodo Moro’. Nell’estate 2020 la divulgazione di tali carte, richiesta da una delle associazioni dei familiari delle vittime di Ustica, è stata negata dalla Presidenza del Consiglio, a parere della quale il disvelamento recherebbe tuttora grave pregiudizio agli interessi della Repubblica. Attualmente, le carte di Giovannone sono tra i documenti di cui i difensori di Cavallini chiedono l’acquisizione in vista del secondo grado del suo processo. Nessuno intende nuocere agli interessi della Repubblica, ma essi andrebbero bilanciati con quelli della giustizia e della verità, che altrimenti rimangono sacrificati. E’ doveroso assicurarsi che le future sentenze non siano viziate da difetti di conoscenza”.

(AdnKronos)