-Il quotidiano la Repubblica, una vera e propria corazzata mediatica, apparentemente invincibile nel desolante panorama dell’informazione italiana, si assume spesso il ruolo di apripista dando il via a violente campagne demolitrici e lanciando la volata a tanti piccoli diligenti imitatori che svolgono il loro oscuro lavoro in altre meno diffuse testate.

Accadde già nel novembre 2006, dopo la morte per avvelenamento da polonio di Aleksander Litvinenko, l’ex ufficiale del servizio di sicurezza russo (prima Kgb e poi Fsb) rifugiatosi nel Regno Unito, quando Giuseppe D’Avanzo e Carlo Bonini, attraverso l’attacco diretto e spietato contro l’allora senatore Paolo Guzzanti e il consulente Mario Scaramella, dettero il via ad una corrosiva campagna stampa, su cui finirono per appiattirsi pressoché tutti gli altri quotidiani nazionali, che in realtà voleva colpire e derubricare a mero luogo di produzione di documenti falsi la Commissione bicamerale d’inchiesta sul dossier Mitrokhin.

Vedremo, in ultima analisi, che anche lo spunto lanciato da Federica Angeli e Francesco Viviano con l’articolo “Alemanno truffato da finti 007 trattava dossier contro la sinistra”, pubblicato su Repubblica il 7 ottobre 2011 (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=15887K), finirà per parare in quegli stessi luoghi, che ad alcuni devono apparire particolarmente scomodi.

L’articolo in oggetto prende spunto dalla mancata audizione del sindaco di Roma Gianni Alemanno, nell’ambito della seconda udienza del procedimento penale che lo vede come parte lesa in un tentativo di truffa operato nel 2007 (guarda caso lo stesso periodo della citata campagna anti Commissione Mitrokhin). Alcuni sedicenti agenti dei servizi segreti cercarono un contatto con l’allora presidente della federazione romana di Alleanza nazionale, proponendo dossier su uomini politici di centrosinistra, ma anche di centrodestra (questa parte però, non risultando funzionale all’obbiettivo dei giornalisti di Repubblica, nell’articolo in questione è ignorata). Alemanno, com’è naturale che avvenga in queste situazioni, anche per circostanziare un’eventuale denuncia, accettò di incontrare questi intermediari per cercare di capire l’oggetto della proposta (ciò avvenne il 16 maggio 2007). Alemanno delegò quindi Gian Paolo Pelizzaro, «redattore della rivista Area, una persona nei cui confronti ho fiducia [ha dichiarato Alemanno ai giudici]», esperto di intelligence e già consulente della Commissione stragi e della Commissione Mitrokhin, a verificare l’affidabilità delle informazioni e della documentazione millantata. Pelizzaro incontrò gli emissari nel pomeriggio del 17 maggio.

I presunti dossier (800-850 pagine) non vennero in realtà mai prodotti né quindi fatti circolare, proprio grazie alla tempestività con cui  Pelizzaro informò Alemanno della pericolosità dei personaggi e dei loro comportamenti. I sedicenti 007 vennero denunciati immediatamente il 18 maggio alle autorità competenti. Il tutto dunque si risolse in nemmeno due giorni.

L’articolo di Repubblica ovviamente non fa riferimento a date, lascia il tutto indeterminato, facendo credere invece che Alemanno fosse allettato da questa polpetta avvelenata (“lui si mostrò interessato”).

L’8 ottobre 2011 sul Fatto Quotidiano (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=159VYL) è Rita Di Giovacchino a riprendere la notizia lanciata da Repubblica, dando il “giusto” risalto al vero oggetto d’interesse dell’intera questione. Al di là di evidenti incongruenze e pacchiani errori che infarciscono il pezzo della Di Giovacchino (Alemanno quando si svolse la vicenda non era ancora sindaco, lo diventerà solo un anno dopo, il 28 aprile 2008, e quindi non avrebbe potuto, anche volendo, spendere la «non irrilevante somma di 70/80 milioni di dollari, una bella cifra considerata la crisi che attanagliava (e attanaglia) la Giunta capitolina»), l’affondo vero e proprio è diretto al collaboratore Pelizzaro, e al ruolo da esso svolto nella famigerata Commissione Mitrokhin, presentato nell’articolo come: «“esperto” di falsi dossier».

Va dato atto al Fatto Quotidiano di aver pubblicato il 9 ottobre 2011, nella rubrica Diritto di Replica, una lettera di Pelizzaro in cui egli ha avuto modo di spiegare la sua posizione e il suo operato nella vicenda dei falsi 007 (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=15B5OU).

Ma vogliamo tornare all’argomento a nostro avviso centrale, anche perché la Di Giovacchino, nella controreplica del 9 ottobre, ha ritenuto necessario ribadire un concetto e cioè: «Caro Pelizzaro, non intendevo diffamarla e tantomeno insinuare nulla definendola “esperto di falsi dossier”, era solo una battuta riferita non a lei ma alla qualità dei documenti, oggetto della commissione Mitrokhin, che molti si ostinano a ritenere non autentici».

Chi siano i “molti” che si ostinano a ritenere “non autentici” i documenti della Commissione Mitrokhin non è dato sapere.

Quello che c’è da chiedersi è quale sia stato il vero motivo che ha spinto qualche misteriosa entità ad un intenso e subdolo “lavorio” nei riguardi di una parte dei materiali raccolti dalla Commissione Mitrokhin se questi documenti erano così “non autentici”, come “molti” ritengono.

Ma a ben vedere, le generiche accuse alla Commissione Mitrokhin hanno qualche fondamento.
In effetti, agli atti dell’ex organismo parlamentare di inchiesta, esiste almeno un documento palesemente manipolato tanto da far sorgere molti sospetti sulle finalità di quell’elaborato. Come abbiamo già avuto modo di documentare, sia nel nostro libro Dossier Strage di Bologna. La pista segreta (Giraldi, Bologna 2010), sia nell’articolo “Strage di Bologna. Commissione Mitrokhin, dentro la fabbrica dei falsi”, pubblicato su Segretidistato.it il 24 settembre 2011, il Documento conclusivo sull’attività svolta e sui risultati dell’inchiesta, presentato dai commissari di centrosinistra della Commissione Mitrokhin il 23 marzo 2006, contiene nel capitolo dedicato alla strage di Bologna del 2 agosto 1980, palesi manipolazioni ed omissioni di documenti della polizia italiana, tedesca e di quella della Germania orientale.

 

 

Per una dettagliata descrizione dei falsi citati, rimandiamo alla lettura del libro e dell’articolo, qui ci limitiamo a richiamarli a grandi linee:

1)      la trascrizione manipolata di un telex del 1° agosto 1980 redatto dalla polizia di frontiera italiana.  In esso era descritto l’arrivo a Chiasso alle 10,30 del terrorista tedesco Thomas Kram. Costui essendo iscritto in Rubrica di frontiera veniva perquisito e fatto ripartire per Milano alle ore 12,08. La manipolazione della trascrizione operata sul Documento conclusivo, avrebbe poi permesso a Kram, in una intervista al manifesto pubblicata il 1° agosto 2007,  di giustificare il suo pernotto a Bologna la notte tra il 1° e il 2 agosto (giorno della strage alla stazione), del tutto casuale e dovuto solo al ritardo (nella realtà pressoché inesistente) accumulato a Chiasso.

2)      L’omissione di una parte del mandato di cattura delle autorità tedesche nei confronti di Thomas Kram del 6 dicembre 2000. In esso Kram era definito “specialista nella falsificazione di passaporti”, ma anche come qualcuno che  “non aveva difficoltà a preparare cariche esplosive e detonatori a tempo”. Mentre la prima caratteristica di Kram, la sua capacità cioè di falsificare documenti, viene ribadita nel Documento conclusivo dai commissari di minoranza ben sei volte in cinque pagine, la seconda e più inquietante caratteristica, la capacità di preparare esplosivi, non viene mai citata.

3)      L’omissione di una parte del documento della Stasi (la polizia segreta della Germania orientale) del 18 marzo 1981. Il documento della Stasi costituisce una sorta di organigramma del gruppo Carlos, detto anche “Separat”. In esso Thomas Kram figura tra i membri permanenti del gruppo. Nel Documento conclusivo i commissari di minoranza, pur riferendosi a quello stesso documento del 18 marzo 1981, sostengono che Kram «non risulta inserito tra i principali quadri del gruppo Carlos né tra i dirigenti né tra i componenti».

 

Il problema adesso è capire chi è l’autore di queste manipolazioni e a quale scopo vennero compiute e inserite in atti ufficiali del Parlamento italiano.