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Un’ennesima pagina nerissima del giornalismo italiano e – purtroppo – anche di una certa politica che troppo spesso cerca di mettere le mani sui fatti della storia con l’anacronistico intento di creare consenso ideologico sfruttando le tragedie nazionali. Non interessa la verità così come emerge dai documenti e dai riscontri, ma una verità politica (o di partito) alla quale fatti e circostanze devono impietosamente piegarsi.

Mentre osserviamo calare il polverone che ogni anno viene alzato in occasione dell’anniversario della strage di Bologna, attraverso dichiarazioni sempre più violente e allo stesso vuote di ogni serio significato da parte di alcuni “detentori della verità”, restano in piedi – fra le macerie di questa raccapricciante vicenda che trasforma i morti in strumenti di propaganda politica – parole e prese di posizione al limite dell’insulto per grossolana sciatteria, dolosa manipolazione e reiterata menzogna.
In questo ripetuto e, se vogliamo, prevedibile campionario di pure e semplici falsità, brillano di luce propria alcune “chicche” che non possiamo non esaminare con cura, per smascherare l’ennesimo tentativo di alterare la realtà col fine di rendere impossibile l’accertamento della verità.

Partiamo con la “ritrattazione” tardiva e desolante di Guido Ambrosino, l’autore dell’intervista-alibi a Thomas Kram, pubblicata a tutta pagina il 1° agosto 2007 dal manifesto. Un documento straordinario per ricchezza di inesattezze, bugie e più o meno sottili manipolazioni tutte finalizzate a far pervenire sul tavolo degli inquirenti una versione addomesticata per giustificare il viaggio in Italia dell’allora terrorista tedesco legato al gruppo Carlos e soprattutto per “banalizzare” la sua presenza a Bologna nel momento che veniva fatta esplodere la bomba alla stazione centrale.
Ambrosino, in questi anni messo di fronte a una serie imbarazzante di errori, menzogne e falsificazioni dei semplici dati oggettivi, torna sulle dichiarazioni da lui messe nero su bianco nell’intervista del 2007 e – con sbalorditivo candore – il 28 luglio 2013 decide di pubblicare un post scriptum in coda alla riedizione online dell’intervista a Kram nel sito ilmanifestobologna.it.
Ecco il testo, va letto con estrema attenzione perché – come abbiamo detto – questa intervista va intesa come elaborazione dell’alibi dell’ex terrorista tedesco:

«P.S. Devo una precisazione su questa intervista del 1. agosto 2007. Siccome non sono pratico della topografia di Bologna, in due passaggi ho equivocato, o mal “collocato”, il racconto di Thomas Kram. Un terzo passaggio, che avrebbe facilitato l’orientamento, cadde vittima di un taglio. Non ho registrato l’intervista, ma conservo gli appunti presi allora, che sono andato a controllare, e mi consentono ora di rettificare.
Nel testo pubblicato si legge: “Poi mi incamminai verso la stazione su una grande strada, forse via dell’Indipendenza. Le sirene tranciavano l’aria. Da lontano vidi sul piazzale della stazione il lampeggiare di ambulanze e mezzi dei pompieri. Si capiva che era successo qualcosa di grave”. Lettori bolognesi mi fecero notare che da via dell’Indipendenza non si vede il piazzale della stazione, a meno di non arrivare proprio alla fine della via. In effetti la localizzazione di quei mezzi di soccorso “sul piazzale della stazione”, negli appunti non c’è. Dev’essere stata una mia inconsapevole aggiunta. L’impressione visiva della foto con i mezzi di soccorso su quel piazzale, foto che conoscevo e che avevo segnalato alla redazione per illustrare l’intervista, mi ha giocato un brutto scherzo: si è sovrapposta nella mia mente al racconto di Kram.
Il testo continua: “Non mi avvicinai. Dopo l’esperienza del giorno prima a Chiasso non volevo incappare in nuovi controlli di polizia. Un taxi mi portò alla stazione delle autocorriere. A Firenze arrivai in pullman”. Da Bologna arrivò una seconda obiezione, legata alla prima: Ma se Kram era arrivato in fondo a via Indipendenza (per poter vedere i mezzi di soccorso sul piazzale), che se ne faceva di un taxi? La stazione delle corriere è a due passi da quel punto.
Negli appunti la “stazione delle autocorriere” non c’è. Deve essere stata una mia seconda aggiunta, perché in genere, in ogni città, da lì si parte. Credo di ricordare che Kram, dopo i tanti anni trascorsi da quella sua giornata bolognese, si sia espresso in modo più generico: “Cercai un taxi, e mi feci portare a una fermata dei bus per Firenze”.
Negli appunti trovo solo la schematica sequenza: “Sono tornato indietro/Con bus Firenze”.
Ricordo che per esigenze di spazio dovetti radicalmente accorciare la prima stesura dell’intervista. Quel “sono tornato indietro”, cioè verso piazza Maggiore da dove Kram proveniva, è caduto vittima di un taglio: così non si capisce più che la ricerca del taxi avvenne in centro, quando Kram si era già allontanato dalla stazione. Dal centro un taxi gli sarebbe servito, sia per raggiungere la stazione delle autocorriere, di cui comunque Kram ignorava l’ubicazione (magari con un percorso diverso da via Indipendenza), sia per altre fermate. Adesso alcune linee a lunga percorrenza fermano vicino all’autostrada senza entrare in città. Forse accadeva anche trenta anni fa.
L’accorrere di mezzi di soccorso e della polizia Kram può averlo osservato da qualunque punto di via dell’Indipendenza, se i mezzi sono sopraggiunti anche lungo quell’asse.
La colpa degli equivoci “topografici” è tutta mia, e me ne rammarico.
Guido Ambrosino, 28 luglio 2013».

In un Paese normale, sarebbe sufficiente questo incredibile pastrocchio studiato a tavolino per vedere promossa l’azione penale nei confronti di chi intende intossicare l’inchiesta e disseminare in modo virale nell’opinione pubblica false informazioni.
Il primo a firmare la propria indignazione di fronte a questa macroscopica truffa giornalistica è il collega Andrea Colombo (autore, fra l’altro, di un saggio sulla strage di Bologna, Storia nera. Bologna. La verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, Cairo editore, 2007; si veda inoltre, sullo stesso argomento, il capitolo «Annus Horribilis» del suo successivo volume Trame. Segreti di Stato e diplomazia occulta nella nostra storia repubblicana, Cairo editore, 2012, pp. 151-177), il quale – il 30 luglio 2013, alle 11.32 postava il seguente, lapidario commento:

«Caro Kram e caro Guido,
ci vorrebbe un po’ di senso del ridicolo nella vita. Ora se uno sceglie l’irreperibilità per sette anni, poi la latitanza per venti. Fa parte di una organizzazione armata tra le principali d’Europa, responsabile del dirottamento di Entebbe insieme all’Fplp, quello in cui i due cellulari rivoluzionari tedeschi proposero, se non vado errato, di ammazzare subito i passeggeri ebrei, forse per completare l’opera dei loro papà con la testa di morto sulla divisa nera. Ha rapporti (direi certissimi checchè ne raccontiate) con Carlos, figura non periferica nel terrorismo mondiale. Viene indicato come presente alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 da Carlos in persona (senza le cui interviste nessuno ne avrebbe mai saputo niente), bisogna aver smarrito il senso delle proporzioni e del ridicolo per dire che i suoi guai derivano dall’essere stato citato nel mio libro. Peraltro non come unica “pista alternativa” ma a pari merito con le altre piste possibili. Cito a casaccio: incidente, neofascismo veneto, sabotaggio israeliano di un trasporto di esplosivo palestinese, pista libica. Se la pista Fplp-Carlos-Kram sia credibile non saprei dirlo. Non faccio né il magistrato né il poliziotto. Il fatto che Rosario Priore la ritenga credibile, però, effettivamente mi dà da pensare, non essendo Priore l’ultimo arrivato ma il titolare di tutte, dico tutte, le inchieste sul terrorismo palestinese in Italia per una ventina e passa d’anni nonché di Ustica. Mi dà da pensare, ripeto, ma niente più di questo. In compenso sono certissimo che il non aver minimamente approfondito per una trent’anni quella pista, vera o falsa che fosse, basta a dimostrare che lo Stato italiano aveva deciso a priori quali dovessero essere i colpevoli della strage e che lo aveva deciso subito, senza uno straccio di prova. Sempre perché non faccio né il magistrato né il poliziotto eviterò di entrare nel merito di quel che scrivete sugli spostamenti di Kram. Mi limito a segnalare che non mi pare convincente e che non sarebbe difficile argomentarne i motivi. Ma per quel che interessa me, cioè l’innocenza di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, non c’è bisogno di fare le pulci alle dichiarazioni spontanee e alle reticenze di chicchesia. Basta e avanza il fatto che quella pista sia stata volutamente ignorata e nascosta per decenni, e su questo, cari, proprio non ci piove.
Affettuosi saluti, Andrea Colombo».

L’affilata risposta di Colombo ha fatto calare un silenzio funebre sulla vicenda, inchiodando Thomas Kram e il suo amico Guido Ambrosino alle loro rispettive responsabilità. E qui torna prepotente la domanda di sempre: se il tedesco è innocente e non è, come afferma il suo Comitato di difesa transnazionale, in alcun modo coinvolto nell’organizzazione dell’attentato del 2 agosto 1980, perché mentire, perché taroccare le informazioni, perché diffondere bufale e patacche?
Ma il vaso non era ancora colmo, e per questo – su un bizzarro sito web di propaganda ideologica mascherata da giornalismo, AgoraVox Italia – proprio il 2 agosto 2013 è comparso un lungo pistolotto (non può essere neanche citato come articolo vista la veramente esagerata quantità di inesattezze, errori, falsità e omissioni presenti nel testo) dal titolo “Strage di Bologna. La pista palestinese e il caso di Thomas Kram” di tale Emanuele Midolo. Per dare la misura esatta di quanto lontano possa arrivare la malafede è sufficiente citare due passaggi di questo illuminante e inquietante esempio di sciatteria.
Leggiamo:

«La relazione finale di maggioranza contiene un lungo capitolo dedicato al massacro, curato dai consulenti Lorenzo Matassa e Gian Paolo Pellizzaro. I due, già giornalisti del mensile Area(fondato dall’allora senatore di Alleanza Nazionale Marcello De Angelis, ex militante del gruppo di estrema destra “Terza Posizione”, nonché fratello di Germana, moglie di Luigi Ciavardini, condannato in via definitiva come esecutore materiale della strage) hanno condotto lunghe indagini che miravano espressamente alla riapertura dell’inchiesta e alla messa in discussione dei processi che, dopo ben cinque gradi di giudizio, hanno portato alle condanne definitive di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Ciavardini».

L’autore di questo sbalorditivo pastrocchio non ha saputo neanche verificare una serie di dati banali ma eloquenti, come ad esempio il fatto che Pelizzaro (e non Pellizzaro) è sì giornalista professionista, ma Lorenzo Matassa non lo è, tantomeno del mensile Area, essendo magistrato, oggi giudice al Tribunale di Palermo. Di falso in falso si arriva a dire che «i due, già giornalisti del mensile Area hanno condotto lunghe indagini che miravano espressamente alla riapertura dell’inchiesta e alla messa in discussione dei processi». Bene, da dove risulta che noi due (io Pelizzaro e Matassa) abbiamo mirato espressamente alla riapertura delle indagini? Lo abbiamo mai affermato? Lo abbiamo mai detto in privato o in pubblico? Abbiamo mai, io e Matassa, dichiarato che volevamo mettere in discussione i processi passati in giudicato? Bene, ci dica il signor Midolo dove traggono riscontro le sue lapidarie affermazioni. Ma non finisce qui la manipolazione della realtà. L’autore di questo scempio pseudo giornalistico si spinge oltre e scrive che la Relazione finale di maggioranza dell’allora Commissione Mitrokhin contiene un lungo capitolo dedicato al massacro di Bologna, curato da Pelizzaro e Matassa. Complimenti, ancora un falso. Quel capitolo, come del resto tutto l’impianto della bozza di Relazione finale della Commissione Mitrokhin venne elaborato dal presidente Paolo Guzzanti il quale, proprio nella sua veste di presidente dell’Organismo parlamentare d’inchiesta, sottopose all’esame della Commissione la sua bozza di Relazione. Era, appunto, la Relazione del Presidente e quel capitolo sulla strage di Bologna venne redatto sulla base di una Relazione, questa sì, a firma Pelizzaro e Matassa, depositata agli atti della Commissione Mitrokhin il 23 febbraio 2006, un mese prima l’inizio della discussione finale, nel rispetto dei tempi tecnici che gli uffici avevano imposto per poter procedere con la formale procedura di chiusura lavori. Ciò che compare nel capitolo dedicato a Bologna nella Relazione Guzzanti è quanto è stato attinto dal lavoro istruttorio svolto per conto della Commissione Mitrokhin da Pelizzaro e Matassa e cristallizzato nella Relazione sul gruppo Separat e il contesto dell’attentato del 2 agosto 1980. Il signor Midolo ha, per caso, letto, studiato ed esaminato questo documento? Riteniamo proprio di no, altrimenti avrebbe evitato di scrivere così tante fesserie e commettere errori così grossolani.
Ma il dato che balza agli occhi è un altro: il ripetere a pappagallo, senza aver fatto la benché minima verifica, quanto segue, in chiusura della prima puntata del pistolotto:

«Kram non è mai stato collegato al gruppo Carlos. In nessuna delle inchieste condotte sul conto di Ilich Ramirez Sanchez compare il nome di Thomas Kram. La sua presunta appartenenza all’ORI è un’invenzione tutta italiana. Un teorema che non sta in piedi; la procura di Bologna dovrebbe tenerne conto».

C’è da domandarsi dove si documenta il signor Midolo. Su quali testi fa ricerca? Su quali fonti mette a verifica le sue strampalate teorie? Basti dire, per qualificare questo scritto a firma Midolo come uno dei casi più importanti di mistificazione e falsificazione della storia, come proprio nell’ambito delle inchieste condotte dalla magistratura francese, per anni nella persona del primo giudice istruttore del Tribunale della Grande Istanza di Parigi Jean-Louis Bruguière, nei confronti di Carlos e del suo gruppo terroristico denominato (dalla polizia segreta della DDR Separat) sono stati acquisiti negli atti istruttori documenti, rapporti di polizia e testimonianze sulla appartenenza di Thomas Kram al gruppo Carlos a partire dal 1979. Kram, in questi documenti che poi sono stati riassunti e organizzati in un rapporto di 206 pagine e otto capitoli del Ministero dell’Interno della Repubblica Francese (DST), datato 3 ottobre 1995, viene citato una prima volta – ad esempio – a pagina 31 come «membro effettivo del gruppo Carlos». Kram viene ancora citato a pagina 68 nel contesto dei collegamenti operativi tra Separat e Cellule rivoluzionarie. Quel rapporto del Ministero dell’Interno francese è stato acquisito agli atti dell’istruttoria condotta dal giudice Bruguière nell’ambito delle indagini sull’attentato compiuto da Carlos in rue Marbeuf il 22 aprile 1982 dove, nell’esplosione di una macchina imbottita di esplosivo, moriva una giovane donna incinta. Per questo attentato Carlos è stato condannato all’ergastolo, proprio sulla base dei documenti acquisiti da giudice Bruguière negli archivi dell’ex Stasi, il 15 dicembre 2011, in primo grado, condanna confermata il 26 giugno 2013, in appello.
La presunta appartenenza di Kram a Separat una invenzione tutta italiana? La risposta è ultronea…
Non c’è dubbio invece, e qui concordiamo con l’estensore del pistolotto di AgoraVox, che la Procura di Bologna dovrebbe tenere conto di teoremi che non stanno in piedi, come quelli propalati dal signor Midolo. È proprio sulle falsità che vanno scrivendo personaggi come questo aspirante ciarlatano che la magistratura dovrebbe fare definitivamente chiarezza. Non è più ammissibile, a distanza di tanti anni, tentare di intossicare con menzogne e omissioni non solo il legittimo svolgimento di una sana informazione, ma soprattutto tentare di condizionare e inquinare l’accertamento della verità con mistificazioni analoghe a quelle di AgoraVox.
Tutto questo è veramente desolante e preoccupante.

Il cannone della propaganda politica che spara sulla storia
Ma ora passiamo all’aspetto politico-istituzionale, il più delicato e perciò quello che merita un approfondimento ulteriore. Paolo Bolognesi – ora nella sua triplice veste di presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, di presidente dell’Unione dei familiari delle vittime per stragi e di neodeputato eletto come indipendente tra le file del Partito democratico – commentando la proposta di legge da lui stesso presentata alla Camera per l’introduzione dell’articolo 372-bis del codice penale, concernente il reato di depistaggio, presentata il 27 marzo 2013, ha tuonato il 29 luglio 2013:

«Diciamo che avere un reato di questo tipo potrebbe dissuadere certe operazioni. Se un giudice si trovasse di fronte qualcuno dei servizi segreti che gli rifila ancora la pista palestinese…» (Corriere della Sera – Corriere di Bologna, 30 luglio 2013).

Il 1° agosto ha aggiunto:

«Arriviamo al 33esimo anniversario della strage con un discorso molto chiaro quella pista teutonico-palestinese, che ha fatto perdere cinque anni ai magistrati bolognesi, ma che era iniziata nell’81 con un’ iniziativa di Licio Gelli, finalmente anche i magistrati si sono convinti che non porta da nessuna parte. Era ora, era ora» (Agenzia Dire, 1º agosto 2013, ore 15.23)

E ancora, nel discorso tenuto sul piazzale della stazione centrale di Bologna venerdì 2 agosto 2013:

«Riteniamo di aspettarci […] che la magistratura non mancherà di sgombrare il campo dai cosiddetti depistaggi, di cui gli esiti parziali della Commissione Mitrokhin sono uno degli esempi» (dal discorso di Paolo Bolognesi tenuto nell’ambito della cerimonia di commemorazione della strage il 2 agosto 2013).

Bolognesi non poteva agitare esempi più infelici, infondati e catastrofici per l’autorevolezza del suo impegnativo e attuale triplice ruolo. Nell’ambito delle indagini sulla strage di Bologna avrebbe potuto citare il depistaggio noto come l’operazione “terrore sui treni”, messa in atto dal Sismi il 13 gennaio 1981, oppure la «pista libanese» o la «pista spagnola», depistaggi riconosciuti come tali da sentenze passate in giudicato.
In realtà non è mai invece esistita alcuna “pista palestinese” che sia stata “rifilata” da servizi segreti più o meno “deviati”, o da altre misteriose entità, per intralciare le indagini dei magistrati. Basta consultare gli atti giudiziari, a partire dalla sentenza-ordinanza del giugno 1986 e tutte le altre sentenze dei vari gradi di giudizio, fino a quella della Cassazione del novembre 1995 (queste ultime, esclusa la prima, peraltro sono disponibili anche nel sito online dell’Associazione dei familiari): non è mai citata alcuna “pista palestinese”.
La smentita più autorevole alle affermazioni di Bolognesi è venuta dalle parole pronunciate il 26 luglio 2013 dal procuratore capo della Procura di Bologna, Roberto Alfonso, il quale, durante la conferenza stampa indetta per fare il punto sull’inchiesta in corso, ha detto:

«La pista palestinese non era una suggestione per questo l’abbiamo approfondita». «Probabilmente questo filone di Bologna andava già da subito approfondito e si sarebbero dovuti mettere dei punti fermi. Cosa che non fu fatta. Magari non avrebbe portato a nulla, ma avrebbe dovuto essere approfondito». Invece «venne gestito in maniera tale da non poter consentire un approfondimento». «Dobbiamo scegliere il materiale che è coerente e separarlo da tutto ciò che è rappresentato dagli elementi di suggestione».

Inoltre, Bolognesi, sempre il 1° agosto 2013, ricordando i due esposti inviati nel gennaio 2011 e nella primavera 2012 alla Procura per l’individuazione dei mandanti della strage, ha poi affermato:

«Ora più che in passato le indagini sonodavvero a un passo dell’individuare i mandanti della strage allastazione di Bologna» (Agenzia Dire, 1º agosto 2013, ore 15.23)

«Per arrivare ai mandanti della strage serve l’impegno dei magistrati, anche a digitalizzare i documenti. Stiamo arrivando a delle chicche: emerge come Licio Gelli, condannato per depistaggio, ed esponenti di Gladio siano sempre più coinvolti in prima fila. Potremmo arrivare a una sua cndanna per partecipazione alla strage» (Adriana Comaschi, l’Unità, 2 agosto 2013).

Anche in virtù di questi esposti il procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso, il 26 luglio 2013, si è sentito in dovere di fare alcune precisazioni, come si evince da questo lancio di agenzia:

«Se da un lato i magistrati hanno lavorato attentamente per venire a capo della cosiddetta pista palestinese, dall’altro hanno portato avanti anche l’esame certosino della corposa memoria che due anni fa l’associazione dei familiari delle vittime del 2 agosto 1980 consegnò in Procura, convinta che ci fossero elementi utili a individuare i mandanti della strage del 2 agosto 1980, per cui sono stati condannati in via definitiva Valerio Fioravanti e Francesco Mambro. Un lavoro “lungo e complesso” che ha comportato “l’esame di un materiale vastissimo, relativo a processi fatti qui a Bologna e altrove”. Dall’esame di tutto questo materiale e dal raffronto di questi elementi con gli atti del processo di Brescia e quelli del processo di Bologna, i magistrati hanno individuato “una ventina di punti su cui abbiamo bisogno di chiarimenti”. “Abbiamo notato imprecisioni, contraddizioni e incoerenze, su cui abbiamo bisogno di chiedere precisazioni”. È per questo che oggi è stato convocato in Procura il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage, Paolo Bolognesi. La sua audizione era in realtà fissata per martedì, poi spostata a oggi. Bolognesi, però, ha spiegato che non può fornire questi chiarimenti e ha indicato il nome del consulente dell’associazione che ha curato la memoria: sarà convocato dopo le ferie» (Agenzia Dire, 26 luglio 2013, ore 16.33).

I giornali non hanno ripreso il passaggio molto critico sulla memoria dei familiari riguardante le “imprecisioni, contraddizioni e incoerenze”.

Dev’essere in effetti stato un compito assai arduo per i magistrati bolognesi districarsi nei meandri delle trame proposte dai “consulenti” dell’Associazione. Si legge infatti nel libro Stragi e mandanti, Aliberti, 2012, curato da Paolo Bolognesi e Roberto Scardova, che costituisce un compendio divulgativo e più sintetico delle memorie presentate ai magistrati:

«La connessione servizi atlantici-mafia-masssoneria-ordini cavallereschi e templari dovette protrarsi ben oltre il periodo del dopoguerra, se è possibile rintracciare gli stessi soggetti allora operativi, ancora presenti negli anni Ottanta» (p. 28).

Tesi ribadita ancora nella pagina successiva:

«Dietro di loro [i burattinai delle trame del terrore: Michele Sindona, Licio Gelli, Giovanni Alliata di Montereale, Felix Morlion, Federico Umberto D’Amato, James Jesus Angleton, John McCaffery] c’erano le rispettive reti di relazioni: nell’insieme un soggetto politico occulto non formalizzato né istituzionalizzato che era costituito da strutture antinsorgenza di fede atlantica, massoneria, uffici del Vaticano, mafia, ordini cavallereschi e templari» (p. 29).

Sgombrare il campo dagli equivoci

Le sconcertanti parole sopra citate di Bolognesi, non fanno altro che rimandare equivoci, fraintendimenti o vere e proprie falsità che si ripropongono costantemente dall’estate del 2005, a cadenza più o meno annuale intorno alla ricorrenza della strage.
In quell’estate del 2005, infatti, grazie al lavoro in Commissione Mitrokhin del consulente tecnico Gian Paolo Pelizzaro, emerse per la prima volta l’identità dell’anonimo «compagno» presente in stazione il 2 agosto 1980, citato da Carlos nell’intervista al Messaggero del 1° marzo 2000.
Da quel momento si è sviluppato un intenso fuoco di sbarramento mediatico nel tentativo di offuscare e delegittimare quella che verrà poi chiamata in terminologia giornalistica la “pista palestinese”.
Proprio a seguito delle scoperte realizzate nel lavoro d’inchiesta in Commissione Mitrokhin, tra l’estate e l’autunno 2005, vennero presentate in Parlamento numerose interpellanze, tanto che la Procura di Bologna fu “costretta” ad aprire un nuovo fascicolo di indagine sulla strage di Bologna, inizialmente contro ignoti.
Quel fascicolo è stato ereditato dall’attuale procuratore capo Alfonso e dal sostituto Enrico Cieri nel 2009. Nell’estate 2011 si è appreso che sono stati iscritti nel registro delle notizie di reato i due ex terroristi tedeschi delle Cellule rivoluzionarie e membri del gruppo Carlos: Thomas Kram e Christa-Margot Fröhlich.

Alcuni esempi di questa campagna tesa a confondere i reali contorni della “pista palestinese”, si possono rilevare nelle parole di Bolognesi alla prima presentazione del citato libro Stragi e mandanti, tenutasi nella sala d’aspetto della stazione di Bologna il 26 luglio 2012:

«Tutto l’aspetto Carlos, pista palestinese eccetera, non dimentichiamo che il primo depistaggio che fu fatto per quanto riguarda la strage fu la pista palestinese, ecco, aveva degli altri contorni, ecco non aveva gli stessi contorni di Carlos eccetera, ma era la pista palestinese»

Questa tesi, anche se espressa in modo un po’ confuso, la si ritrova anche all’interno del volume nel capitolo a firma di Antonella Beccaria:

«Quelle che oggi vengono chiamate le “piste internazionali”, alcune delle quali portano ai palestinesi, iniziano a circolare subito dopo la strage alla stazione del 2 agosto 1980. Ma altrettanto rapidamente si parlerà di pista nera» (p. 60).

In realtà, è vero esattamente il contrario: ossia a partire dallo stesso 2 agosto 1980, e nei giorni immediatamente successivi, si parlò di pista nera, di organizzazioni di estrema destra neofascista e vennero citati subito anche i Nar (dal questore di Bologna Ferrante, il 2 agosto; dal presidente del Consiglio Francesco Cossiga, il 4 agosto; dai partecipanti alla riunione congiunta del Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza – Ciis – e del Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza – Cesis – del 5 agosto).
Le “piste internazionali” seguirono nelle settimane e nei mesi seguenti, ma tra queste “piste internazionali” non vi fu mai, va ribadito, una “pista palestinese”, che non va confusa con la “pista libanese”. Quest’ultima – così chiamata dagli stessi magistrati già a partire dalla sentenza-ordinanza del giugno 1986 – è esattamente l’opposto della pista palestinese sia a livello tecnico che politico, dato che venne lanciata proprio da Abu Ayad, nome di battaglia di Salah Khalaf, numero due dell’Olp, capo dei servizi segreti di al-Fatah e tra i fondatori di Settembre Nero, nell’intervista esclusiva che rilasciò a Rita Porena sul Corriere del Ticino del 19 settembre 1980 (tre giorni prima, il 16 settembre, lo stesso Abu Ayad aveva rilasciato analoghe dichiarazioni al giornale libanese As Safir).
L’intervista di Rita Porena ad Abu Ayad è richiamata correttamente alla pag. 64 dello stesso testo di Antonella Beccaria. In quella passaggio si rimedia, sotto silenzio, all’infortunio nella quale la stessa autrice era incorsa nel libro Schegge contro la democrazia, scritto con Riccardo Lenzi (Socialmente, 2010). In due passi diversi di quel libro (a pag. 62 e alle pagine 128-129), si sosteneva che le “informazioni” contenute nell’intervista di Abu Ayad costituivano una delle “profezie” dell’attentato del 2 agosto 1980. Nel testo di quel libro – l’intervista pubblicata il 19 settembre 1980 – non era datata, così la profezia riusciva meglio. In realtà in quell’intervista Abu Ayad sosteneva che nei campi di addestramento falangisti cristiano-maroniti alleati di Israele, si addestrassero fascisti e nazisti europei, tra cui italiani e tedeschi. Da alcuni di questi individui fuoriusciti i palestinesi avevano saputo di un attentato che sarebbe avvenuto a Bologna. Ayad in un primo momento sostenne di aver addirittura avvertito le autorità italiane. Si accertò poi che si trattava di un depistaggio.

A p. 72 di Stragi e mandanti si legge ancora:

«In ultimo, si deve parlare delle cosiddette “piste alternative”. La prima, quella richiamata più spesso, è la pista palestinese, già frutto del depistaggio Gelli-Musumeci-Pazienza e rievocata dalla commissione Mitrokhin».

In realtà, il “depistaggio Gelli-Musumeci-Pazienza” è tutto fuorché un depistaggio verso una qualche “pista palestinese”.Quell’operazione, nome in codice “terrore su treni”era stata lanciata il 13 gennaio 1981 proprio per colpire i neofascisti italiani attraverso i collegamenti con alcuni esponenti della galassia neonazista tedesca (in particolare il Gruppo Hoffmann), che aveva punti di contatto con ambienti delle destre maronite in Libano.. La Commissione Mitrokhin non ha «rievocato» o riesumato alcun depistaggio, ma semplicemente, partendo da un filone d’indagine della precedente Commissione Stragi, ha ritrovato la documentazione sull’attività del gruppo Carlos inviata dalla magistratura francese quando la Commissione presieduta dall’allora senatore diessino Giovanni Pellegrino aveva terminato i suoi lavori nel 2001 e ha sviluppato una sua autonoma indagine.

Nella stessa pagina del volume sopra citato si trova scritto ancora:

«Secondo questa ipotesi, finora mai suffragata da alcun elemento, dietro l’attentato ci sarebbe stata una vendetta dei palestinesi perché l’Italia avrebbe infranto il “lodo Moro”, un patto ufficioso in base al quale i palestinesi avrebbero potuto condurre in Italia le loro attività clandestine senza però arrecare danni ai cittadini italiani».

C’è da chiedersi: se non c’erano elementi, come mai nel novembre 2005 la Procura di Bologna ha aperto il fascicolo che nel linguaggio giornalistico è indicato come inchiesta-bis, indagini tuttora in corso a distanza di quasi otto anni?
Nel passo sopra citato si passa sotto silenzio il sequestro a Ortona, nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979 di due missili Sam-7 Strela e l’arresto dei tre autonomi romani Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner e Giuseppe Luciano Nieri e la settimana dopo del giordano di origine palestinese Abu Anzeh Saleh, responsabile in Italia del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e garante del “lodo Moro”, protetto dal capocentro del Sid e poi del Sismi a Beirut, colonnello Stefano Giovannone. Va ricordato che proprio in quel periodo (almeno dal settembre 1979) gran parte dell’arsenale tattico e strategico dell’Fplp era stato trasferito in Italia (con l’aiuto logistico e materiale delle Br – Operazione Francis, viaggio di Mario Moretti, Riccardo Dura, Sandro Galletta, Massimo Gidoni sull’imbarcazione a vela denominata “Papago” – e custodito in Veneto (Montello, sopra Treviso). (si veda http://www.segretidistato.it/?p=211).

La pista “teutonico-palestinese”

Anche quest’anno 2013, Paolo Bolognesi ha usato sarcasticamente la dizione “pista teutonico-palestinese”, termine coniato in un a dir poco infelice articolo dell’“accademico” prof. Luigi Bonanate sull’Unità del 23 agosto 2011 (per un commento http://www.segretidistato.it/?p=110).

Nel 2012 Bolognesi aveva usato questa espressione tre volte nel discorso tenuto nella commemorazione del 2 agosto, definendo tale pista «inconsistente» e «fantasiosa».

«L’ultimo, ma non nuovo, tentativo di depistaggio sulla matrice dell’attentato del 2 agosto, ha rispolverato l’inconsistente pista teutonico-palestinese che, come tutte le piste internazionali care al capo della Loggia Massonica P2 Licio Gelli, si è rivelata un ennesimo tentativo di confondere le acque».

«Oggi, sulla strage alla stazione, ci sono nuovi sviluppi giudiziari, ma vanno in ben altra direzione rispetto alla pista teutonico-palestinese: rafforzano infatti il quadro emerso dalle sentenze relative all’attentato del 2 agosto».

«Attendiamo che la Procura, dopo aver dedicato molti anni all’esame della fantasiosa pista teutonico-palestinese, si dedichi alla ricerca dei mandanti».

Ovviamente, ritroviamo le stesse fuorvianti affermazioni espresse da Bolognesi, con alcune varianti, anche sui quotidiani:

«La pista palestinese, variazione su un tema già caro ai servizi segreti controllati dalla loggia di Gelli, vedeva il Fplp, all’epoca segmento minoritario dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, reagire con una strage all’arresto di un suo dirigente di medio calibro. La rappresaglia sarebbe scattata per il mancato rilascio di Abu Ansah Salah [in realtà Abu Anzeh Saleh], coinvolto in un traffico di missili destinato alle Br». (Gigi Marcucci, «2 agosto, non ci sono prove per la pista palestinese», l’Unità, 27 luglio 2013, p. 10).

Da chi non sa neppure scrivere correttamente il nome di Abu Anzeh Saleh c’è poco da aspettarsi a proposito della valutazione del “calibro” del dirigente dell’Fplp. Colpisce l’affermazione che i missili di Ortona erano destinati alle Brigate rosse. Da dove avrà mai tratto questa inedita e sorprendente “notizia” il giornalista dell’Unità?

Lo stesso giornalista, commentando le critiche rivolte ai magistrati bolognesi da parte del presidente dell’Associazione dei familiari, è tornato a citare a sproposito la “pista palestinese”:

«Bolognesi bacchetta la Procura di Bologna, invitandola a non correre dietro agli “acchiappafantasmi” che propongono piste come quella “palestinese”, peraltro già ideata, seppure in versione diversa, dai Servizi che intendevano depistare l’inchiesta sulla strage» (Gigi Marcucci, Ispiratori e mandanti, la caccia infinita, l’Unità, 3 agosto 2013, p. 13).

Come si è visto sopra, i servizi segreti non hanno mai “ideato” alcuna “pista palestinese” per depistare le indagini. Anche in questo caso, comunque, sarebbe interessante sapere in che cosa consistesse esattamente la «versione diversa» di questa immaginaria “pista palestinese”.

Insabbiamenti e mancate indagini riguardanti la “pista palestinese” tra il 1980 e il 2005

Come abbiamo già sopra ricordato, il procuratore capo Alfonso nella recente conferenza stampa del 26 luglio 2013, aveva puntualizzato:

«Probabilmente questo filone di Bologna [la “pista palestinese”] andava già da subito approfondito e si sarebbero dovuti mettere dei punti fermi. Cosa che non fu fatta».

Ecco alcuni esempi significativi di come alcuni spunti investigativi, che avrebbero potuto essere sviluppati, in realtà si esaurirono rapidamente senza produrre risultati di sorta.

 

Thomas Kram: un quarto di secolo di oblio

Il nome di Thomas Kram è rimasto sepolto per 25 anni, dal 1980 al 2005. Il fascicolo 788/01-K della Procura di Bologna (“Atti relativi alle Cellule rivoluzionarie tedesche – strage 2/8/1980”), aperto il 18 aprile 2001 sulla base di una segnalazione della Digos di Bologna a seguito di un rapporto dell’allora capo della polizia Gianni De Gennaro, atto ad indagare sulla inquietante presenza del terrorista tedesco a Bologna la notte tra il 1° e il 2 agosto 1980, venne archiviato dalla Procura, per quanto riguarda Kram, sei giorni dopo, il 24 aprile, senza dimenticare che il 21 era un sabato e ovviamente il 22 una domenica. Il fascicolo ufficialmente restò aperto fino al marzo 2002 ma le indagini si “concentrarono” esclusivamente su una mitomane tedesca.
La Digos di Bologna il 24 aprile 2001 aveva comunicato alla Procura che Kram risultava “sconosciuto agli atti” di quella questura. Il 25 luglio 2005, nella stessa questura di Bologna, Gian Paolo Pelizzaro, consulente prima della Commissione stragi e poi della Commissione Mitrokhin, rinvenne un fascicolo riguardante proprio Kram e fu così possibile scoprire finalmente il nome del “compagno” evocato da Carlos nell’intervista al Messaggero del 1° marzo 2000.
In quel frangente emersero anche sei telex che la questura di Bologna aveva inviato il 16 settembre 1980 alla Procura che stava indagando sulla strage. Quei sei telex erano stati però “inabissati” nel faldone delle segnalazioni anonime. Così accuratamente celati da non riemergere nemmeno nel 2001 durante la “lunga” indagine del sostituto procuratore Paolo Giovagnoli durata sei giorni.
In quell’estate del 2005 partì una campagna di stampa che ha cercato di sminuire e minimizzare il ruolo di Kram all’interno del gruppo Carlos e le sue competenze specifiche. Infatti sì è cercato in tutti i modi di negare l’appartenenza del terrorista tedesco all’Organizzazione dei Rivoluzionari Internazionalisti (ossia il gruppo Carlos) e lo si è presentato sempre come esperto di falsificazione di documenti mentre, già nel mandato di cattura della Bka del dicembre 2000, si evidenziava che «non aveva difficoltà a preparare cariche esplosive e detonatori a tempo». Occorre ricordare che questo documento fu inviato dalla questura di Bologna alla Procura il 24 aprile 2001 ovvero lo stesso giorno dell’archiviazione di quel fascicolo per quanto riguardava Kram.
Kram, in realtà, era membro effettivo del gruppo terroristico di Carlos dalla metà del 1979. In un «Katalog» del gruppo Separat (la pratica interna del XXII Dipartimento della polizia segreta della Ddr riguardante il gruppo Carlos) Kram è classificato al numero 7 (il numero 1 era naturalmente Carlos, il numero 2 era il suo braccio destro, e diretto superiore di Kram, Johannes Weinrich, numero 3 e 4  erano rispettivamente Magdalena Kopp e Abul Akam). La sodale Christa-Margot Fröhlich, iscritta con Kram nel registro degli indagati dalla procura bolognese nel 2011, entrò nel gruppo Carlos nei primi mesi del 1980, introdotta proprio da Kram (nel febbraio 1980 è registrata una permanenza di alcuni giorni della Fröhlich a Budapest dove c’era uno dei quartier generali di Carlos). (http://www.segretidistato.it/?p=216)

Christa-Margot Fröhlich: il mancato confronto
Quando nel febbraio 1982, Magdalena Kopp e Bruno Breguet vennero arrestati a Parigi con armi ed esplosivo, Carlos minacciò le autorità francesi di ritorsioni se i due non fossero stati immediatamente liberati. Al rifiuto francese seguirono almeno quattro sanguinosi attentati (di cui tre a treni e stazioni) che causarono complessivamente 11 morti e 155 feriti: il 29 marzo 1982 al treno Parigi-Tolosa “Le Capitole”; il 22 aprile 1982 al quotidiano filo irakeno al-Watan al-Arabi; il 31 dicembre 1983 alla stazione Saint-Charles di Marsiglia e al Tgv Marsiglia-Parigi. Per questi attentati il 15 dicembre 2011 Carlos, Weinrich e al-Issawi sono stati condannati all’ergastolo, condanna confermata in appello il 26 giugno 2013. Christa-Margot Fröhlich, imputata solo per l’attentato al giornale arabo, è stata assolta sia in primo grado sia in appello. L’accusa sosteneva un suo ruolo nel trasporto dell’esplosivo utilizzato nell’attentato di reu Marbeuf. Questi processi e queste condanne sono passati quasi completamente sotto silenzio in Italia, ma l’assoluzione della Fröhlich ha dato l’occasione ad Antonella Beccaria di scrivere:

«[Christa-Margot Fröhlich] Non ha fatto parte del gruppo del terrorista Carlos. La prima novità è questa e giunge dalla Francia, dove nei giorni scorsi si è concluso il processo d’appello al venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, conosciuto con il soprannome che richiama il protagonista di un romanzo di Frederick Forsyth, condannato per la seconda volta all’ergastolo per quattro attentati commessi tra il 1982 e il 1983 a Parigi (in rue Marbeuf), sul treno che dalla capitale viaggiava verso Tolosa, alla stazione marsigliese di Saint-Charles à Marseille e sul convoglio ad alta velocità Marsiglia-Parigi. Con lui era imputata anche la oggi settantenne tedesca Margot Christa Fröhlich, accusata di avere collaborato con Carlos e con il suo gruppo. Ma per lei, come già in primo grado aveva stabilito il tribunale francese, è giunta una nuova assoluzione.
Questo nuovo verdetto potrebbe costituire un elemento utile al fascicolo su cui sta lavorando la procura di Bologna» (Antonella Beccaria, Strage di Bologna, i familiari delle vittime: “Arrivare ai mandanti è possibile”, il Fatto Quotidiano, 2 luglio 2013).

Si sta forse ripetendo lo stesso copione utilizzato per Kram? È in atto forse un ennesimo tentativo di minimizzare ruolo e attività – in questo caso di Christa-Margot Fröhlich – analogamente a quanto è accaduto per 30 anni nei riguardi di Kram?

Va detto che se per Kram c’è la prova documentale della sua presenza a Bologna nella notte tra il 1° e il 2 agosto 1980, per quanto riguarda la Fröhlich, la carenza delle indagini svolte all’epoca non ha permesso di stabilire in modo sicuro la sua eventuale presenza in città il giorno della strage e quello precedente. Nel suo caso esiste solo la testimonianza del cameriere caposala dell’hotel Jolly situato nei pressi della stazione centrale.

La Fröhlich venne arrestata a Fiumicino il 18 giugno 1982 con una valigia di esplosivo, ma non venne mai effettuato un confronto all’americana col testimone che diceva di averla riconosciuta nella foto apparsa sul Resto del Carlino il 22 giugno 1982, come la donna con la quale egli aveva conversato il 1º e il 2 agosto 1980.

Nella documentazione accessibile presso il BStU (Bundesbeauftragte für die Stasi-Unterlagen), l’istituto federale berlinese che gestisce il patrimonio documentale della Stasi, è rilevabile che la Fröhlich era membro effettivo del gruppo Carlos, tanto che, ad esempio, esiste una rapporto interno della Stasi che rileva le reazioni del gruppo Carlos al suo arresto romano (si veda l’articolo http://www.segretidistato.it/?p=150).
In altri documenti si può evidenziare un incontro della Fröhlich con Carlos a Budapest in compagnia di Kram avvenuto tra il 27 e il 31 ottobre 1980.

Conclusioni

Come esercizio e considerazione finale proviamo a rovesciare in un gioco di specchi gli attori di questa tragedia. Immaginiamo se esistessero documenti che comprovassero la presenza di un ipotetico terrorista di estrema destra sul luogo di una strage avvenuta in un Paese dell’Europa orientale. Immaginiamo anche che fosse documentata la presenza di questo personaggio – facente parte di un gruppo terroristico di estrema destra collegato ad una più ampia e potente organizzazione internazionale – a Langley (sede della Cia). Domanda: ci sarebbero voluti 31 anni per assistere all’iscrizione di questa persona nel registro degli indagati per quella strage?

Inevitabili domande che sorgono spontanee dai documenti rinvenuti e finalizzate a far luce ed eventualmente a sgombrare il terreno da qualsiasi dubbio residuo.

  • Il 14 agosto 1981 Abu Anzeh Saleh, che era stato arrestato il 14 novembre 1979 per la vicenda dei missili di Ortona, viene scarcerato anticipatamente per decorrenza dei termini di custodia. Nemmeno un mese dopo, il 10 settembre 1981, il consigliere istruttore aggiunto Aldo Gentile dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Bologna, invia un telex alla Corte d’Appello (Sezione Penale) dell’Aquila di questo tenore:«Ai fini procedimento relativo attentato stazione ferroviaria Bologna 2 agosto 80 rendesi necessario convocazione in Roma Saleh Abu Anzeh periodo 15 – 21 settembre. Prego pertanto autorizzare detto periodo assenza Bologna predetto imputato sottoposto codesta Corte obbligo dimora Comune Bologna et presentazione periodica Questura Bologna».Qual è il motivo di questa richiesta e quali elementi aveva il magistrato per inserire il nome di Saleh negli atti e nelle indagini per la strage del 2 agosto? (http://www.segretidistato.it/?p=217)
  • Giovanni Senzani, criminologo e ideologo del cosiddetto Partito guerriglia, dopo la cattura di Mario Moretti a Milano il 4 aprile 1981, eredita la direzione delle Brigate rosse e con essa i suoi contatti internazionali. La notte del 9 gennaio 1982 Senzani viene arrestato nell’appartamento-covo di via della Stazione di Tor Sapienza 38 a Roma. Nel suo portafogli viene rinvenuto un documento, quattro facciate manoscritte su un comune foglio di quaderno a quadretti, noto come “olografo di Senzani”.  Un passo di questo manoscritto, resoconto di un incontro con Abu Ayad avvenuto a Parigi pochi giorni prima del Natale 1981, recita:«Gli ultimi attentati gravi in Europa (Sinagoga, Bo e Trieste (?)) possono essere letti in questa chiave internazionale».«Bo» si riferisce forse alla strage di Bologna? La pagina dell’olografo contenente questo passaggio fu trasmessa dal giudice Rosario Priore alla Procura di Bologna il 7 maggio 1983.
    Come mai i giudici istruttori Vito Zincani e Sergio Castaldo che sentirono Senzani l’8 settembre 1983 non gli chiesero conto di quella sigla? (http://www.segretidistato.it/?s=senzani&x=0&y=0).

 

Gian Paolo Pelizzaro, Gabriele Paradisi e sextus empiricus