strage-di-piazza-fontana«Della sera del 12 dicembre 1969, la sera della bomba nella Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano, ricordo la nebbia fitta, la caligine da Malebolge» (Giorgio BoccaQuella sera in piazza Fontana, «la Repubblica», 11 dicembre 2009).

Anch’io ho un ricordo plumbeo di quella sera. Un ricordo che affiora dalle ombre della mia infanzia che stava inesorabilmente volgendo al termine. Come il decennio: i “mitici”, rutilanti, anni ’60. Anni colorati da musica inarrivabile; dai vestiti a fiori degli hippies; dall’immaginazione che voleva andare al potere. Un decennio straordinario e variopinto esaltato da acidi lisergici e luci psichedeliche terminava drammaticamente nel grigiore più cupo e “con la previsione di un triste domani”.

Quarant’anni sono trascorsi da quella sera. Da quella strage che annunciò “anni di piombo”, P38, altre bombe e gioventù sconvolte. Quarant’anni che non riescono a bastare ancora per una “verità condivisa”, per una “riconciliazione”, che non sia per una foto ricordo buona per i rotocalchi (le vedove Pinelli e Calabresi in posa con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – 8 maggio 2009, Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi).

Il 28 maggio 2009 per i tipi di Ponte alle Grazie è uscito il libro di Paolo Cucchiarelli “Il segreto di Piazza Fontana”. Settecentoquattro pagine d’inchiesta, una ricerca che ha impegnato il giornalista dell’ANSA per oltre dieci anni. Un lavoro minuzioso, quasi maniacale. E una tesi che sconvolge quattro decenni di processi (ben undici) scandalosamente inutili, ma anche quella “verità ufficiosa” che, malgrado tutto, si è comunque depositata in questi lunghi anni sull’opinione pubblica.

La “soluzione” per la strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura (17 morti e 88 feriti) venne suggerita addirittura da giornali stranieri immediatamente a ridosso della tragedia. Per farci comprendere meglio e subito, il settimanale inglese «The Observer» espresse il concetto direttamente in italiano, e con qualche doppio senso. In un articolo di Leslie Finer, sul numero in edicola il 14 dicembre 1969 ma anticipato alla stampa il 13, articolo ovviamente scritto in inglese, spiccava un’espressione molto efficace declinata proprio nella nostra lingua: “strategia della tensione”. Al principio parve un ironico richiamo alla “strategia dell’attenzione” di Aldo Moro il quale, in un discorso tenuto il 29 giugno 1969 al Congresso della Democrazia Cristiana, invitava a prendere atto che bisognava “rendere possibile, lasciando da parte ambiguità e comodità, il più ampio dialogo in vista di una nuova e qualificata maggioranza”. In altri termini, un nuovo atteggiamento di “attenzione” del partito cattolico nei confronti del Pci.

L’«Observer» scriveva: «Nessuno è tanto pazzo da rimproverare il presidente Saragat per gli attentati. Ma non è difficile capire che la sua strategia della tensione incoraggiava l’estrema destra ad andare verso il terrorismo» (Durissimo attacco dell’«Observer» alle destre e ai socialdemocratici, «l’Unità», 14 dicembre 1969).

Sappiamo tutti il significato profondo che acquistò, nei decenni successivi, la locuzione “strategia della tensione”, che inevitabilmente sfociava in un’altra espressione ancora più sinistra: “strage di Stato”. “La strage di Stato: controinchiesta” fu anche il titolo di un libro, pubblicato nel giugno 1970 da Samonà e Savelli, forse la più famosa inchiesta della “controinformazione” di quegli anni. Il libro ebbe numerose ristampe (l’ultima, in ordine di tempo, è apparsa nel 2006 da Odradek) ed una notevole diffusione.

La “strategia della tensione” dunque rimandava ad un diabolico intreccio di apparati deviati, estremismo neofascista, servizi atlantici oltranzisti e una regia politica oscura e nascosta, e con ciò si poté “spiegare” ogni strage, ogni nefandezza anche quando non si riusciva, cioè quasi sempre, a giungere a sentenze di tribunali.

Una storia “doppia”

Cucchiarelli, che va ricordato è un giornalista di sinistra, nel suo libro ci racconta un’altra storia molto più articolata.

Alla BNA non c’era una sola bomba bensì due. Una piazzata proprio da Pietro Valpreda. Ma quella anarchica era una bomba solo dimostrativa con un timer tarato per esplodere dopo la chiusura della banca. Una bomba quindi che non doveva fare vittime. Quella dei fascisti di Ordine Nuovo (dietro i quali agivano gli apparati dello Stato che volevano creare le condizioni per una soluzione golpista sul modello della Grecia, dove era al potere dal 21 aprile 1967 una giunta militare), invece era molto più potente ed era stata realizzata con esplosivi di diversa natura. I fascisti si erano infiltrati tra gli anarchici e sapendo della loro azione dimostrativa, decisero di renderla mortale, “raddoppiandola”. Valpreda venne portato nei pressi della banca dal taxi di Cornelio Rolandi, che poi lo riconoscerà. Aveva con sé una borsa dotata di timer programmato per esplodere due ore dopo, a banca chiusa. Un fascista, Claudio Orsi, somigliante a Valpreda, arrivò su un altro taxi e con un’altra borsa. Questa conteneva esplosivo innescato da una miccia corta. La borsa di Valpreda scoppierà per simpatia e l’effetto sarà ancora più devastante.

Quindi due taxi, due “Valpreda”, due borse. Doppia bomba… Doppio Stato.

La cortina del silenzio

Che reazione hanno riservato i giornali all’enciclopedica e innovativa inchiesta del loro collega Cucchiarelli? Tra i maggiori quotidiani, solo il Corriere della Sera ha dato preventivamente risalto all’uscita del libro con due articoli del 28 maggio 2009 (una lunga recensione di Aldo CazzulloDue borse, due bombe e la nuova tesi su Valpreda e Pinelli e un articolo di Giuseppe GuastellaL’ultimo mistero su Piazza Fontana: fu un attentato dalla doppia firma). Nelle settimane a seguire, ma anche in concomitanza con l’anniversario della strage il 12 dicembre, sul quotidiano di via Solferino è mancata però una qualsiasi discussione che quell’anteprima poteva lasciar immaginare. A parte dunque il Corriere, i lettori degli altri più diffusi quotidiani italiani, la Repubblica e La Stampa, ad esempio, sono stati lasciati completamente all’oscuro sull’inchiesta di Cucchiarelli. Come mai?

A scorrere i rari commenti apparsi sui giornali si osserva uno spiazzamento e un disagio generalizzati. Nell’ormai classico “minestrone” della “strategia della tensione”, Cucchiarelli, inopinatamente, ha inserito un nuovo ingrediente, di colore rosso vivo. Un ingrediente per taluni del tutto indigesto.

«Sempre che si voglia prendere sul serio Cucchiarelli, piuttosto che considerare il suo libro un’esercitazione brillante su una verità che rimane comunque ignota» (Piazza Fontana: se il rosso si mescola col nero, «La Voce Repubblicana», 30 maggio 2009).

«700 dense pagine di analisi serrate e tesi discutibili quanto chiare» (Marco PalombiLa “doppia bomba” di piazza Fontana, «Liberal», 3 dicembre 2009).

«Ci sono libri che anche se discussi e discutibili in alcune loro tesi aggiungono tanti dettagli, come il libro di Paolo Cucchiarelli» (Carlo LucarelliRiaprire le indagini, «l’Unità», 11 dicembre 2009).

Qua e là anche qualche commento positivo. Gianfranco Fini: «nel libro di Cucchiarelli utili indicazioni alla scoperta della verità».

«Rosario Priore, ex giudice istruttore […], afferma che Il segreto di Piazza Fontana, abbia “risvegliato da un sonno pesante” l’opinione pubblica su una strage su cui “era calata negli anni una coltre di silenzio”» (Alessandro Da RoldDue bombe per una strage il segreto di Piazza Fontana, «Il Riformista», 29 maggio 2009).

Sprezzante, e da derubricare a reazione impulsiva, invece il commento di Adriano Sofri su «Il Foglio» del 30 maggio 2009. Bastano le prime parole della sua rubrica “Piccola posta” per classificarlo: «Non ho letto le 700 pagine del libro di Paolo Cucchiarelli su piazza Fontana». Sofri dunque non ha letto nulla e ciò nonostante si sente giustificato a relegare il lavoro di Cucchiarelli quasi ad una meteopatia stagionale, un colpo di calore: «Fa un gran caldo, nella primavera del 2009, sul serio, non come il 15 dicembre del 1969. Caldissimo».

Non vorrei scomodare Freud, ma quel 15 dicembre (data della morte di Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della questura di Milano, si disse per colpa del commissario Luigi Calabresi) al posto del 12 dicembre (data della strage alla BNA) lascia intendere che un’ossessione precisa abbia tormentato ininterrottamente Sofri per quarant’anni. Un’ossessione, se possibile, da rimuovere. E così, dal maggio 2009 non risulta più nessuna sua dichiarazione successiva nonostante gli oltre 150 articoli scritti per Il Foglio o per Repubblica, archiviati nella Rassegna stampa della Camera.


La verità non condivisa

Il disagio e i silenzi dei giornali sulla “monumentale” inchiesta di Cucchiarelli si spiegano anche con l’incapacità di accettare verità o scampoli di verità scomodi. Quasi che la difesa strenua delle posizioni ideologiche non riesca a cessare nemmeno dopo tanti anni, dopo che persino gli scenari politici e storici sono completamente mutati.

«Ma in quest’Italia sfilacciata e proterva, la storia e il ricordo rischiano di apparire solo una consolazione personale, individuale, in un paese che tutto

dimentica perché la condivisione del passato, di ogni passato, non è ancora una conquista collettiva e chissà se mai lo sarà.

(Rinaldo GianolaI fascisti ora parlano. Un nuovo processo per la verità completa, «l’Unità», 12 dicembre 2009).

«[Nello stesso articolo Gianola intervista l’avvocato dei familiari delle vittime Federico Sinicato che afferma] Io penso e ripeto che la memoria di quella strage sia un elemento fondante della nostra storia. Piazza Fontana ha un valore profondo nella coscienza democratica del paese, è uno snodo essenziale. Non lo si può superare saltandolo, bisogna affrontarlo e risolverlo come fanno tutti i paesi davanti alle grandi tragedie. Le generazioni di ragazzi di allora sono diventate adulte con piazza Fontana accanto, destra e sinistra sono cresciute nella diffidenza reciproca, profonda per quel fatto. O sciogliamo tutti insieme quel nodo e scriviamo una storia condivisa, accettata da tutti e così l’Italia può superare questo quarantennio oppure si protrarrà la divisione. Non ci sono alternative. Piazza Fontana ha lo stesso valore della lotta di Liberazione, ci sono voluti decenni perché il paese acquisisse la Resistenza come fondamento della Repubblica. La memoria è importante. Conta di più, però, sciogliere i nodi».

Dunque l’auspicio di molti è di giungere finalmente a verità condivise che portino finalmente il nostro paese ad una unità storico-culturale che finora gli è totalmente mancata. Senza dimenticare che forse è proprio questo uno dei motivi per cui la nostra è a tutti gli effetti una democrazia incompiuta. Ma questo passaggio, nonostante il tempo trascorso da certi snodi fondamentali sembri sufficientemente lungo, non sarà né facile né indolore.

Paolo Cucchiarelli ha espresso con parole nette e chiare un’opinione che ci sentiamo di condividere pienamente:

«In Italia i segreti politici sono come una torta: tutte le forze in campo inclusi il PCI e la sinistra extraparlamentare, hanno una fetta che li vede protagonisti e questo fa sì che la torta resti intatta ed intoccabile. Per rompere questa situazione bisogna far “saltare la torta”, mettere mano a tutte le fette, compresa quella, dolorosa, di Valpreda e del suo essere caduto nella “trappola” che Stato e fascisti gli tesero. Questo è l’unico modo per poter arrivare, con certezza, ad individuare la reale responsabilità» (Manlio Castronuovo, Intervista a Paolo Cucchiarelli: l’indicibile verità su Piazza Fontana, dal sitowww.vuotoaperdere.org, 11 dicembre 2009).

Intervista a Paolo Cucchiarelli