Organigramma2

L’agitazione fa brutti scherzi. Con l’ansia di negare, confermano tutto. E se non si trattasse di una delle pagine più tragiche e gravi della storia dell’Italia repubblicana, ci sarebbe da ridere. Il comitato transnazionale di difesa (qualcosa di molto simile a una sezione del Soccorso Rosso internazionale) di Thomas Kram – il terrorista tedesco iscritto dalla Procura di Bologna, nell’estate 2011, nel registro degli indagati nell’ambito della nuova inchiesta sulla strage di Bologna, aperta nell’estate del 2005 – nel forsennato affanno di “ripulire” l’immagine e il ruolo di Kram continua, imperterrito, a scaricare online versioni e ricostruzioni dei fatti che non fanno altro che aggravare la posizione del loro “assistito”.

Il giorno di Ferragosto, Guido Ambrosino del manifesto, con l’idea di fare un bel favore a Kram cercando di stornare da lui i sospetti di coinvolgimento nell’attentato del 2 agosto 1980, ha pubblicato una serie di materiali sulla storia delle Revolutionäre Zellen (le Cellule rivoluzionarie), organizzazione terroristica tedesca di cui Kram è stato uno degli elementi di spicco, eludendo però il nocciolo della questione: e cioè i motivi che hanno spinto Thomas Kram a Bologna il 1° e il 2 agosto del 1980.
Il prodotto finale di questo frettoloso sforzo è un pastrocchio che non fa altro che gettare ancora più ombre e sospetti sul ruolo di Kram e sulla sua presenza a Bologna il giorno dell’attentato.

Andiamo a fondo del problema.
Ambrosino – già corrispondente dalla Germania del quotidiano il manifesto dal 1985 al 2012, autore dell’ormai nota “intervista” allo stesso Kram (la sua prima “memoria difensiva”) pubblicata sul medesimo giornale il 1° agosto 2007, e recente curatore della traduzione italiana della seconda “memoria difensiva”, consegnata da Kram in persona alla Procura di Bologna lo scorso 25 luglio 2013 – ha immesso in rete, nel solito sito ilmanifestobologna.it, due nuovi testi. Una mossa, questa, che tradisce tutto il nervosismo e la preoccupazione per eventuali nuovi sviluppi giudiziari sul fronte della cosiddetta pista palestinese.

Nel primo [http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2013/08/strage-bologna-la-falsa-pista-tedesco-palestinese-documentazione-inedita-in-italia-su-kram-e-le-cellule-rivoluzionarie/] ­– che funge da lunga premessa al secondo [http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2013/08/thomas-kram-gerd-albartus-un-nostro-compagno-ucciso-da-carlos-una-ricostruzione-per-la-radio-tedesca/] – continuando a polemizzare contro «i segugi centrodestri della commissione Mitrokhin» che «proponevano proprio una pista tedesca, o meglio tedesco-palestinese, per la strage del 1980 alla stazione di Bologna», Ambrosino sostiene che «in quel costrutto interamente traballante il versante tedesco era il più farlocco».

Quanto a «costrutti farlocchi», Ambrosino è un vero e proprio specialista, come si evince dalle sue stesse parole nel post scriptum – a dir poco imbarazzante – datato 28 luglio 2013 [http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2013/07/memoria-bologna-lultimo-depistaggio-versione-aggiornata-dal-manifesto-del-1-agosto-2007/] e aggiunto il giorno successivo alla riedizione online della sopra citata “intervista” a Kram pubblicata sul manifesto il 1° agosto 2007.

Quel post scriptum merita ulteriori osservazioni, che si aggiungono a quelle già da noi formulate in un precedente articolo ­del 3 agosto 2013 [http://www.segretidistato.it/?p=880]. 

Una «precisazione» giunta con sei anni di ritardo
È d’obbligo una prima domanda preliminare. Come mai Guido Ambrosino ha impiegato sei anni per rendersi conto che quell’“intervista” richiedeva precisazioni e rettifiche, per di più pubblicate tre giorni dopo che lo stesso Kram aveva consegnato ai magistrati della Procura di Bologna, il 25 luglio 2013, la sua seconda “memoria difensiva”?

La mancata registrazione e la versione più estesa dell’“intervista”
Dal testo del post scriptum si apprendono cose assai interessanti. Scrive, infatti, Ambrosino:

«Non ho registrato l’intervista, ma conservo gli appunti presi allora, che sono andato a controllare, e mi consentono ora di rettificare».

Dalle sue parole si evince non solo che l’“intervista” del 1° agosto 2007 non è stata registrata – un regresso tecnologico assai singolare – ma che, sembra, non esista neppure il testo originale, presumibilmente in tedesco, delle (presunte) dichiarazioni di Kram rilasciate allo stesso Ambrosino. L’autore precisa infatti che conserva «gli appunti presi allora» e pertanto non sembra esserci neppure uno stenografico degno di questo nome.

Emerge, inoltre, un altro elemento degno di nota:

«Un terzo passaggio […] cadde vittima di un taglio».
«Ricordo che per esigenze di spazio dovetti radicalmente accorciare la prima stesura dell’intervista».

Se ne deve desumere perciò che esisteva, in origine, una versione molto più estesa dell’intervista del 2007. Che fine ha fatto? Mistero.

Un sonnambulo disperso tra le vie di Bologna e le imbarazzanti aggiunte
Ambrosino annaspa poi, come un sonnambulo tra le vie di Bologna, in una serie di precisazioni sulla toponomastica della città felsinea nel tentativo di rincorrere la recente versione della seconda “memoria difensiva” di Kram, che, di fatto, smentisce e sconfessa proprio quell’“intervista” del 2007. E chiede scusa, con leggero ritardo, per gli «equivoci “topografici”» nei quali era incorso “solo” sei anni prima.

 «Siccome non sono pratico della topografia di Bologna […]». «La colpa degli equivoci “topografici” è tutta mia, e me ne rammarico».

Ambrosino deve aver dimenticato però che durante l’“intervista” mentre prendeva «appunti», Kram consultava una «piantina di Bologna». In quel testo del 2007 infatti si trova scritto:

 «Su una piantina di Bologna, Kram ricostruisce il percorso del giorno dopo [2 agosto 1980]».

 È probabile che Ambrosino fosse distratto in quel frangente. Oppure forse anche quella «piantina di Bologna» è una sua «inconsapevole aggiunta»? Al pari del «piazzale della stazione», o della «stazione delle autocorriere», luoghi di cui non si trova più traccia nella seconda “memoria difensiva” di Kram del 25 luglio 2013 e che Ambrosino si accorge, ripetiamo a sei anni di distanza, di aver aggiunto – a sua insaputa – al testo dell’intervista del 2007.
Ecco come Ambrosino espone gli «equivoci “topografici”» nei quali è caduto. Nel testo del 2007, Kram aveva dichiarato:

«Poi mi incamminai verso la stazione su una grande strada, forse via dell’Indipendenza. Le sirene tranciavano l’aria. Da lontano vidi sul piazzale della stazione il lampeggiare di ambulanze e mezzi dei pompieri. Si capiva che era successo qualcosa di grave».

Nel post scriptum del 2013 Ambrosino precisa:

«In effetti la localizzazione di quei mezzi di soccorso “sul piazzale della stazione”, negli appunti non c’è. Dev’essere stata una mia inconsapevole aggiunta».

Nel testo del 2007, Kram proseguiva:

«Non mi avvicinai. Dopo l’esperienza del giorno prima a Chiasso non volevo incappare in nuovi controlli di polizia. Un taxi mi portò alla stazione delle autocorriere. A Firenze arrivai in pullman».

Nel post scriptum del 2013 Ambrosino puntualizza:

«Negli appunti la “stazione delle autocorriere” non c’è. Deve essere stata una mia seconda aggiunta».

Il taxi fantasma che si aggira, ancora, per le vie di Bologna

Quei due luoghi di Bologna (il «piazzale della stazione» e la «stazione delle autocorriere»), spariti dalla seconda “memoria difensiva” di Kram del 2013, erano due elementi assai imbarazzanti, due clamorosi infortuni. Infatti, per poter notare qualcosa del «piazzale della stazione», Kram doveva inevitabilmente trovarsi alla fine (rispetto al centro della città) di via dell’Indipendenza e doveva guardare verso la sua sinistra. Da quel luogo inoltre, secondo la versione del 2007, lo stesso Kram avrebbe preso un taxi per andare alla «stazione delle autocorriere», ossia esattamente nel luogo dove egli già si trovava (bastava che guardasse alla sua destra).
Per di più sarebbe dovuto andare in quel luogo per prendere un pullman che doveva portarlo a Firenze, ossia per usufruire di un servizio che non veniva svolto in quella «stazione delle autocorriere».

A questo punto era naturale attendersi che Ambrosino facesse sparire quell’ingombrante e imbarazzante taxi evocato nell’“intervista” del 2007 – “fantasma semovente” dissoltosi anch’esso nel testo di Kram del 2013, che ora nulla più ricorda delle modalità del suo trasferimento a Firenze:

«Non posso più dire con certezza per quale via ho infine lasciato Bologna e raggiunto Firenze».

Una terza sparizione era evidentemente troppo anche per Ambrosino. Così, a sorpresa, egli propone un nuovo “costrutto”:

«Credo di ricordare che Kram, dopo i tanti anni trascorsi da quella sua giornata bolognese, si sia espresso in modo più generico: “Cercai un taxi, e mi feci portare a una fermata dei bus per Firenze”».

Da notare che qui è Ambrosino che crede «di ricordare che Kram…», ossia è un presunto ricordo, non di Kram bensì di Ambrosino, che comunque il giornalista attribuisce al tedesco.

Nel post scriptum il nuovo “costrutto” è così articolato:

«Negli appunti trovo solo la schematica sequenza: “Sono tornato indietro/Con bus Firenze”. […] Quel “sono tornato indietro”, cioè verso Piazza Maggiore da dove Kram proveniva, è caduto vittima di un taglio: così non si capisce più che la ricerca del taxi avvenne in centro, quando Kram si era già allontanato dalla stazione».

Ambrosino non si rende conto che anche questo suo nuovo «costrutto» del 2013, ossia che «la ricerca del taxi avvenne in centro», è «farlocco» tanto quanto, ed esattamente, come quello del 2007. Vediamo perché.

Come abbiamo già segnalato nel nostro articolo del 31 luglio 2013, nel 1980 era attivo un servizio giornaliero delle Ferrovie dello Stato che prevedeva sola una corsa serale di un pullman (alle ore 17) verso Firenze con partenza da piazza Maggiore. Il percorso inverso che da Roma, via Firenze, arrivava a Bologna per ripartire in direzione Venezia, era programmato alle ore 11 del mattino. Pertanto – ammesso che Kram avesse cercato questo servizio delle Ferrovie dello Stato – Ambrosino pretenderebbe nuovamente – esattamente com’era già avvenuto nel «costrutto farlocco» del 2007 – di far prendere a Kram un taxi per andare dove già egli si trovava (ossia piazza Maggiore, in pieno centro di Bologna). Da notare inoltre che sarebbe stata una ricerca inutile. La corsa per Firenze non c’era alla mattina ma solo nel tardo pomeriggio.
Incurante del ridicolo, pur di mantenere in circolazione il suo taxi fantasma, Ambrosino scrive ancora:

«Dal centro un taxi gli sarebbe servito, sia per raggiungere la stazione delle autocorriere, di cui comunque Kram ignorava l’ubicazione (magari con un percorso diverso da via Indipendenza), sia per altre fermate. Adesso alcune linee a lunga percorrenza fermano vicino all’autostrada senza entrare in città. Forse accadeva anche trenta anni fa».

Ossia Ambrosino vorrebbe rimandare Kram di nuovo in fondo a via dell’Indipendenza, nella stessa «stazione delle autocorriere» dalla quale lo aveva appena allontanato, magari facendogli fare un tragitto più vizioso (da parte di qualche tassista un po’ truffaldino), oppure farlo vagare nella periferia di Bologna alla ricerca di qualche fermata di pullman nei pressi dell’autostrada. Sono solo altri miseri esempi di espedienti topografici che fanno ancora di più dubitare su quali siano state davvero le dichiarazioni di Kram nel 2007 e su quali siano state le aggiunte più o meno inconsapevoli di Ambrosino.

Le «precisazioni» mancanti
Le «precisazioni» del post scriptum di Ambrosino terminano qui. Ma ben altre precisazioni avrebbe dovuto fornire Ambrosino. Infatti, gli indefiniti «lettori bolognesi» – che in realtà non erano solo bolognesi – evocati nel suo post scriptum, già a partire dai mesi di settembre e ottobre 2007 avevano scoperto che il punto fondamentale dell’“autodifesa” di Kram – esposta nell’“intervista” del 2007 – si basava su una clamorosa manipolazione testuale di un documento della polizia di frontiera italiana redatto a Chiasso il 1° agosto 1980, al momento del fermo di Kram.

Così la domanda cruciale che va posta ad Ambrosino è questa: chi ebbe la brillante idea di utilizzare il Documento conclusivo del centrosinistra della Commissione Mitrokhin, depositato il 23 marzo 2006, che contiene quella scandalosa manipolazione testuale – un vero e proprio falso – per sorreggere l’impalcatura dell’“autodifesa” di Kram?
Così i «mitrokhisti», sarcasticamente evocati nel suo scritto del 15 agosto 2013, sono quelli che Ambrosino si ritrova a casa propria, in quella famigerata “intervista”, nella quale quei giochi di prestigio testuali sono per di più citati alla lettera.
A questo punto è necessario riproporre in sintesi, per l’ennesima volta, i punti fondamentali di questa sconcertante vicenda.

  • Alla fine di luglio 2005, grazie al lavoro di Gian Paolo Pelizzaro, consulente tecnico della Commissione Mitrokhin, emerge pubblicamente, dopo un oblio perdurato per un quarto di secolo, la presenza a Bologna il 1° e il 2 agosto 1980 di Thomas Kram. Ha finalmente un nome l’anonimo «compagno» che Carlos aveva collocato alla stazione di Bologna al momento della strage, nell’intervista al Messaggero del 1° marzo 2000.
  • Dopo una serie di interpellanze e interrogazioni parlamentari, avviate proprio in quel luglio del 2005, nel novembre di quello stesso anno la Procura di Bologna è “costretta” ad aprire un nuovo fascicolo di indagine, contro ignoti, sulla strage del 2 agosto 1980.
  • Il 23 febbraio 2006, i consulenti della Commissione Mitrokhin Gian Paolo Pelizzaro e Lorenzo Matassa depositano la Relazione sul gruppo Separat e il contesto dell’attentato del 2 agosto 1980, è lo studio fondamentale di quella che nel linguaggio giornalistico verrà poi denominata la “pista palestinese” o “tedesco-palestinese”, o “teutonico-palestinese”.
  • Il 23 marzo 2006, viene depositato agli atti della Commissione Mitrokhin il Documento conclusivo sull’attività svolta e sui risultati dell’inchiesta, presentato dai commissari del centrosinistra (17 parlamentari, tra senatori e deputati); otto giorni prima, il 15 marzo, un analogo Documento conclusivo era stato presentato dal presidente senatore Paolo Guzzanti (e da 18 tra senatori e deputati del centrodestra).
  • Nel dicembre 2006, Kram riemerge nella Repubblica federale di Germania, dopo un periodo di latitanza durato esattamente 19 anni (in quel lasso di tempo viene abbattuto il Muro di Berlino, novembre 1989; viene riunificata la Germania, ottobre 1990; si dissolve l’Unione sovietica, dicembre 1991; gli archivi della Stasi da allora diventano accessibili. Ambrosino, che si proclama frequentatore di «tedescherie», ha qualche notizia sulla latitanza di Kram, su chi lo ha aiutato e coperto per così tanti anni?).
  • Il 1° agosto 2007 il manifesto pubblica l’“intervista” a Kram, raccolta dallo stesso Ambrosino.

In quel momento Kram non è iscritto nel registro delle notizie di reato della Procura di Bologna, per la strage del 1980, né lo è da parte della magistratura tedesca. Eppure, Kram, spontaneamente, accettando implicitamente una sorta di inversione dell’onere della prova, si sente in obbligo di articolare un’“autodifesa” mirante proprio a fornire un motivo, una giustificazione della sua presenza a Bologna il 1° e il 2 agosto 1980. Evidentemente lo stesso Kram riteneva che quella presenza avesse bisogno di una qualche spiegazione.

Il nucleo fondamentale della “memoria difensiva” del 2007 ruotava intorno ai seguenti punti cruciali. Kram sosteneva:

«Arrivato a Chiasso il primo agosto “alle ore 12,08 legali”, secondo le note della polizia riportate dalla relazione di minoranza della Mitrokhin, mi fecero scendere dal treno».
«Mi trattennero per ore. Mi sequestrarono una lettera dell’amica, che spiega il motivo del viaggio. L’appuntamento con lei a Milano saltò. Non riuscii a rintracciarla. Ripresi il treno per Firenze, ma sarei arrivato troppo tardi per trovare un albergo. Decisi di fermarmi a Bologna».

In realtà Kram non era arrivato a Chiasso «alle ore 12,08», dato che non esisteva alcun treno all’epoca che arrivasse a Chiasso dalla Germania a quell’ora. La «relazione di minoranza della Mitrokhin», dalla quale Kram citava alla lettera quell’orario, è più propriamente il Documento conclusivo del 23 marzo sopra citato. Ma quel testo manipolava pesantemente le «note» della polizia di frontiera italiana, ossia il telex redatto quel 1° agosto 1980, al momento del fermo di Kram.

I due punti decisivisi del telex manomessi alla pagina 230 del Documento conclusivo del centrosinistra sono i seguenti.

Il passo originale iniziale del telex così recita:

«Con treno 307 delle ore 12.08 legali odierne entrato Italia diretto Milano cittadino tedesco Kram Thomas Michael».

Nel Documento conclusivo, quel testo è così subdolamente manipolato, con l’aggiunta di due virgole che creano un inciso cruciale, e la trasformazione della preposizione «delle» in «alle»:

«con il treno n° 307, alle ore 12,08 legali, Kram è entrato in Italia diretto a Milano».

Nel passo originale conclusivo del telex si legge:

«Medesimo est qui giunto con treno nr. 201 delle ore 10.30 legali proveniente da Karlsruhe».

Il «medesimo» del telex è naturalmente Kram, «est qui giunto» significa naturalmente che Kram è giunto a Chiasso, luogo da dove era scritto lo stesso telex.

Nel Documento conclusivo si trova invece questa pesantissima trasformazione:

«È giunto a Milano con treno nr. 201 delle ore 10,30 legali proveniente da Karlsruhe».

Così l’«est qui giunto» originale (dove «qui» corrisponde a Chiasso) diventa «È giunto a Milano».

Il risultato dei “giochi di prestigio” testuali del Documento conclusivo del 23 marzo 2006 è quello di rendere indeterminata la durata del fermo di Kram a Chiasso. Infatti, Kram, nell’“intervista del 2007” affermava: «Mi trattennero per ore», ossia per un numero indefinito di ore. Questo è lo snodo cronologico cruciale all’origine della cascata di eventi che mettono in grado Kram di sostenere di essersi fermato a Bologna per una catena di eventi del tutto accidentali e casuali.

In realtà, dal testo originale del telex, correttamente inteso, si evince che Kram era giunto a Chiasso alle 10.30, era stato fermato e le operazioni di perquisizione si erano protratte per circa un’ora e mezza ed era stato fatto ripartire alle 12.08, con un treno per Milano.

Nella “memoria difensiva” del 25 luglio 2013, Kram ha, in effetti, dichiarato a proposito della cronologia dei suoi spostamenti a Chiasso, e poi a Bologna, quel 1° agosto 1980:

«La sosta durò circa da una a due ore» [a Chiasso].
«Nel corso del pomeriggio sono arrivato a Bologna».

Kram ha così sconfessato quanto dichiarato nell’“intervista” del 2007. Così facendo, ha fatto crollare completamente il fragile “castellino” costruito sul testo del telex, manipolato nel Documento conclusivo del centrosinistra. Ma così facendo la sua presenza a Bologna, già inquietante rispetto alla massa di elementi emersi durante i lavori della Commissione Mitrokhin, tale è rimasta anche secondo le sue dichiarazioni del 2013, che non presentano in realtà alcuna motivazione:

«Siccome io ero atteso a Firenze solo il 2 agosto da un conoscente, presso il quale avrei potuto pernottare, ho deciso lì per lì di fare tappa a Bologna sulla via per Firenze». 

Sono questi i veri chiarimenti che Ambrosino dovrebbe fornire a proposito della genesi di quella famigerata “intervista” del 2007. E insieme a lui i 17 commissari (o i loro consulenti) che hanno firmato (a loro insaputa?) il Documento conclusivo del centrosinistra del 23 marzo 2006.

L’inopportuna «gran risata» di Ambrosino
Dopo aver analizzato l’imbarazzante post scriptum del 28 luglio scorso, veniamo ora all’articolo che Ambrosino ha pubblicato il giorno di Ferragosto 2013.
Già la premessa, ritenuta dall’autore doverosa per informare «tutti i bolognesi» ai quali egli si è rivolto, come abbiamo visto, più volte durante queste settimane tra la fine di luglio e l’agosto 2013, contiene un paradosso. Ambrosino scrive infatti:

«Ho seguito sin dagli anni ’70 le vicende tedesche, prima occasionalmente, poi per professione, dal 1985 al 2012 come corrispondente dalla Germania del quotidiano “il manifesto”. Proprio per questa lunga frequentazione con le tedescherie, scoppiai in una gran risata quando venni a sapere che i segugi centrodestri della commissione Mitrokhin (la commissione d’inchiesta berlusconiana che ribollì rimasugli di guerra fredda, sulla scorta di materiali forniti da un ex agente del Kgb, con annessi provenienti da altri servizi dell’est) proponevano proprio una pista tedesca, o meglio tedesco-palestinese, per la strage del 1980 alla stazione di Bologna. In quel costrutto interamente traballante il versante tedesco era il più farlocco».

Ora non si capisce perché, se la materia era così traballante e esilarante, Ambrosino medesimo e con lui un ampio “comitato” di giornalisti, esperti e di politici nostrani, abbia approntato fin dall’estate 2005 una cieca e strenua difesa a favore di Thomas Kram, messa in campo addirittura quando lo stesso Kram era ancora latitante e di lui, in teoria, nulla si sapeva. Entrato, infatti, in latitanza il 18 dicembre 1987, il tedesco riemergerà solo dopo 19 anni nel dicembre 2006.

Dunque c’è da chiedersi: cosa ci trovava Ambrosino così tanto da ridere se poi egli stesso si era dato da fare nel 2007 ad imbastire un così articolato e “raffinato” impianto difensivo, ahimè rivelatosi poi del tutto inconsistente? E ancora: cosa ci trova oggi Ambrosino da ridere se continua a darsi da fare pubblicando articoli su articoli, imbarazzanti rettifiche, storie “criminali” delle Cellule rivoluzionarie, sempre con l’intento, nemmeno troppo dissimulato, di minimizzare o di nascondere le numerose imprecisioni, le contraddizioni, le incongruenze e soprattutto gli ostinati silenzi di Kram di fronte ai magistrati bolognesi che lo stanno indagando?

Nello stesso brano sopra riportato, Ambrosino mostra di non conoscere esattamente come si è sviluppata la ricerca che ha portato nel novembre 2005 alla riapertura presso la Procura bolognese di un nuovo fascicolo sulla strage alla stazione. La ricerca, infatti, partì addirittura durante l’ultimo periodo di lavori della Commissione Stragi (1996-2001) e si è poi sviluppata nell’ambito della Commissione Mitrokhin (2002-2006), con il deposito, il 23 febbraio 2006, della Relazione sul gruppo Separat e il contesto dell’attentato del 2 agosto 1980, elaborata dai consulenti Gian Paolo Pelizzaro e Lorenzo Matassa, come sopra già ricordato.
I materiali da cui è stato possibile configurare la cosiddetta “pista tedesco-palestinese” non derivano dai report del “dossier Mitrokhin” (compilati dal SIS, il Secret Intelligence Service britannico), ma da documentazione fornita dalla magistratura francese, la quale aveva ed ha, anche sulla base di tali documenti, processato e condannato Carlos nel 1997 e poi ancora nel 2011 e nel 2013.
La ricerca iniziata da Pelizzaro nel 1999 è proseguita anche dopo la chiusura, nell’aprile 2006, della Commissione Mitrokhin, con il contributo di un gruppo di ricercatori riunitosi attorno al portale tematico segretidistato.it della testata giornalistica LiberoReporter. Tale ricerca si è sviluppata in totale autonomia avvalendosi di documenti reperiti presso gli archivi di diversi tribunali italiani (Bologna, Venezia, Roma, Chieti) e presso il BStU (il Bundesbeauftragte für die Stasi-Unterlagen) l’istituto federale di Berlino che custodisce il patrimonio documentale della Stasi. Un libro: Dossier Strage di Bologna. La pista segreta (G.Paradisi, G.P. Pelizzaro, F. de Quengo de Tonquédec – Giraldi Editore, 2010), raccoglie buona parte di queste ricerche che stanno proseguendo online.

Ambrosino – ma non è il solo, a proposito della Stasi (la polizia politica dell’ex Germania dell’Est) – mostra una insormontabile difficoltà ad accettare la veridicità dei documenti da essa prodotti negli anni Settanta e Ottanta:

«“Lo dice la Stasi”, obiettano i mitrokhisti, dimenticando una fondamentale regola di buon senso: le carte dei servizi segreti, che possono prendere cantonate anche se pignolescamente “tedeschi”, vanno lette, validate o smentite alla luce della ricostruzione storico-politica delle vicende osservate, e non viceversa».

Al di là che vorremmo capire quale ricostruzione storico-politica renderebbe inattendibili i documenti della Stasi, Ambrosino fa finta di non sapere che gran parte di quel prezioso materiale è stato reso disponibile ai ricercatori (ma anche ai magistrati, per esempio come abbiamo già detto, quelli francesi e italiani, come è accaduto al giudice Rosario Priore nell’ambito dell’inchiesta sull’attentato al Papa), dalla caduta del Muro, ovvero dal collasso dei regimi comunisti dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia. Un evento storicamente poco prevedibile, improvviso, che ha consentito inaspettatamente l’opportunità di consultare materiale segreto ben prima di qualsiasi eventuale atto ufficiale di desecretazione che quei Paesi avrebbero potuto, anche se difficilmente, adottare.
I rapporti, le informative, le meticolose schede della Stasi e delle altre articolazioni del Ministero per la Sicurezza dello Stato sono documenti genuini, a uso interno, ritrovati negli archivi della DDR. Non si tratta di materiali di cui diffidare con «buon senso» a priori in quanto trafugati da ex agenti, potenziali doppiogiochisti. I riscontri vanno comunque effettuati, sempre, ma partendo dalla consapevolezza di avere a disposizione documenti genuini e affidabili, non “polpette avvelenate” o “veline” prefabbricate ad uso della disinformatia.
Ci verrebbe da chiedere ad Ambrosino e a tutti coloro i quali hanno in questi anni cercato di far passare la “pista palestinese” per l’ennesimo depistaggio, se di fronte ad eventuali documenti della CIA o della NATO mostrerebbero lo stesso «buon senso», la stessa pelosa diffidenza.

Il nodo dell’appartenenza di Kram al gruppo Carlos
Tornando al problema giustamente ineludibile dei riscontri, sul punto centrale delle “argomentazioni” di Ambrosino, e cioè sul tentativo di quest’ultimo di negare l’appartenenza di Kram al gruppo Carlos, sono proprio altri documenti, indipendenti, ad esempio quelli dei servizi segreti ungheresi, anch’essi in parte oggi liberamente accessibili, a confermare e a corroborare quelli della Germania est.
Così, inequivocabilmente, veniamo a sapere che Thomas Kram (nome di battaglia “Lothar”) entrò a pieno titolo nel gruppo Carlos verso la metà del 1979, introdotto dal collega delle Cellule rivoluzionarie Gerd Hinrich Schnepel (“Max”). Kram, nel Katalog del gruppo Carlos redatto dalla Stasi, era il numero 7 e la sua area di “lavoro”, confermata sia da documenti ungheresi sia da documenti della Stasi, erano l’ex Jugoslavia e l’Italia.
Un interessante organigramma dell’organizzazione, allegato al Rapporto informativo sul terrorista internazionale noto come “Carlos” e sul gruppo da lui guidato, datato 23 luglio 1980 (MfS, AOP, 17463/91 (MfS XV/2833/81), “Separat”, DB, 260-293), colloca Kram, senza ombra di dubbio, tra i membri effettivi di Separat e proprio nella settima posizione della linea gerarchica.
Fu poi proprio Kram, tra l’altro, ad introdurre nei primi mesi del 1980 in Separat Christa-Margot Fröhlich (“Heidi”), anche lei iscritta nell’estate 2011 nel registro degli indagati dalla Procura bolognese.
Nei fascicoli della Stasi del XXII Hauptabteilung (dipartimento antiterrorismo), ma anche in quelli del X (dipartimento contatti internazionali) e in quelli del XV (spionaggio all’estero) non c’è soltanto un documento riguardante Kram. Ce ne sono decine e decine, e il suo nome ricorre spessissimo anche nei materiali relativi ad altri militanti nonché nelle numerose relazioni generali che la Stasi compilava periodicamente sul gruppo Carlos.
Come si può continuare, rimanendo seri, a negare queste evidenze? Qual è lo scopo ultimo di questa frenetica e compulsiva attività di cui Ambrosino si è fatto così solerte promotore?

Kram in persona, durante un’intervista rilasciata il 23 ottobre 2010 al quotidiano tedesco die tageszeitung (articolo diligentemente tradotto e messo a disposizione di «tutti i bolognesi» dal solito Ambrosino sempre sul sito del manifesto Bologna), non potendo nemmeno lui smentire oltre le evidenze emerse dagli archivi dell’Est, ha ammesso di aver incontrato Carlos tre-quattro volte e sempre perché «di tanto in tanto accompagnava Weinrich negli appuntamenti a Berlino est o a Budapest». Senza entrare nel merito delle dubbie frequentazioni di Kram, la copia del suo passaporto, anch’essa diligentemente custodita negli archivi della Stasi, sembra contraddire l’esiguo per quanto imbarazzante numero di “pericolosi” incontri che egli ebbe con il terrorista venezuelano e soprattutto con il suo braccio destro, Johannes Weinrich, anch’egli come Kram membro storico dalle Cellule rivoluzionarie.
Il passaporto di Kram mostra infatti più di 60 timbri di ingresso e di uscita dalla DDR e almeno un paio dall’Ungheria. A Berlino e a Budapest, come sappiamo, c’erano i quartier generali di Separat dove Carlos e gli altri maggiori esponenti dell’organizzazione, nella compiacente ma attenta sorveglianza delle rispettive polizie segrete e dei servizi di sicurezza, trascorrevano gran parte del loro tempo e dove incontravano emissari libici, siriani, irakeni, yemeniti e palestinesi durante l’organizzazione e la preparazione delle loro azioni in giro per il mondo. L’Organizzazione dei rivoluzionari internazionalisti (Ori), nome col quale Carlos amava definire il suo gruppo, operava infatti a tutto campo in ogni continente, dall’Africa all’America Latina, dall’Asia all’Europa, disponendo di uomini e di mezzi in ogni angolo del pianeta.
Durante il processo intentato nel novembre-dicembre 2011 dalla magistratura francese per gli attentati compiuti in Francia tra il 1982 e il dicembre 1983 a treni e stazioni, attentati che causarono 11 morti e circa 150 feriti, Carlos, condannato all’ergastolo (sentenza confermata anche in appello il 26 giugno 2013), si è vantato di aver causato, direttamente o indirettamente, almeno 5000 vittime durante questa sua attività rivoluzionaria.

Le imprese delle Cellule rivoluzionarie tedesche (Rz)
Prima di concludere, vanno fatte alcune considerazioni sul tentativo, non solo maldestro, ma addirittura senza pudore, che Ambrosino imbastisce sempre con l’intento di sminuire la figura e il ruolo di Thomas Kram. Negando, come abbiamo visto, la sua appartenenza al gruppo Carlos, Ambrosino sembra volerlo collocare esclusivamente nelle “più rassicuranti” Cellule rivoluzionarie (Rz), presentate sostanzialmente come un gruppo di vecchi amici, motivati da nobili principi, i quali «conducevano una vita normale, studiavano o lavoravano» tanto da essere definiti “terroristi del dopolavoro”. Essi oltretutto «promettevano di non mettere in pericolo vite umane con i loro attentati». Una sorta di boy-scout insomma, sensibili a temi, come il femminismo o l’opposizione alle centrali nucleari, che ogni persona veramente di sinistra non può non condividere.
Le Rz nella realtà non si limitavano a incruente seppur illegali azioni nel territorio dell’allora Germania Ovest. Un robusto gruppo di suoi esponenti, almeno fin dal 1975, andò a costituire, infatti, l’ossatura, dirigenziale ed operativa, del gruppo Carlos. Furono così dei tedeschi delle Rz a far parte dei commando palestinesi che compirono tra le altre azioni eclatanti come il sequestro dei ministri del petrolio appartenenti all’Opec, a Vienna (21 dicembre 1975) o il dirottamento ad Entebbe di un aereo dell’Air France partito da Tel Aviv (27 giugno – 4 luglio 1976).
Ambrosino non può fingere di ignorare questi eventi e dunque li evoca, anche se dimentica di ricordare che altri due tedeschi, facenti parte di un commando che voleva abbattere con un missile Sam-7 Strela un aereo della compagnia di bandiera israeliana El Al al decollo, furono arrestati a Nairobi il 18 gennaio 1976.
Ambrosino, dicevamo, è costretto ad ammettere l’esistenza di un’ala internazionalista delle Rz legata a doppio filo a Carlos, ma la presenta come una componente minoritaria. La parte maggioritaria, quella “buona” delle Rz, quella da “esaltare”, quella “socialrivoluzionaria”, quella che concentrava le sue attività “a fin di bene” sul territorio nazionale tedesco, aveva, a detta sua, ben presto preso le distanze dal terrorista venezuelano.

L’omicidio di Heinz Herbert Karry, nel 1981
Ambrosino dunque sembra proprio che voglia trovare una qualche giustificazione alle azioni di cui le Rz (è come voler trovare delle giustificazioni ai crimini commessi dalle Brigate Rosse), alle quali per l’appunto Kram apparteneva in via esclusiva, si assunsero la responsabilità: ben 186 attentati fino al dicembre 2000, tra attacchi armati, incendiari e dinamitardi. Azioni che il giornalista del manifesto non esita a definire «solo una “guerriglia diffusa” fatta di sabotaggi dimostrativi, senza voler uccidere nessuno».
Tranne un increscioso “incidente”, ahimè, l’11 maggio 1981, quando ci scappò il morto: Heinz Herbert Karry, ministro dell’economia dell’Assia.
Su questo spiacevole inconveniente, per la verità Ambrosino era già intervenuto nel suo primo articolo del 2007:

«[Kram] Lo cercavano dal 1987 per partecipazione alle Revolutionäre Zellen (Rz). Le Rz che praticarono negli anni ’70 e ’80 una guerriglia di sabotaggi e danneggiamenti incruenti, con tre sciagurate eccezioni: tre uomini colpiti alle gambe. Uno di loro, Karry, ministro dell’economia in Assia, morì dissanguato. Prescritto il primo mandato di cattura [nei confronti di Kram], nel 2000 ne arrivò un secondo, per un ruolo «dirigente» nelle Rz, senza addebiti specifici».

Liquidato quindi con una certa nonchalance l’omicidio Karry, Ambrosino non è mai più tornato sull’argomento. Allora ci torniamo noi che abbiamo semplicemente sfogliato i giornali dell’epoca e abbiamo rilevato quanto fu anomala quella “gambizzazione” e quanto quell’azione fu molto poco “dimostrativa”.
Il ministro Karry, 61 anni, di origine ebraica, era padre di due figli e viveva con la moglie in una villetta unifamiliare nel sobborgo residenziale di Seckbach ai margini settentrionali di Francoforte. La stanza da letto di Karry si trovava nell’ammezzato e affacciava su un giardinetto interno. La finestra, protetta da un’inferriata, quella notte era stata lasciata aperta per via del gran caldo. Intorno alle 23 della sera prima i Karry erano stati raggiunti da una telefonata muta, probabilmente effettuata dai terroristi i quali poi non avevano riattaccato la cornetta, isolando in tal modo il telefono di casa Karry. Verso le quattro e trenta di mattina lo sparatore era penetrato nel giardinetto (Karry aveva sempre rifiutato una postazione fissa di guardia davanti alla sua abitazione) e grazie ad una scala metallica a pioli che aveva portato con sé, l’attentatore aveva potuto affacciarsi alla finestra della stanza da letto dove il ministro dormiva, sita ad oltre due metri da terra. Il terrorista aveva quindi esploso sei colpi di fucile, quattro dei quali avevano raggiunto Karry al ventre. La moglie era rimasta illesa e per mezz’ora aveva cercato inutilmente di chiamare i soccorsi dal telefono isolato. Karry morirà in ospedale alle 7 e 25 dell’11 maggio 1981.

Raccontato così non pare proprio un episodio edificante, anche se le Rz, coccodrillescamente, pare che emisero addirittura un comunicato che così recitava:

«La morte di Karry non era prevista, è stato un incidente. Era stato programmato, attraverso la sua gambizzazione, di farlo stare a lungo a letto, perché lui e i suoi amici amano perseguire progetti distruttivi e ripugnanti. Se avessimo voluto uccidere Karry avremmo usato un altro calibro e soprattutto avremmo mirato alla testa. Sarebbe stato più facile. Che il proiettile dal quale è stato colpito abbia colpito l’arteria femorale fu il grosso incidente dell’affare Karry. […] Ma che Karry sia morto ci riguarda solo nella misura in cui tutto ciò non era progettato tra gli scopi dell’azione» (Le parole e la lotta armata, a cura di Primo Moroni, Milano, Shake Edizioni 1999).

Per quanto riguarda la mancanza di «addebiti specifici», nel mandato di cattura emesso il 6 dicembre 2000 dalla magistratura tedesca nei confronti del “dirigente” delle Rz Thomas Kram, ci permettiamo di consigliare ad Ambrosino di rileggerselo con più attenzione, ammesso che l’abbia mai fatto prima d’ora.
Per agevolargli l’ingrato compito provvediamo noi a riportare solo alcuni brani, tra i più significativi:

«Thomas Kram ha appartenuto sin dall’inizio […] al cosiddetto “alten stamm” (vecchio gruppo/zoccolo duro) all’interno delle Rz. Era una personalità di spicco e si distingueva per essere il pensatore più all’avanguardia dell’intera associazione. La sua parola aveva un peso particolare nelle discussioni data la sua autorità e la sua conoscenza delle origini dell’associazione. […] Era iniziato alle azioni di gruppo dei compagni locali [a Berlino e nella Germania del nord] e coinvolto nella scelta degli obiettivi e delle rivendicazioni dei fatti. […] Unitamente ad altri membri della “Berliner Zelle”, parzialmente ancora sconosciuti, l’indagato [Kram] ha partecipato ad un attentato armato al dirigente l’ufficio stranieri di Berlino, direttore di sezione Harald Hollenberg, il 28 ottobre 1986. La vittima Hollenberg è stato ferito da dietro alle gambe, con due colpi di pistola il 28 ottobre 1986 verso le ore 08.00 quando è uscito dalla sua casa di Berlin-Zehlendorf. […] L’indagato [Kram] ha fornito le informazioni di base riguardanti Harald Hollenberg ed ha progettato […] la lettera di auto-rivendicazione di questo attentato. L’indagato [Kram] era anche coinvolto, unitamente ad altri membri della “Berliner Zelle” nell’attentato armato dello stesso genere contro il Presidente del tribunale amministrativo federale Dott. Guenther Korbmacher [cinque colpi di pistola di cui due alle gambe]. L’indagato [Kram] ha predisposto le informazioni relative al Dott. Guenther Krobmacher ed ha progettato la lettera di auto-rivendicazione di questo attentato. […] L’indagato [Kram], oltre a queste capacità intellettuali, disponeva anche di conoscenze pratiche. Aveva dimestichezza con le armi. Per quanto concerne la falsificazione dei passaporti Kram nell’associazione era uno degli specialisti. Non aveva difficoltà a preparare cariche esplosive e detonatori a tempo. Nel 1984 aveva completato ad Essen un corso da esperto in elettronica. Kram aveva preparato un dispositivo elettronico tramite il quale per radio con un contatore digitale poteva essere provocata una detonazione. […] Kram sarebbe stato informato sulle azioni dell’Opec, su Entebbe e sull’omicidio Karry» (dagli atti del p.p. 788-01-K, modello 45, della Procura della Repubblica di Bologna, intestato “A.R. Cellule rivoluzionarie tedesche – strage 2/8/1980”, testo originale tedesco, traduzione italiana).

Ecco, Ambrosino, da dove il giudice Rosario Priore trae le sue «originali deduzioni» che non fanno assolutamente «a pugni con quanto si è potuto finora accertare». Anzi.
Lei, potrebbe apprendere, dopo un opportuno bagno d’umiltà, che il giudice Priore – come abbiamo già accennato – nella sua lunga e stimata carriera ha anche avuto modo, in altre circostanze, come ad esempio nell’inchiesta sull’attentato al papa Giovanni Paolo II, di consultare e acquisire materiale dalla Stasi e dagli archivi dei servizi segreti dell’Est, avendo modo di valutarne la rilevante valenza. Forse non è un magistrato del calibro e dell’esperienza di Rosario Priore che deve trovare «il tempo per informarsi meglio», ma è proprio lei, caro Ambrosino, “maestrino teutonico”, difensore di ex terroristi e dispensatore di consigli non richiesti, che dovrebbe documentarsi meglio poiché, volendo essere indulgenti ed escludendo perciò la malafede, lei, nella migliore delle ipotesi, della materia relativa alla “pista palestinese” per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, conosce ben poco. Forse nulla.
Intanto, la domanda nodale di tutta la questione resta intatta e sempre più inquietante: perché Thomas Kram, braccio destro di Johannes Weinrich prima nelle Cellule rivoluzionarie e poi in Separat, arriva in Italia il 1° agosto 1980 per poi essere presente a Bologna (in stazione, come ha rivelato lo stesso Carlos) nel momento in cui viene commesso l’attentato?

Gian Paolo Pelizzaro, Gabriele Paradisi e sextus empiricus