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«Probabilmente questo filone di Bologna andava già da subito approfondito e si sarebbero dovuti mettere dei punti fermi. Cosa che non fu fatta. Magari non avrebbe portato a nulla, ma avrebbe dovuto essere approfondito». Invece «venne gestito in maniera tale da non poter consentire un approfondimento».

«Dobbiamo scegliere il materiale che è coerente e separarlo da tutto ciò che è rappresentato dagli elementi di suggestione. La pista palestinese non era una suggestione per questo l’abbiamo approfondita».

Esattamente a otto anni di distanza dal giorno in cui venne formalizzata – dopo un’articolata e complessa ricerca durata cinque anni – l’identità di quel «compagno» che era presente in stazione al momento dello scoppio dell’ordigno e del suo fascicolo personale presso l’archivio della Digos della Questura di Bologna da parte di Gian Paolo Pelizzaro, all’epoca consulente tecnico della Commissione parlamentare d’inchiesta sul dossier Mitrokhin, il procuratore capo della Procura della Repubblica di Bologna, Roberto Alfonso, ha ritenuto opportuno (in una conferenza stampa indetta il 26 luglio 2013) chiarire tutta una serie di aspetti concernenti l’inchiesta in corso e centrata sulla cosiddetta “pista palestinese”. Inchiesta, vale la pena ricordarlo, riesumata in fretta e furia nell’estate del 2005, proprio all’indomani della divulgazione da parte dell’Ansa della notizia sulla scoperta del nome di Thomas Kram, il terrorista tedesco esponente di spicco delle Cellule rivoluzionarie e “arruolato” nel gruppo Carlos, presente a Bologna il giorno dell’attentato che ha spezzato la vita a 85 persone, ferendone, anche in modo grave, altre duecento.

Nelle superficiali e frettolose cronache giornalistiche sulla conferenza stampa del 26 luglio tenuta dai magistrati titolari del nuovo filone d’indagine sulla strage del 2 agosto 1980, sono scomparsi una serie di passaggi cruciali. Tuttavia, bene ha fatto il procuratore Alfonso a uscire allo scoperto, nel momento più delicato nella storia dell’inchiesta ereditata dai colleghi che li hanno preceduti, e a porre una serie di punti fermi nella condotta delle indagini e sui risultati sin qui conseguiti. Uno dei passaggi più importanti e, se vogliamo, inquietanti è proprio questo: «Probabilmente questo filone andava approfondito subito, fin da allora, cosa che non fu fatta. Magari non avrebbe portato a nulla, ma avrebbe dovuto essere approfondito». Invece «venne gestito in maniera tale da non poter consentire un approfondimento». Tradotto, a distanza di così tanti anni (33), oggi è tecnicamente impossibile colmare il vuoto investigativo che – nel tempo – è stato creato eliminando tracce, distruggendo documenti e inquinando fonti di prova oggi di vitale importanza per capire cosa realmente accadde quel sabato mattina alla stazione ferroviaria del capoluogo emiliano. Come, infatti, coraggiosamente afferma Alfonso, la materia riguardante la “pista palestinese” venne trattata e gestita in maniera tale da non poter conseguire quegli approfondimenti necessari per sostenere un pubblico dibattimento. Perché? È la domanda alla quale dovranno rispondere i magistrati titolari dell’inchiesta, così come dovranno spiegare – nel provvedimento che emetteranno al termine delle indagini, per motivare o una archiviazione o un eventuale rinvio a giudizio degli attuali indagati (lo stesso Thomas Kram e Christa-Margot Fröhlich) – se questo filone d’indagine è frutto di un depistaggio, come sostiene con toni sempre più minacciosi e intimidatori il parlamentare del Partito democratico nonché presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi. O se, per contro, è una pista genuina, vera e fondata su elementi oggettivi, riscontri documentali e dati di fatto, nata e perseguita dagli investigatori nell’immediatezza dei fatti e poi sbrigativamente insabbiata per ragioni politiche.

Nelle medesime cronache della conferenza stampa del procuratore Alfonso, inspiegabilmente ricche di troppe inesattezze, imprecisioni e sottili manipolazioni, sono state pasticciate le cose così da impedire – a un qualsiasi lettore – di avere un quadro esatto della vicenda ed elementi puntuali su cui elaborare una propria opinione. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Il punto centrale è uno ed è legato a questa banale, ma cruciale domanda: perché il cittadino tedesco Thomas Kram, all’epoca dei fatti elemento di primo piano dell’organizzazione eversiva Cellule rivoluzionarie e membro stabile del gruppo Carlos a partire dal 1979, presente a Bologna il giorno dell’attentato, se onestamente ritiene di essere totalmente estraneo alla strage continua, in modo reiterato e sistematico, a mentire sul suo viaggio in Italia e sul suo arrivo a Bologna venerdì 1° agosto 1980?

Perché Thomas Kram non intende rispondere alle domande dei magistrati italiani, preferendo, invece, intossicare l’inchiesta con versioni dei fatti e affermazioni progressivamente sempre più discordanti, inattendibili e inverosimili? Proprio dall’esposizione fatta dal procuratore Alfonso abbiamo appreso che Thomas Kram è comparso negli uffici giudiziari bolognesi il 25 luglio scorso non per rispondere alle tante domande degli inquirenti e chiarire la sua posizione di indagato, ma per avventurarsi in affermazioni e accuse tanto gravi quanto inutili ai fini processuali.

Rispetto alla ricostruzione dei fatti del 1° e del 2 agosto 1980 quando Kram entrò in Italia, via treno, così come cristallizzata in una intervista pubblicata sul manifesto il 1° agosto 2007, oggi il tedesco – contravvenendo a ogni ragionevole e responsabile condotta di una persona consapevole di essere indagata nell’ambito di un’inchiesta per strage – invece che mettersi serenamente a disposizione dei magistrati italiani e raccontare la verità, senza pregiudizi o reticenze, ha preferito eludere l’inchiesta e organizzare uno show mediatico, consegnando una sorta di “memoria difensiva” al pubblico ministero e alla redazione web di Bologna del medesimo quotidiano di sinistra, il manifesto, che si era prestato e si presta a questo genere di operazioni. A memoria, è difficile ricordare qualcosa di vagamente simile in inchieste per delitti particolarmente gravi o stragi.

Kram, modificando progressivamente la sua versione dei fatti (da intendersi come vero e proprio alibi), fa sapere che decise di fare quel viaggio in Italia per rincontrare alcuni amici o amiche conosciuti un anno prima quando frequentava l’Università per studenti stranieri a Perugia. A prima vista può sembrare una spiegazione del tutto plausibile e ragionevole, ma se si va a fondo alla questione iniziano a emergere tutta una serie di punti interrogativi ai quali Kram ben si guarda dal rispondere. Da un ex studente tedesco presumibilmente in contatto con ex colleghi italiani che si accinge a venire in Italia per trascorrere alcuni giorni in loro compagnia e in varie città della Penisola ci si aspetta – a rigor di logica – di avere o trovare alcuni riscontri a questo racconto, prima di tutto nomi, cognomi, indirizzi e numeri di telefono delle persone con le quali dovrebbe avere organizzato incontri e appuntamenti. Invece nulla. Durante la perquisizione che Kram ebbe a subire la mattina del 1° agosto 1980 da parte della polizia di frontiera italiana di stanza a Chiasso, in Svizzera proprio sul confine con l’Italia, vennero trovati soltanto i documenti di riconoscimento, un biglietto ferroviario Karlsruhe-Milano e copia di alcune lettere scambiate dalla metà di luglio 1980 con una giovane cittadina austriaca, anch’essa ex studentessa a Perugia.

Nelle lettere che il funzionario di polizia di Chiasso fotocopiò e trasmise d’urgenza al Ministero dell’Interno a Roma allegate al suo rapporto sul fermo di Thomas Kram, non compare alcun accenno ad un qualsivoglia appuntamento in Italia, nessun elemento che possa in qualche modo confermare le mutevoli versioni del tedesco. È vero o no che Kram aveva un primo appuntamento con questa giovane donna austriaca (che all’epoca viveva a Varese) a Milano nella giornata di venerdì 1° agosto 1980?

Nell’ottobre del 2007 (dopo l’intervista di Kram al manifesto), anche cercando di vincere le comprensibili paure e reticenze della signora, Gian Paolo Pelizzaro ha avuto modo di rintracciare e parlare con la donna austrica (non citiamo il nome per rispetto della persona anche se la sua identità è stata resa pubblica proprio da Kram nella sua “memoria difensiva” pubblicata sul sito www.ilmanifestobologna.it).

La donna, originaria di Innsbruck e che oggi ha 52 anni, in un primo momento piuttosto seccata della telefonata (aveva chiesto di non essere più disturbata), riferiva in termini molto chiari che – secondo lei – era lampante il fatto che la presenza di Kram a Bologna il giorno della strage era «una casualità un po’ strana».

Poi aggiungeva che «in tutta sincerità, mi sembra di non averlo visto mai più» dai tempi del loro incontro a Perugia all’Università per stranieri dove lei aveva frequentato per tre mesi un corso di italiano. L’austriaca aggiungeva che il 6 giugno 1980 si era fidanzata con l’uomo che poi diverrà suo marito e padre delle due figlie e, pertanto, non era plausibile l’ipotesi secondo la quale avrebbe dato appuntamento a questo tedesco conosciuto a Perugia. Quella con Kram era una conoscenza del tutto insignificante per lei, un fatto assolutamente marginale e trascurabile, e il fatto che Kram avesse con sé questa sua lettera le faceva pensare che fosse tutto preparato. Secondo lei, Kram avrebbe utilizzato la sua lettera (e quindi il suo nome) come un elemento decisivo per sorreggere il suo alibi. Ha ripetuto di aver raccontato tutto quello che si ricordava su Kram alla Digos di Novara, su delega dei magistrati della Procura di Bologna, in una lunga deposizione durata cinque ore e mezza (dalle 14.30 alle 21) di un imprecisato giorno di agosto del 2006, e cioè tredici mesi prima dell’intervista che Kram ebbe a rilasciare al manifesto.

Da quello che abbiamo potuto capire, sembra che la testimone austriaca – messa alle strette dagli investigatori – a verbale non avrebbe escluso di aver incontrato Kram tra la fine di luglio e gli inizi di agosto del 1980, ma se questo dovesse essere confermato ci troveremmo di fronte ad una inquietante manipolazione della testimonianza (con domande articolate e mirate a sostenere un eventuale alibi) e quindi della fonte di prova perché – così come affermato da Kram – l’appuntamento tra i due a Milano quel venerdì 1° agosto saltò proprio a causa del ritardo provocato dalla perquisizione doganale subita dal tedesco a Chiasso. La discordanza è centrale: se non vi fu alcun appuntamento a Milano, così come peraltro emerge dalle corrispondenze trovate addosso a Kram durante la sua perquisizione a Chiasso, come avrebbe fatto la testimone austriaca a non escludere un incontro con Kram tra la fine di luglio e gli inizi di agosto del 1980?

Un altro aspetto cruciale è che la testimone austriaca, nel momento in cui veniva ascoltata dalla Digos di Novara, rispose alle domande degli inquirenti tredici mesi prima dell’intervista di Thomas Kram al manifesto nella quale l’ex terrorista tedesco dava la sua versione dei fatti del 1° e del 2 agosto 1980, motivando il suo arrivo in Italia con un presunto appuntamento proprio con la studentessa austriaca a Milano nella giornata di venerdì 1° agosto. Non sappiamo se la testimone austriaca è stata sentita una seconda volta dopo l’intervista di Kram al manifesto.

Questa scansione temporale apre a un altro interrogativo: qualcuno avvertì Kram della testimonianza resa dalla donna austriaca? Ai fini dell’inchiesta non c’è dubbio che sarebbe stato meglio se la testimone sulla quale poggia il baricentro dell’alibi del tedesco fosse stata sentita dopo e non prima di quell’intervista nella quale Kram fornisce la sua versione dei fatti.

Comunque, ammesso che la stessa versione dei fatti che noi abbiamo raccolto nell’ottobre del 2007 dalla testimone austriaca sia stata consegnata tal quale agli inquirenti nel 2006, basterebbe questa per demolire definitivamente l’alibi fornito da Kram dal 2007 ad oggi per spiegare il suo arrivo in Italia e la sua presenza a Bologna il giorno della strage. Ma, a quanto pare, tutto questo non è ancora sufficiente per dimostrare la sua malafede.

Ma l’aspetto che più di ogni altro getta gravi ombre e sospetti sul comportamento e sul ruolo dell’ex terrorista tedesco è l’insistente necessità di negare ogni evidenza. Kram, infatti, nega di aver fatto parte del gruppo Carlos, mentre il suo nome compare in una serie di rapporti della Stasi tra cui ad esempio il cosiddetto «Katalog» dei membri del gruppo – BStU HA XXII 19175; o nel Rapporto «Brevi informazioni su T.K.» ove si legge: «Seit mitte 1979 wurde Kram in terroristische Aktivitaten der Gruppe Separat einbezogen» ovvero che dalla metà del 1979 Kram era stato coinvolto nelle attività terroristiche del gruppo Separat – BstU HA XXII 986/6; o infine nel fascicolo intitolato «Mitglieder der “Carlos – Gruppierung”» (I membri del Gruppo Carlos) ove è contenuta la fotocopia integrale del suo passaporto – eBStU XXII 338/2. Kram nega inoltre di aver pernottato a Verona e a Bologna settimane prima del 2 agosto 1980, così come risulta da puntuali e non smentibili atti di polizia basati su registrazioni dei suoi documenti di riconoscimento nelle strutture ricettive delle rispettive città: il 22 febbraio 1980 all’hotel Lembo di Bologna (oggi Best Western Hotel Re Enzo) e il 22 aprile 1980 all’hotel Mazzanti di Verona. Così come nega di essere entrato a Berlino Est tre giorni dopo la strage, il 5 agosto, così come è documentato in una serie di atti e rapporti della polizia segreta della Ddr da noi recuperati negli archivi della Repubblica federale di Germania e pubblicati su LiberoReporter il 10 settembre 2011 (in un articolo pubblicato da il Fatto Quotidiano, omettendo che sono stati da noi ritrovati e pubblicati due anni fa, si è addirittura scritto che questi documenti sarebbero stati trasmessi ai magistrati della Procura di Bologna dalla disciolta Commissione Mitrokhin…). Perché negare ogni evidenza? Perché non raccontare la verità? Perché non mettersi serenamente a disposizione degli inquirenti invece che fornire versioni dei fatti sempre più manipolate solo ad alcuni amici giornalisti di sinistra?

E allora, per dovere di cronaca e per una corretta informazione, rassegniamo qui di seguito un eloquente campionario di menzogne, inesattezze e cambi di versione resi dal 2007 ad oggi da Thomas Kram per spiegare il suo viaggio in Italia e soprattutto la sua presenza a Bologna il giorno in cui venne compiuto l’attentato.

Quella del 25 luglio 2013 è una vera e propria “memoria difensiva” di Thomas Kram il quale sostiene, del tutto impropriamente come vedremo, che in essa vi si ritrovino in sostanza le stesse affermazioni che egli aveva già formulato nell’intervista del 2007.

Si tratta in realtà di una sconfessione di quelle dichiarazioni di sei anni fa, di cui lo stesso Kram non fornisce alcuna motivazione. Il tedesco ha modificato in molti punti salienti le sue precedenti affermazioni nel tentativo di renderle compatibili con la documentazione disponibile.

Qual è il motivo che ha indotto Kram a modificare la sua versione? 

La giornata di Kram del 1° agosto 1980

Lo scopo fondamentale delle dichiarazioni di Kram del 2007 era quello di fornire una giustificazione della sua presenza a Bologna il 1° e il 2 agosto 1980 in modo tale da farla apparire del tutto casuale e accidentale.

Nell’intervista, Kram affermava di essere giunto a Chiasso alle ore 12.08. Quel ricordo così preciso era citato alla lettera dal Documento conclusivo dei commissari di minoranza della Commissione Mitrokhin depositato il 23 marzo 2006.

Come avemmo modo di dimostrare a partire dal settembre 2007 e nel libro Dossier strage di Bologna. La pista segreta del 2010, si trattava di una vera e propria manipolazione della trascrizione del telex che il funzionario della polizia di frontiera di Chiasso, Emanuele Marotta, aveva redatto il 1º agosto 1980 e trasmesso d’urgenza a tutta la catena di controllo e sicurezza italiana, dopo che Kram, giunto in treno da Karlsruhe, era stato fermato, identificato e perquisito in quanto iscritto in Rubrica di frontiera.

Quella manipolazione testuale aveva reso indeterminato il tempo del suo fermo («mi trattennero per ore»). Questa, a detta di Kram, era stata la ragione per cui dapprima era saltato un appuntamento nel capoluogo lombardo e, poiché la meta della sua “vacanza” era Firenze e «sarebbe arrivato troppo tardi per trovare un albergo, decise di fermarsi a Bologna».

Nel 2007 Kram aveva sostenuto che il suo viaggio in Italia era stato programmato con l’intento di ritrovare amiche e amici conosciuti durante i corsi di italiano che aveva frequentato a Perugia tra settembre 1979 e marzo 1980. Dopo una sosta a Milano il 1° agosto, sarebbe stata Firenze la meta del suo viaggio, città dove egli dichiarava in termini lapidari di essersi fermato 4-5 giorni dal 2 agosto in poi. Solo l’increscioso contrattempo con la polizia di frontiera italiana a Chiasso avrebbe scombinato il suo presunto piano e il pernottamento a Bologna era stato una necessità imprevista.

La nostra denuncia di quella alterazione degli orari nel testo del telex, che in realtà descriveva, con estrema precisione e dettaglio, quanto era avvenuto la mattina del 1° agosto (Kram era giunto in realtà a Chiasso alle 10.30, era stato fatto scendere e perquisito per un’ora e mezza, infine era stato fatto risalire alle 12.08 sul primo treno utile per Milano), aveva nell’autunno-inverno del 2007 indotto l’on. Enzo Raisi a presentare in Parlamento tre interpellanze a cui il governo aveva dato risposte elusive e del tutto insoddisfacenti. Oggi, quella nostra denuncia ha costretto Kram a modificare radicalmente la sua versione iniziale e quindi a fornire un secondo alibi sulla sua presenza a Bologna il giorno dell’attentato.

Nelle dichiarazioni spontanee del 25 luglio 2013, infatti, il tedesco ricorda improvvisamente che la perquisizione sua e del bagaglio a Chiasso era durata «circa da una a due ore» (non dunque un tempo indeterminato e lungo «per ore») e anche se ciò aveva in effetti contribuito a fargli perdere l’appuntamento con un’amica austriaca a Milano, egli era riuscito lo stesso a raggiungere Bologna «nel corso del pomeriggio». Nulla quindi vietava a Kram di fermarsi e pernottare a Milano oppure di proseguire per la sua meta finale dichiarata e cioè Firenze, e di giungervi in un orario da consentigli di reperire in tutta tranquillità una stanza in albergo.

Perché si è fermato a Bologna? Ma Kram ci fa sapere che «siccome ero atteso a Firenze solo il 2 agosto da un conoscente, presso il quale avrei potuto pernottare, ho deciso lì per lì di fare tappa a Bologna sulla via di Firenze». Di fatto, Kram non fornisce qui alcuna motivazione o giustificazione del suo arrivo e sosta a Bologna.

Questa sconfessione di Kram della sua versione precedente pone un interrogativo, che noi avevamo già sollevato in un articolo pubblicato su Segretidistato.it il 24 settembre 2011, aprendo pesanti dubbi sull’attendibilità del Documento conclusivo di minoranza del 23 marzo 2006 e gettando una luce inquietante su chi, a partire dalla stesura di quel documento, aveva – direttamente o indirettamente – fornito aiuto, appoggi e collaborazione all’ex terrorista tedesco al fine di tenerlo il più possibile lontano dall’epicentro dell’attentato del 2 agosto.

Le labili ragioni del viaggio in Italia di Thomas Kram

Nella versione del 2007 la durata della vacanza in Italia fu, secondo le parole di Kram, di almeno 6-7 giorni. Nella nuova versione il viaggio sembra interrompersi improvvisamente una volta appresa la notizia della strage di Bologna: «A Firenze ho poi appreso che alla stazione era esplosa una bomba, che aveva ucciso molte persone e ne aveva ferite molte di più. Al più tardi allora decisi di interrompere il viaggio e di non proseguire più per Perugia».

Qui sembra che sia la notizia della strage a Bologna a spingere Kram a interrompere improvvisamente il suo misterioso viaggio in Italia. È questa davvero la ragione?

Oltre all’inedita notizia di una puntata anche nel capoluogo umbro, meta che non veniva menzionata nella versione del 2007, quello che colpisce nel nuovo racconto di Kram è la solitudine di quei giorni: «Nel lasso di tempo tra il passaggio del confine a Chiasso e il mio arrivo a Firenze non ho incontrato nessuno, né avuto alcun contatto se non con impiegati delle ferrovie o degli alberghi, camerieri o tassisti, tutti a me sconosciuti».

Infine, anche nella non meglio specificata permanenza a Firenze egli non fa alcun cenno a conoscenti o amici incontrati. Nulla di nulla. Un viaggio quindi che, nato con l’intento di visitare persone con le quali avrebbe condiviso alcuni mesi della sua vita, per via di un “contrattempo” alla frontiera e per la tragedia del 2 agosto si interrompe d’improvviso, apparentemente senza che egli abbia potuto esaudire quel suo desiderio. Un altro elemento molto strano è che Kram non aveva con sé, almeno al momento in cui venne perquisito dalla polizia di frontiera italiana a Chiasso, alcuna agenda, diario o quaderno con i nomi, gli indirizzi e i telefoni (tranne quello fornito dalla studentessa austriaca nella lettera trovata in possesso del tedesco e relativo ad una scuola di lingue di Varese) delle persone che avrebbe dovuto incontrare in Italia durante il suo misterioso e inspiegabile viaggio.

La mattina di Kram del 2 agosto 1980: la scomparsa del taxi e del pullman

Nell’articolo del manifesto del 2007, colpiva il senso di estraniazione e di tranquillità che emergeva dalla descrizione fatta da Kram di quella sua mattinata del 2 agosto 1980 a Bologna. Egli pareva aver attraversato del tutto ignaro e indifferente il dramma che la città stava vivendo in quelle ore. Anche le sue dichiarazioni odierne, almeno su questo punto, non hanno subito modifiche. Kram, che dall’albergo di via della Zecca a pochi metri da piazza Maggiore si sposta a piedi per fare colazione in un bar nei pressi e che poi si incammina lungo via dell’Indipendenza (oggi diventata «una grossa strada»), non sente il boato dell’esplosione che squarciò l’aria cittadina e che di certo non poté non sentirsi nella zona in cui egli dice di trovarsi. Solo il suono delle sirene delle ambulanze e dei pompieri, gli fanno capire che è successo «qualcosa di grave/terribile» (2007-2013) e per non incappare in nuovi controlli, visto il traffico di «molte auto della polizia», decide di non proseguire verso la stazione. La notizia della strage Kram sembra non apprenderla a Bologna, ma, come già abbiamo detto, solo a Firenze il giorno seguente.

Nel 2007 Kram era incappato in un infortunio talmente sconcertante da sollevare fin dalla prima lettura di quell’intervista forti dubbi sulla veridicità del suo intero racconto. Infatti, egli aveva affermato di essere giunto nei pressi della stazione dopo aver percorso via dell’Indipendenza e visto sul «piazzale della stazione il lampeggiare di ambulanze e mezzi dei pompieri», per non «incappare in nuovi controlli di polizia», aveva preso un taxi e si era fatto portare alla stazione delle autocorriere. Ogni bolognese sa che l’autostazione si trovava e si trova esattamente in fondo a via dell’Indipendenza e cioè esattamente dove Kram diceva di essere.

Nel nuovo racconto, dunque, Kram è costretto a rivedere il dettaglio e postosi in posizione di sicurezza («sono tornato indietro, ancora prima di essere arrivato nelle immediate vicinanze della stazione»), decide di allontanarsi definitivamente dalla zona. Ma i precisi ricordi del 2007 svaniscono e Kram conclude sostenendo: «Non posso più dire con certezza per quale via ho infine lasciato Bologna e raggiunto Firenze».

Ecco dunque sparire nel nulla sia il fantomatico taxi che l’avrebbe accompagnato dove già egli si trovava, sia l’improbabile pullman col quale nella prima versione aveva detto di essersi recato a Firenze.

Per la cronaca è bene segnalare che corriere di linea Bologna-Firenze, all’epoca non esistevano, era attivo solo un servizio giornaliero delle Ferrovie dello Stato che prevedeva una corsa serale (alle 17) verso Firenze con partenza da piazza Maggiore. Era programmato invece il percorso inverso che da Roma, via  Firenze, arrivava a Bologna e ripartiva alle ore 11 direzione Venezia.

Il misterioso viaggio di Kram nei giorni successivi la strage

Come e dove trascorse Kram i giorni successivi alla strage? Questo aspetto è sempre stato da lui trattato in maniera sommaria ed evasiva, sia nel racconto del 2007 sia in quello del luglio 2013. La sua prima versione parlava di una lunga permanenza a Firenze, 4-5 giorni, alloggiato in un luogo imprecisato, prima di tornare in Germania. Il ricordo dopo sei anni si è talmente affievolito da fargli affermare: «Non so più con esattezza fino quando sono rimasto in Italia e per che via ho lasciato il Paese». Ma dalle nebbie della sua memoria è spuntato improvviso un “provvido” ricordo, in verità anch’esso per nulla circostanziato, che addirittura lo pone «pochi giorni dopo il 2 agosto», in un imprecisato luogo nel Sud della Francia presso un’amica di cui non indica ovviamente il nome.

A tal proposito un giornalista più realista del re è riuscito a trasformare questo labilissimo ricordo di Kram in un elemento di estrema precisione temporale e spaziale: «Il 5 agosto Kram sarebbe passato dall’amica in Provenza» (la Repubblica – Bologna, 27 luglio 2013).

Un dato emerge prepotente: l’intento di Kram è quello di stornare da sé quanto emerso in documenti della Stasi relativamente alla giornata del 5 agosto 1980. Quel giorno, in effetti, costituisce una data particolarmente delicata per l’ex terrorista tedesco. I citati documenti della Stasi, la polizia politica dell’allora Germania democratica, da noi recuperati nell’estate 2011 presso il BStU, l’Istituto berlinese che custodisce il patrimonio documentale dei servizi segreti tedesco-orientali, aveva permesso di collocare Kram, a tre giorni appena dalla strage, nientemeno che a Berlino Est, dove Carlos aveva una base operativa della sua organizzazione e dove lo stesso Kram si era recato e si recherà innumerevoli altre volte come è attestato inequivocabilmente nella copia del suo passaporto che contiene oltre 60 timbri d’ingresso e d’uscita dalla Ddr.

Questo passaggio è ovviamente quello più arduo da superare per Kram nella sua “memoria difensiva”. Così, per recidere alla base il problema, egli adotta la linea più semplice, ma nel contempo quella più imbarazzante: mettere in dubbio quello che i documenti della Stasi attestano nero su bianco.

Il ragionamento di Kram non può pertanto che essere involuto e contorto.

È universalmente nota la pignoleria maniacale della burocrazia del Ministero per la Sicurezza dello Stato (MfS) dell’allora Germania Est e risulta perciò molto improbabile che sia stato possibile da parte delle autorità di polizia della Ddr compiere uno scambio di identità nella stesura di, va ricordato, documenti ad esclusivo uso interno. A tal riguardo Kram si appella a una foto pubblicata sul sito di LiberoReporter a corredo del nostro articolo del 10 settembre 2011, laddove esponevamo la nostra scoperta relativamente al suo arrivo a Berlino Est la sera del 5 agosto.

kram-katalog-interoKram sostiene, questa volta correttamente, che quella foto non gli appartiene, e ciò dimostrerebbe, a detta sua, che anche la scheda d’ingresso potrebbe non riferirsi a lui. In effetti, la fototessera, che non è associata alla scheda d’ingresso, ritrae Uwe Krombach un altro militante tedesco del gruppo Carlos e la sua pubblicazione in quell’articolo è un nostro errore redazionale, commesso forse per la vicinanza dei due nel “Katalog” compilato dai funzionari e archivisti della Stasi sui componenti del gruppo Carlos. Uwe Krombach, infatti, è classificato al numero 8, mentre Thomas Kram è il numero 7. Inutile ricordare che il numero uno era occupato da Ilich Ramírez Sánchez meglio conosciuto come Carlos, il numero due dell’organizzazione era Johannes Weinrich, il numero tre Magdalena Kopp, all’epoca moglie di Carlos. Ma a ben vedere, mai errore è stato più utile e funzionale nello stimolare (falsi) ricordi nella mente di un ex terrorista oggi indagato nell’ambito di un’inchiesta di strage.

Tornando al tentativo di Kram di negare la sua presenza a Berlino Est il 5 agosto, osserviamo innanzitutto che egli tenta di ancorarsi al debolissimo presunto ricordo della amica francese, escludendo con ciò a priori e in prima battuta la sua presenza nella Ddr. Quindi ricordando che al valico di Chiasso il 1° agosto era stato identificato con la carta d’identità, mentre a Bologna, all’hotel Centrale si era registrato con la patente, egli esclude di aver avuto con sé in quel viaggio il passaporto, necessario per entrare in Germania est anche ai cittadini della Repubblica federale. In effetti, è proprio il numero del passaporto di Kram, il documento riportato nella scheda d’ingresso compilata dall’addetto al Chek point Charlie di Fredrichstrasse alle 20.03 di quella sera. Non viene nemmeno presa in considerazione da parte di Kram l’ipotesi del tutto verosimile che egli, una volta rientrato in Germania, possa essere transitato da casa a recuperare il documento necessario.

A quel tempo Kram aveva una dimora a Duisburg, indirizzo presso il quale aveva ricevuto la citata lettera dell’amica austriaca datata 14 luglio 1980. Duisburg peraltro si trova esattamente lungo la linea ferroviaria che dal sud della Germania (Karlsruhe-Bonn-Colonia) vira ad Est verso Berlino via Dortmund. Tenendo conto dei tempi di percorrenza dei treni dell’epoca e verificando gli orari ufficiali si può anche stimare in non meno di 24 ore, che possono diventare anche 26 e oltre se si mette in conto una possibile sosta a Duisburg, il tempo impiegato da Kram per andare da Firenze a Berlino (qualcosa come 1900 km). Questa considerazione spinge ad affermare che per essere la sera del 5 agosto a Berlino Est egli sia partito da Firenze al più tardi lunedì 4 agosto, risultando dunque non plausibile un suo viaggio nel Sud della Francia.

Interessante la disquisizione di Kram sul suo iniziale respingimento alla frontiera (per via delle misure speciali adottate in occasione dei giochi olimpici di Mosca), come documentato nella scheda d’ingresso e in un appunto manoscritto che il funzionario addetto indirizzò al maggiore Helmut Voigt, che insieme al capitano Wilhelm Borostowski, gestivano la pratica Separat, nome in codice col quale la Stasi indicava il gruppo di Carlos, per conto del XXII Dipartimento (Hauptabteilung): «Ma anche se io mi sbagliassi [lo stesso Kram dunque ammette la possibilità di aver comunque cercato quella sera di entrare nella Ddr], e il 5 agosto avessi davvero tentato di entrare a Berlino Est, i documenti del Mfs [la Stasi], così come vengono citati nella rogatoria a questo riguardo, dimostrerebbero soprattutto una cosa: che non sono stato lì, perché l’ingresso mi venne negato».

Come già notammo nel 2011, a rendere interessante la presenza di Kram in Fedrickstrasse è il quasi contemporaneo arrivo (25 minuti dopo la mezzanotte tra il 5 ed il 6 agosto 1980) all’aeroporto di Schoenfeld, proveniente da Budapest, del suo amico e diretto superiore nel gruppo Carlos Johannes Weinrich. Altri documenti della Stasi attestano incontri tra Kram e Weinrich avvenuti nella capitale della Ddr.

Nel nostro articolo del 2011, da un secondo documento, una scheda di uscita di Kram della polizia segreta della Ddr, esattamente dal Check Point Alpha di Marienborn il 10 agosto, avevamo tratto la conclusione che la sera del 5 in qualche modo, le autorità responsabili, avvertite tempestivamente del respingimento, avessero provveduto a farlo entrare comunque nel Paese. Ad ulteriore conferma, c’era un altro documento che registrava, sempre il 10 agosto, anche la ripartenza verso l’Ungheria di Weinrich. In altre parole, avevamo ipotizzato che tra la tarda serata del 5 e la notte del 9 agosto, si fosse tenuto nel quartier generale di Carlos presso il Palasthotel un summit di Separat (presumibilmente alla presenza di Johannes Weinrich e di Magdalena Kopp, all’epoca moglie di Carlos).

Nella sua dichiarazione spontanea del 25 luglio 2013 Kram fa notare che «l’appunto su una presunta uscita il 10 agosto con il treno al varco di Marienborn in direzione della Repubblica federale tedesca non dice affatto che io sarei in qualche modo riuscito ugualmente a arrivare a Berlino Est [il 5 agosto], ma soltanto che quel giorno ho lasciato Berlino Ovest per la normale via di transito». La scheda d’uscita incriminata porta l’orario insolito delle 2.05 della notte.

In un eccesso di zelo, Kram, nella odierna “memoria difensiva”, contesta non solo i documenti della Stasi ma, come abbiamo già evidenziato, persino quelli della Digos che provano una sua presenza in Italia a Verona (nell’aprile 1980) e ancora a Bologna (nel febbraio 1980), mentre non mette in dubbio la registrazione all’hotel Centrale, pur trattandosi di documentazione del tutto analoga ai suddetti due casi, che lo colloca a Bologna la notte precedente la strage.

Una speranza, un dovere e una domanda

«Kram non ha nulla in contrario a essere ascoltato su Bologna», così scriveva Guido Ambrosino in chiusura dell’intervista a Kram del 2007. È ora di ottemperare a quella promessa finora mai mantenuta. Ma resta, prepotente, una domanda: se ritiene di essere totalmente estraneo all’attentato del 2 agosto 1980 perché Kram continua a mentire e a sottrarsi ai suoi doveri rispetto alle richieste della magistratura italiana?

Gian Paolo Pelizzaro
Gabriele Paradisi
François de Quengo de Tonquédec