È l’una meno un quarto del 10 settembre 1981. Dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Bologna parte il seguente telex indirizzato alla Corte d’Appello (Sezione Penale) de L’Aquila: «Ai fini procedimento relativo attentato stazione ferroviaria Bologna 2 agosto 80 rendesi necessario convocazione in Roma Saleh Abu Anzeh periodo 15 – 21 settembre. Prego pertanto autorizzare detto periodo assenza Bologna predetto imputato sottoposto codesta Corte obbligo dimora Comune Bologna et presentazione periodica Questura Bologna». Firmato: il consigliere istruttore aggiunto Aldo Gentile.

Questo è il primo di quattro laconici documenti agli atti dell’istruttoria sulla strage del 2 agosto 1980, che rischiano di far crollare definitivamente il castello di carte che da anni sorregge il teorema passato in giudicato sui responsabili dell’attentato alla stazione ferroviaria di Bologna.

Siamo nel pieno della delicatissima fase istruttoria relativa agli accertamenti sulla cosiddetta pista libanese e cioè quella costruita a Beirut da Abu Ayad (alias Salah Khalaf) e lanciata attraverso Rita Porena sulle pagine del giornale ticinese “Corriere del Ticino” il 19 settembre 1980. Abu Ayad, braccio destro di Yasser Arafat, numero due di Fatah, capo del servizio di sicurezza dell’OLP e fondatore di Settembre Nero, aveva dichiarato che aveva i documenti che provavano il coinvolgimento falangista nell’esplosione di Bologna. In particolare, aveva rivelato che un anno prima (nel 1979) sarebbe stato informato dell’esistenza di campi di addestramento per stranieri tenuti dai Kataeb nei pressi di Aqura, nella zona Est del Libano (da Beirut nord est fino a 20 km da Tripoli), controllata dalle destre maronite.

«Abbiamo fatto un’indagine – si legge nell’intervista di Abu Ayad al “Corriere del Ticino”, firmata da Rita Porena – per appurare la nazionalità degli ospiti dei campi e siamo riusciti ad entrare in contatto con due tedeschi occidentali che avevano preso parte all’addestramento e che in questo momento si trovano a Beirut presso di noi. Da loro abbiamo appreso che nel campo di Aqura sono stati addestrati vari gruppi, per un totale di circa 30-35 persone, tra cui italiani, spagnoli e tedeschi occidentali. Il responsabile del gruppo tedesco si chiama Hoffmann, e da lui abbiamo saputo che era in arrivo un altro gruppo di tedeschi. Allora abbiamo deciso di tendere un agguato e abbiamo catturato nove persone che in questo momento si trovano presso di noi, ma che non sono nostre prigioniere. Dai tedeschi abbiamo appreso che circa undici mesi fa nel campo di Aqura il gruppo aveva discusso con gli italiani la strategia per restaurare il nazifascismo nei loro Paesi ed erano arrivati alla conclusione che l’unica via sarebbe stata l’attacco contro le istituzioni più importanti. I fascisti italiani hanno affermato che il loro maggior nemico è rappresentato dal Partito comunista e dalla sinistra in generale e che perciò avrebbero cominciato le loro operazioni con un grosso attentato nella città di Bologna, amministrata dalla sinistra. Quando è avvenuta la strage abbiamo subito messo in relazione l’attentato con quanto avevamo appreso sui progetti degli italiani nel campo di Aqura. Al momento opportuno faremo in modo che i tedeschi rendano pubblico tutto quello che hanno visto e udito nei campi di addestramento, compresi i nomi ed il numero degli italiani che erano con loro. Da parte nostra abbiamo provveduto a tenere al corrente le autorità italiane, alle quali abbiamo dato i nomi degli italiani di Aqura. I nomi, probabilmente, non sono precisi, perché i tedeschi li hanno citati basandosi solamente sulla loro memoria, ma credo che per le autorità italiane non sia difficile riuscire ad identificare le persone. È certo – concludeva il numero due di Fatah – che si tratta di fascisti che appartengono ad organizzazioni conosciute. Se le autorità italiane avessero messo in relazione le informazioni avute da noi con le altre in loro possesso, avrebbero avuto un quadro chiaro della situazione».

La pista falangista libanese (speculare a quella palestinese che vede il coinvolgimento proprio di Abu Ayad e del Fronte popolare per la liberazione della Palestina di George Habbash insieme ai tedeschi reclutati nel gruppo Carlos) era nata da questo depistaggio sul quale si innesterà, come fosse parte di un copione preordinato e condiviso a tutti i livelli, la manovra dei vertici del SISMI del 13 gennaio 1981 con l’Operazione nome in codice “Terrore sui Treni”, ideata a quanto pare dal colonnello dei carabinieri Pietro Musumeci, direttore all’epoca dei fatti dell’Ufficio Controllo e Sicurezza del SISMI, insieme al tenente colonnello Giuseppe Belmonte, per coprire la fonte internazionale che aveva passato quelle informazioni sulle presunte responsabilità dei falangisti e dei neonazisti italiani e tedeschi nell’esecuzione dell’attentato.

Nella conduzione delle indagini sul versante libanese-maronita, il giudice istruttore Aldo Gentile dell’Ufficio Istruzione di Bologna lavorava in piena sintonia e sinergia non solo con il servizio segreto militare e l’omologo civile (il SISDE), ma anche e soprattutto con il ministero dell’Interno, attraverso l’UCIGOS del prefetto Gaspare De Francisci. Questi tre enti fornirono tutto l’aiuto, l’appoggio e la collaborazione al magistrato bolognese impegnato nelle indagini sull’attentato del 2 agosto 1980. Per avere un’idea più precisa, basti dire a titolo d’esempio che furono proprio Musumeci e Belmonte insieme a Stefano Giovannone a preparare le trasferte di Gentile in Libano nel 1981. L’esito di quei due viaggi venne cristallizzato in una serie di appunti dattiloscritti denominati “Promemoria del 1° e del 2° viaggio in Libano”.

Ma torniamo al telex del dott. Gentile del 10 settembre 1981. Perché il giudice istruttore di Bologna chiede alla Corte d’Appello de L’Aquila l’autorizzazione per Abu Anzeh Saleh di recarsi a Roma una settimana, «ai fini procedimento relativo attentato stazione ferroviaria»? Agli atti dell’istruttoria sulla strage non c’è alcun documento a monte di questa richiesta. Ma, particolare ancor più interessante, è che questa misteriosa istanza di Gentile viene formalizzata neanche un mese dopo la scarcerazione di Saleh, unico fra gli imputati (Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner e Giuseppe Luciano Nieri) condannati a sette anni di reclusione per detenzione e trasporto illegittimo di armi da guerra (i due lanciamissili terra-aria SAM 7 Strela di fabbricazione sovietica sequestrati a Ortona il 7 novembre 1979) a lasciare il carcere. Abu Anzeh Saleh, giordano di origini palestinesi nato ad Amman il 18 maggio 1949, era stato scarcerato il 14 agosto 1981 con ordinanza della Corte d’Appello de L’Aquila a seguito di pronuncia della Corte di Cassazione (Sezione Feriale Penale) dell’8 agosto1981 in accoglimento del ricorso presentato dal difensore del giordano, avvocato Edmondo Zappacosta del Foro di Roma. Secondo il SISMI, Zappacosta era l’avvocato di fiducia dell’Ambasciata libica a Roma.

Perché il giudice istruttore di Bologna Aldo Gentile, titolare dell’inchiesta sulla strage, chiede alla Corte d’Appello de L’Aquila l’autorizzazione per il capo dell’FPLP in Italia, agente sotto la copertura del nostro servizio segreto militare almeno dal 1974, di recarsi a Roma una settimana? Mistero, perché agli atti dell’istruttoria non c’è alcun documento che possa chiarire la circostanza. Nulla. Neanche un riscontro a valle della richiesta di Gentile.

Tanto doveva apparire incomprensibile l’istanza del giudice istruttore di Bologna che i magistrati de L’Aquila chiesero addirittura una conferma scritta all’istanza del dott. Gentile. Alle ore 9.20 dell’11 settembre, infatti, dalla cancelleria della Corte d’Appello del capoluogo abruzzese parte il seguente fonogramma, indirizzato all’Ufficio Istruzione Tribunale Bologna (dott. Gentile): «Pregasi confermare contenuto telex 10/9/81 codesto Ufficio inteso a ottenere autorizzazione a convocazione in Roma periodo 15-21 settembre Saleh Abu Anzeh». Firmato: il cancelliere Andrea Centanni. E a stretto giro, dalla cancelleria dell’Ufficio Istruzione di Bologna partiva la conferma al telex del 10 settembre 1981, manoscritta in calce allo stesso fonogramma ricevuto da L’Aquila.

Alle 12.45 dello stesso giorno, 11 settembre, la Corte d’Appello de L’Aquila replicava tramite nuovo fonogramma, all’indirizzo della segreteria del dott. Gentile, autorizzando la richiesta: «Riferimento telex 10.9.81 relativo ad Abu Saleh Anzeh n. ad Amman il 18.5.49 comunico: il Presidente ritenuto che il Saleh Abu Anzeh deve recarsi a Roma per fini di giustizia dal 15 al 24 sett. 81 autorizza il predetto ad assentarsi da Bologna per il periodo suindicato ed al conseguente obbligo di presentarsi periodicamente alla Questura di questa città».

Altra stranezza, da un fonogramma all’altro, il periodo richiesto per il viaggio di Saleh a Roma inspiegabilmente passa da una settimana (15-21 settembre) a dieci giorni (15-24 settembre). E così, alle ore 9.55 del 12 settembre 1981, il giudice istruttore Aldo Gentile trasmette alla Divisione Polizia Giudiziaria della Questura di Bologna (dove l’imputato Saleh dal 14 agosto aveva l’obbligo della firma) il seguente telex nell’ambito del procedimento penale 344/80 AGI: «Per opportuna conoscenza comunicasi Corte Appello Aquila a richiesta questo Ufficio abet autorizzato Saleh Abu Anzeh ad assentarsi da Bologna periodo 15-24 settembre».

A questo punto, visto il ruolo di Saleh anche come responsabile in Italia del Fronte popolare di Habbash per i contatti col gruppo Carlos (nella sua agenda personale dell’anno 1979, corrispondente alla pagina relativa al 22 luglio, gli investigatori al momento del suo arresto trovarono il numero di una casella postale aperta presso le poste di Bologna, la numero 904, la stessa che sarà ritrovata dalla polizia segreta ungherese negli appunti di Carlos durante una perquisizione segreta nella sua base operativa di Budapest, effettuata il 25 agosto 1979), ci troviamo di fronte a una serie di pesanti interrogativi:

  • In che modo il nome di Abu Anzeh Saleh era entrato nelle indagini sull’attentato alla stazione ferroviaria?
  • Qual era il motivo istruttorio «necessario» che spinse il giudice istruttore Aldo Gentile a chiedere ai colleghi della Corte d’Appello de L’Aquila di autorizzare quel viaggio a Roma per Saleh, appena un mese dopo la sua scarcerazione?
  • Perché all’inizio venne chiesta un’autorizzazione per una settimana e alla fine il periodo richiesto per la missione di Saleh a Roma venne dilatato a dieci giorni?
  • Se c’era un’esigenza istruttoria legata alle indagini sulla strage, perché il giudice Aldo Gentile chiese un’autorizzazione per Saleh a lasciare Bologna per recarsi una settimana (poi allargata a dieci giorni) nella Capitale?
  • Con chi si incontrò il giordano una volta a Roma?
  • Cosa venne discusso ed esaminato in quei dieci giorni?
  • Perché agli atti dell’istruttoria sulla strage di Bologna non c’è alcuna traccia degli esiti di quella misteriosa missione?

Gian Paolo Pelizzaro