Sandro Padula, condannato all’ergastolo nel processo Moro 1, elemento di spicco della colonna romana delle Brigate rosse della quale ereditò la guida militare, dopo l’arresto a Milano il 4 aprile 1981 di Mario Moretti (dopo dieci anni di latitanza), ha deciso di intervenire in prima persona per dire la sua sulla strage di Bologna, dopo l’intervista del deputato Enzo Raisi pubblicata sul Resto del Carlino l’8 aprile 2012.
(http://www.fascinazione.info/2012/04/strage-di-bologna-raisi-tira-in-ballo.html)
A seguito di quell’intervista a Raisi, rilasciata per commentare un precedente articolo sempre del Carlino che pubblicava una lettera di Carlos dal carcere di Possy, datata 20 marzo 2012, nella quale l’ex terrorista internazionalista venezuelano – condannato all’ergastolo per una serie di attentati ai treni e alle stazioni compiuti in Francia tra il 1982 e il 1983 – dichiarava: «Sono certamente pronto ad aiutarti [rivolgendosi all’avvocato bolognese Gabriele Bordoni, ndr], al di là degli ostacoli, per scoprire chi sono i veri responsabili dell’attacco terroristico di Bologna».

Venuto allo scoperto per difendere la sua moglie tedesca, Christa-Margot Fröhlich, già militante delle Cellule rivoluzionarie e poi passata armi e bagagli al gruppo Carlos e ora indagata dalla Procura di Bologna insieme al connazionale Thomas Kram, Padula scrive, citando un brano di una interpellanza parlamentare presentata durante i lavori della Commissione Mitrokhin: «All’aeroporto di Fiumicino veniva fermata per un controllo la cittadina tedesca Christa Margot Fröhlich, trovata in possesso di una valigia contenente due detonatori e tre chili e mezzo di miccia detonante, contenente esplosivo ad alta velocità di tipo Pentrite, una sostanza detonante che entra nella composizione del Semtex” (interpellanza urgente 2-01636 presentata giovedì 28 luglio 2005 da Vincenzo Fragalà nella seduta n° 664). Come è altresì noto, l’ordigno impiegato per la strage di Bologna non era costituito da esplosivo di tipo Pentrite, ma “da un esplosivo contenente gelatinato e Compound B (sentenza secondo processo di Appello sulla strage di Bologna, 16 maggio 1994). E il Compound B, una miscela di tritolo e T4, è roba della Nato!».
In questi link si trova l’intera discussione originatasi tra Padula e Raisi:
http://www.fascinazione.info/2012/04/strage-di-bologna-il-br-padula-smonta.html
http://www.fascinazione.info/2012/04/strage-di-bologna-raisi-replica-padula.html
http://www.fascinazione.info/2012/04/strage-di-bologna-la-ricerca-della.html

Quel che dicono davvero le perizie esplosivistiche
Analizziamo quanto scrive Padula. Prima di tutto, è falso che sia stata accertata, e comunque accertata incontrovertibilmente, in qualsivoglia sede, la presenza di Compound B ad uso bellico nell’ordigno della strage di Bologna, e tanto meno che ciò sia avvenuto nella citata Sentenza d’Appello.

A conforto di ciò riportiamo testuali le perizie esplosivistiche.
Prima perizia (“Marino-Pelizza-Vettori-Spampinato”)
1.    «…il materiale esplodente costitutivo dell’ordigno esploso in argomento è risultato essere un prodotto per usi civili “gelatinato”. A questa classe di esplosivi appartengono varie miscele il cui principale costituente esplosivo è la nitroglicerina… Accanto alla nitroglicerina, questi prodotti contengono ancora sali inorganici, quali il nitrato d’ammonio e/o il nitrato di sodio, sostanze inerti sensibilizzanti come il solfato di bario, o stabilizzanti come il carbonato di calcio ed il borace, ed infine anche sostanze esplosive appartenenti alla serie dei nitroderivati (TNT o DNT) o delle nitramine (T4). (…) …la carica, [era] composta da 20-25 kg di esplosivo gelatinato di tipo commerciale:  (costituenti principali: nitroglicerina, nitroglicol, nitrato ammonico, solfato di bario, tritolo e T4 e, verosimilmente, nitrato sodico)…» – (subito a seguire, il perito riproduce una tabella esemplificativa ove compare un esplosivo commerciale dal nome “Nitrogel”, omologato presso il Ministero dell’interno, avente componenti in tipo e percentuali del tutto simili a quello della strage di Bologna, ed in particolare un 2/2,5% di T4 ed un 3% di tritolo, ndr).
Perizia esplosivistica nel procedimento penale contro Ballan Marco (“Brandimarte – Marino – Pelizza – Spampinato – Vassale”)
2.    «Per quanto concerne la provenienza del T4 nella carica esplosa a Bologna, è stato confermato per via analitico-sperimentale che trattasi, in effetti, di un semplice arricchimento». Per il collegio peritale poi sarebbe “compatibile la presenza in una carica presumibilmente composita, come quella esplosa a Bologna, di una percentuale di T4 in accordo:
•    Con un gelatinato da cava, per uso civile, associato con un detonatore secondario.
•    Con le formulazioni degli esplosivi da cava gelatinati».

Le perizie, quindi, concordano nell’affermare che nell’ordigno fossero state inserite soltanto piccole percentuali (2%) di T4 a scopo di arricchimento, nonché di tritolo, ma senza fornire indicazioni, o comunque mai indicazioni certe, che sia stato usato Compound B, e vale a dire un composto di tritolo (40%) e T4 (60%) preconfezionato.
Ora, per amor di precisione, va detto che anche il succitato Semtex è composto principalmente da una miscela di pentrite (l’esplosivo trovato nella valigia della signora Fröhlich Padula) e di T4, e il Semtex è roba non della Nato, ma delle forze armate del Patto di Varsavia. La stessa Pentrite poi, in peso prevalente, fu impiegata in molti gravi attentati di mafia (es: attentati contro i giudici Falcone, Borsellino e Chinnici, nonché tutti gli attentati del 1993) od in altre stragi sulle quali tutt’oggi permangono molti lati oscuri, nonostante i numerosi processi, come quella del treno 904 Roma-Napoli avvenuta il 23 dicembre 1984 (16 morti e 267 feriti), periodo in cui la signora Frohlich si trovava detenuta dopo l’arresto a Fiumicino  ed  il gruppo Separat, come si legge in un documento della Stasi, era «impegnato a fare tutto il possibile per ottenere la sua liberazione». Tutto ciò dimostra quanto possa essere spinoso e capace di produrre illazioni, il terreno dell’associazione fra l’origine di un esplosivo, e la matrice di un attentato.
(http://segretidistato.liberoreporter.it/index.php/approfondimenti/stragi/stazione-di-bologna/166-il-lodo-moro-visto-dal-gruppo-carlos-il-caso-di-christa-margot-froehlich.html).

Quindi, per ricapitolare, il T4 rintracciato sul luogo dell’esplosione del 2 agosto 1980 era esplosivo utilizzato ovunque, così come il tritolo, sia in ambito Occidentale sia all’Est. E dunque si potrebbe concludere che la presenza di T4 nell’ordigno di Bologna avrebbe potuto essere tanto compatibile con l’impiego di un Compound B di provenienza Nato (come peraltro viene rilevato in alcune relazioni peritali), quanto avrebbe potuto esserlo con l’uso di un prodotto puro proveniente da Oltre Cortina, dove questo veniva mescolato alla Pentrite,  l’esplosivo poi scovato a Fiumicino nella valigia della signora Fröhlich, per produrre il Semtex. Non ci sono prove né indizi della sua effettiva origine, e pertanto ognuno può dire la sua.
Un gioco di prestigio testuale smascherato
Quello che invece non si può assolutamente dire, perché qui Padula ha mentito, facendo pure un uso garibaldino di un virgolettato, è che la sentenza del secondo processo di Appello sulla strage di Bologna, del 16 maggio 1994, sia arrivata a stabilire che «l’ordigno impiegato per la strage di Bologna non era costituito da esplosivo di tipo Pentrite ma “da un esplosivo contenente gelatinato e Compound B».

In realtà, in quella sentenza c’è ben altro. Succede, infatti, che i giudici della Corte, ad un certo punto, si avventurano in una sorta di contestazione di natura scientifica delle perizie, formulando da loro medesimi un modello matematico abbastanza sconcertante. Essi affermano, in buona sostanza, che la percentuale di T4 misurata dai periti nelle prove “di laboratorio” con bombe sperimentali di composizione presumibilmente analoga a quella fatta brillare nella strage, sia errata per il fatto che sono stati usati ordigni di 2,5 kg mentre quello di Bologna pesava 25 kg. Quindi, nell’ipotesi dei giudici, se i residui dell’esplosione di una bomba da 2,5 kg contenente il 2% di T4 hanno dimostrato, per via sperimentale, un rilascio di residuo nel terreno con concentrazioni analoghe a quelle presenti a Bologna, qualora fosse stata usata una bomba del peso di 25 kg, come quella di Bologna, per rilasciare nel terreno la stessa concentrazione di residuo, il contenuto di T4 avrebbe dovuto essere del 20%. (e a questo punto, per dare buon seguito al calcolo proporzionale impostato dai giudici che si improvvisano fisici o ingegneri, noi aggiungeremmo: e se fosse stato fatto brillare un ordigno da 250 kg, per rilasciare la stessa concentrazione di residuo nel terreno, la percentuale di T4 nel composto avrebbe dovuto essere pari al 200%).

Per gli increduli (e per Padula), citiamo il passaggio testuale della sentenza:
«Invero, i periti, pur avendo impostato un’interessante metodica sperimentale basata sulla rilevazione dei residui di materiale inesploso derivanti dall’esplosione di cariche di prova costituite da miscele di diversa composizione, hanno compiuto un’analisi di tipo statistico dei dati che non appare pienamente condivisibile, in quanto non hanno tenuto in considerazione un dato importante e già verificato nella prima perizia, vale a dire l’effettiva dimensione dell’ordigno esploso a Bologna. (…) Affermano i periti che, poiché 60 microgrammi per chilogrammo di terreno è un residuo che corrisponde a cariche di prova contenenti quantità di T4 comprese tra il 2 e il 6%, si deve indicare questo intervallo di concentrazione anche per l’esplosivo dell’attentato della stazione.
Orbene, l’estrapolazione non sembra essere corretta, in quanto il residuo di T4 rilevato dai periti è relativo a cariche di prova di peso notevolmente inferiore (2,5 kg) rispetto all’ordigno esploso alla stazione (20-25 kg, p.122 della perizia del 1980) il quale, quindi, a parità di percentuale di T4, avrebbe dovuto lasciare un residuo maggiore in valore assoluto.
Sarebbe stato, pertanto, più corretto impiegare cariche di prova di dimensioni confrontabili con quelle dell’ordigno esploso il 2 agosto, oppure, nell’impossibilità di un tale approccio sperimentale, sarebbe stato opportuno verificare l’esistenza di una eventuale relazione di proporzionalità tra peso dell’ordigno e T4 residuo nel caso di cariche con identica composizione della miscela esplodente.
La Corte vuole fare rilevare che se tale relazione fosse eventualmente riscontrata, il valore residuo di 60 microgrammi per chilogrammo di terreno, considerando i dati sperimentali dei periti del 1990 rapportati ad un ordigno di 25 kg, potrebbe corrispondere ad una percentuale di T4 di poco meno del 20% .
Come è evidente, questo valore non corrisponderebbe più all’arricchimento di un gelatinato commerciale quanto, piuttosto, al confezionamento artigianale di un ordigno costituito “da un esplosivo contenente gelatinato e Compound B” miscelati in proporzioni 2 : 1 .
».

Ecco da dove Padula ha tratto il suo virgolettato in risposta all’on. Raisi. Ma non si tratta di una conclusione della Corte o della risultanza di un esame tecnico, ma solo di un’ipotesi, formulata dai giudici in forma meramente teorica ed apodittica, ed in polemica con le conclusioni dei periti, esperti emeriti, sulla base di una considerazione di natura “matematica” quanto meno contorta e che suscita non poche perplessità.
È chiaro, per contro, che in quella sentenza i magistrati, in assenza di dati scientifici per loro certi, non danno poi alcun seguito a quell’ipotesi, ma si astengono del tutto dal giungere alle conclusioni che il Padula ha cercato di farci prendere per certe, estrapolando furbamente una porzione di testo.

Anzi, nelle conclusioni, i magistrati ritornano semplicemente a quanto di certo già abbiamo individuato:
«Per doverosa completezza di esame la Corte ritiene che vada fatta una ulteriore considerazione sul tema qui in trattazione, avendo presente l’argomento svolto dai giudici dell’appello in contrapposizione a quelli di primo grado.
Devono essere valutati due fatti acclarati nel processo: da un lato, la concreta possibilità che il T4 entrasse a far parte anche degli esplosivi civili e la conseguente possibilità che siffatti esplosivi fossero trafugabili da un qualsiasi cantiere nel quale si operasse con quel mezzo o che, comunque, fossero reperibili – fraudolentemente – presso le fabbriche che legalmente li producevano; dall’altro, la circostanza che fosse notorio tra la popolazione del luogo, e non solo del luogo, che proprio sul fondo del lago di Garda, tra Malcesine e Riva, giacevano ordigni bellici in quantità.
È inevitabile, a questo punto, osservare che l’accesso al T4 era una evenienza aperta ad un numero non ristretto di persone; in pratica, a tutti coloro che avessero voluto ricorrere al trafugamento o all’acquisto fraudolento o clandestino ma, anche, a chi si fosse rivolto direttamente al recupero dei residuati bellici
».

Quanto affermato qui nella sentenza, è confermato anche dal fatto che TNT e T4 furono ritrovati come residuo fra i reperti di numerosi attentati “minori” compiuti in quel periodo, come ad esempio quello in danno al periodico Il Borghese del 30 gennaio 1975, e altri attentati alle linee ferroviarie.
Quindi, nessuna certezza che sia stato usato Compound B della Nato, caro Padula. La sola cosa certa è che nella bomba c’erano del comune tritolo e del T4, del tipo impiegato un po’ dovunque e quindi, oltre che dalla Nato, anche dall’Armata Rossa per fabbricare il Semtex, mescolato con la pentrite.
Imprevedibili convergenze tra piduisti e brigatisti
Ma il marito della Fröhlich, quando cerca di farci credere, manipolando le sentenze, che l’esplosivo usato a Bologna fosse senz’altro Compound B di origine militare-occidentale, non è solo, bensì in ottima compagnia.
Nello sciagurato episodio di depistaggio di matrice piduista sul treno Taranto-Milano del 13 gennaio 1981, furono trovati due tipi distinti e separati di contenitori, uno contenente un gelatinato stabilizzato con solfato di bario, ed altri, con elevato grado di certezza, contenenti proprio una bella dose di Compound B. Ora, bisogna dire che non esiste una ragione pratica particolare per cui i due tipi di esplosivo debbano essere trasportati in contenitori separati. La loro miscelazione preventiva, non renderebbe il composto più instabile, ad esempio.
E su questo fatto, c’è molto da meditare, essendo e volendo senz’altro essere, quello, giustappunto un depistaggio, i cui ben noti autori sono finiti in galera.

Se i piduisti hanno inteso far rinvenire del Compound B, in uso alla Nato, preconfezionato allo stato puro, anziché miscelato al gelatinato, può essere solo perché volevano essere sicuri che questo fosse classificato come tale con certezza, poiché miscelato alla nitroglicerina, pur risultando il composto finale sempre analogo a quello usato a Bologna e quindi plausibilmente efficace ai fini del depistaggio, avrebbe perduto la sua identità originale di Compound B, non essendo più ricostruibile lo status originale delle sue componenti.
In buona sostanza, lo scopo dei piduisti in quella operazione era in qualche modo analogo a quello perseguito oggi da Sandro Padula, mediante la distorsione degli fatti e degli atti: farci credere che l’esplosivo della strage di Bologna aveva certamente origini militari in esclusivo ambito Nato.

Lo stesso Padula poi, in un suo scritto del 2011 pubblicato su alcuni blog, dal titolo “La strage di Bologna del 1980 e l’infondatezza della pista palestinese”, forniva una versione ancora più fuorviante dei fatti, poiché affermava:
«La strage di Bologna del 2 agosto 1980 fu causata dalla deflagrazione di una valigia piena di circa 20 chilogrammi di “Compound B”, un esplosivo di fabbricazione militare, per altro in dotazione ad istituzioni come la Nato, che non scoppia da solo o per un “incidente”. Il “Compound B” ha bisogno di un innesco per poter scoppiare, cioè di un qualche tipo di marchingegno meccanico o elettronico per la detonazione, e di qualcuno che lo abbia inserito preventivamente [tra l’altro, ciò non è vero. L’ordigno di Bologna poteva essere innescato chimicamente, ad esempio con acido solforico, e come hanno stigmatizzato gli autori della prima perizia sull’attentato di Bologna, una fuoriuscita accidentale di acido solforico da un flacone mal riposto nella valigia contenente la bomba, avrebbe senz’altro potuto raggiungere, anche mediante la corrosione, l’esplosivo e provocarne l’innesco accidentale, ndr]. Infine, tanto per dimostrare la totale infondatezza della pista palestinese rispetto alla strage di Bologna, è necessario ricordare che nella storia della Prima Repubblica l’uso criminale del “Compound B” ha sempre avuto una precisa matrice politica reazionaria. Come si è saputo alla fine del 1995 grazie ad una perizia ordinata dalla Procura di Pavia, il “Compound B” fu l’esplosivo che, collegato in precedenza ad un congegno meccanico da alcuni esperti dei servizi segreti militari italiani, il 27 ottobre 1962 uccise il dirigente dell’Eni Enrico Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista William Mc Hale. In sintesi: l’arma, il movente e la matrice politica della strage di Bologna non hanno letteralmente nulla a che fare con i palestinesi».

Curioso il fatto che Padula, che pare così bene informato, oltre ad avventurarsi su una serie di terreni scivolosissimi sulla reale composizione della bomba di Bologna, citi successivamente, quale esempio di impiego di quel tipo di esplosivo (il Compound B) l’episodio della morte di Enrico Mattei, omettendo del tutto di citare la circostanza del noto depistaggio piduista, dove la presenza di un contenitore colmo proprio di Compound B fu netta, incontestabile e certificata.

Il problema, semmai, non è quello di individuare i mandanti e gli esecutori di un attentato partendo dalla natura dell’esplosivo, ma di capire chi poteva – in quel periodo – avere interesse a compiere quell’attentato, servendosi magari anche di miscele esplosive di provenienza diversa per confondere le acque e creare motivi di pressione verso chi aveva violato gli accordi. Un grande servizio o un’organizzazione seria non avrebbero mai perso un’occasione così ghiotta come quella di utilizzare armi ed esplosivi dell’avversario così da rovesciare, all’occorrenza, le responsabilità sulla controparte nel caso non avesse inteso scendere a patti. Su questo versante, valga un esempio: le 20 tonnellate di esplosivo al plastico C4 (composto per i nove decimi del proprio peso, proprio da T4), nonché 500mila timer vendute a Gheddafi nell’ottobre del 1977 grazie alla mediazione di un ex funzionario della Cia nell’ambito di una articolata operazione clandestina in Libia. Che uso venne fatto di quell’esplosivo? A chi venne ceduto? Dove venne impiegato? A distanza di trentadue anni, nessuno è ancora in grado di fornire una risposta.

Rimangono alcune domande finali: perché un ex brigatista condannato all’ergastolo per il caso Moro, sposato con una ex terrorista tedesca attualmente indagata dalla Procura di Bologna, sente la necessità di uscire allo scoperto in questo modo? Chi deve difendere, in realtà, Padula, e perché? Qual è, veramente, la finalità di tutta questa operazione?

ENRICO TAGLIAFERRO
GIAN PAOLO PELIZZARO
GABRIELE PARADISI
OLIVIER FRÉROT