La sera di martedì 5 agosto 1980, tre giorni dopo l’attentato alla stazione ferroviaria di Bologna, Thomas Kram, il terrorista tedesco delle Cellule rivoluzionarie (RZ – Revolutionäre Zellen) legato al gruppo Carlos, è a Berlino Est. Poche ore dopo arriva anche Johannes Weinrich (alias Steve) per incontrarsi con Magdalena Kopp (Lilly) e Carlos. La notizia, inedita e straordinaria, è annotata su una serie di documenti della Stasi, la polizia segreta della ex Ddr, e ritrovati presso gli archivi del BStU (Bundesbeauftragte für die Stasi-Unterlagen, l’istituto federale di Berlino che gestisce il patrimonio documentale della Stasi). La ricerca è stata condotta da Gabriele Paradisi, che ha tenuto la corrispondenza con i funzionari del BStU.

Questi documenti non sono mai stati acquisiti ed esaminati dalla Commissione Mitrokhin perché la rogatoria presso le autorità della Repubblica Federale di Germania, nonostante fosse stata approvata dall’Ufficio di Presidenza, non venne espletata per motivi mai del tutto chiariti, privando così il Parlamento italiano di ulteriori elementi conoscitivi.

La scoperta non solo demolisce l’alibi posticcio fornito da Kram al quotidiano il manifesto nell’intervista pubblicata il 1° agosto del 2007, ma potrebbe costituire uno dei principali elementi a supporto della recente iscrizione del suo nome sul registro degli indagati da parte della Procura di Bologna, insieme a quello della “compagna d’armi”, Christa-Margot Fröhlich. Le carte della Stasi aprono uno scenario ancor più inquietante e grave, perché non solo dimostrano che Kram tre giorni dopo la strage non era a Firenze, come da lui stesso dichiarato al manifesto, ma nella capitale della Germania Est, insieme a Steve, numero due di Separat, e a Carlos, il quale aveva il suo quartier generale dell’organizzazione, oltre che in via Vend a Budapest, in una suite del Palasthotel, sotto la stretta sorveglianza dell’MfS (Ministerium für Staatssicherheit, il Ministero per la Sicurezza dello Stato dal quale dipendeva la Stasi), ma – dopo un primo respingimento al posto di blocco di Friedrichstrasse (l’ormai noto Checkpoint Charlie) – riesce comunque a entrare in città, passando da Berlino Ovest a Berlino Est, a dimostrazione che senza l’aiuto della polizia segreta ciò sarebbe stato tecnicamente impossibile.

Dall’esame della documentazione fornita dal BStU si evince che tre giorni dopo la strage di Bologna, nel settore Est di Berlino vi fu un vero e proprio vertice del gruppo Separat al quale presero parte Carlos, Kopp, Weinrich e Kram. Molto probabilmente fu proprio durante questa riunione (che sarebbe andata avanti per giorni) che venne esaminata l’operazione compiuta in Italia e in particolare a Bologna e sulla base della quale venne poi redatto quel rapporto dettagliato dell’Ori (Organizzazione dei rivoluzionari internazionalisti) di cui ha parlato Carlos nella sua intervista al Corriere della Sera del 23 novembre 2005 nella quale precisa: «Poco tempo dopo la strage ho ricevuto dalla Germania Ovest un rapporto scritto, che è molto importante e dovrebbe essere ancora negli archivi della nostra Organizzazione dei rivoluzionari internazionalisti (ORI). Il rapporto dice che un compagno tedesco era uscito dalla stazione pochi istanti prima dell’esplosione. Ho ricordato il suo nome leggendo il Corriere: Thomas Kram. Era un insegnante comunista di Bochum, rifugiato a Perugia. Il giorno prima della strage era a Roma, pedinato da agenti segreti che lo seguirono anche sul treno per Bologna. Kram aveva solo un sacchetto di plastica con oggetti personali, ma se fosse morto nell’attentato, sarebbe stato facile attribuirgli ogni colpa». Il quotidiano di via Solferino pubblica questa intervista quattro mesi dopo il deposito in Commissione Mitrokhin da parte di Gian Paolo Pelizzaro e Lorenzo Matassa degli accertamenti svolti presso la Questura di Bologna che documentavano – per la prima volta in 25 anni – la scoperta del nome di Thomas Kram e la sua presenza in città il giorno della strage. Carlos, messo di fronte al dato oggettivo, non poteva più negare né temporeggiare. D’altra parte, era stato proprio lui, il 1° marzo del 2000, in un’altra intervista questa volta concessa al Messaggero, a parlare, per la prima volta nella storia, di un militante tedesco presente in stazione al momento dell’esplosione. Dopo cinque anni, quel fantasma aveva finalmente un’identità.

Il nome di Kram, infatti, è emerso per la prima volta, pubblicamente, il 27 luglio del 2005 dopo 25 anni di silenzio tombale, proprio nell’ambito dei lavori istruttori della Commissione bicamerale d’inchiesta sul Dossier Mitrokhin (2002-2006). Grazie al lavoro di ricerca condotto da Gian Paolo Pelizzaro, la Questura di Bologna (in particolare la Digos) è stata in grado di mettere a disposizione dell’organismo parlamentare in una serie di atti, rapporti e informative sul tedesco e soprattutto sulla sua presenza a Bologna il giorno della strage. Questo è stato il segreto più impenetrabile e meglio custodito di tutta l’inchiesta sui fatti del 2 agosto 1980. Mai prima di allora, infatti, il nome del tedesco e degli altri membri del gruppo Separat erano stati resi noti all’opinione pubblica nell’ambito delle indagini sulla strage di Bologna o in altre circostanze legate al terrorismo internazionale. Anzi. Per proteggere e mascherare la sua reale identità e il suo eventuale ruolo nella strage, nelle banche date delle forze di polizia Kram era stato schedato come “estremista di destra”.

La notizia sulla sua presenza a Bologna, nonostante fosse un fatto noto agli organi di polizia fin dal 7 agosto del 1980, non ha mai travalicato le mura della Procura di Bologna la quale – finché ha potuto – ha mantenuto sulla questione il più assoluto riserbo, senza peraltro svolgere alcuna reale attività di indagine per chiarire i motivi di quella presenza in città. Eppure, già dal 1979, il nome di Kram, oltre al suo ruolo nelle attività terroristiche delle Cellule Rivoluzionarie, era messo in relazione al suo capo, Johannes Weinrich (Steve), già esponente di primo piano delle RZ e ora numero due del gruppo Carlos (Separat). Kram è l’uomo di fiducia di Steve, il suo braccio destro, il compagno al quale affidare le missioni più delicate. Kram è un professionista della lotta armata, un freddo, calcolatore, meticoloso, esperto di esplosivi e con una grande perizia nel fabbricare documenti falsi da utilizzare solo in caso di emergenza (il motto del gruppo, infatti, così come risulta da un rapporto dell’Abteilung XXII, Sezione 8, dell’11 settembre 1985, sulle RZ, era “legal Leben, illegal Kämpfen”: vivi legalmente, combatti illegalmente). Quando i funzionari della Digos, il 7 agosto del 1980, riscontrarono questi dati, incrociando le informazioni sulla presenza di Kram a Bologna con i suoi precedenti di archivio, si trovarono di fronte a un bel grattacapo.

Infatti, come viene candidamente spiegato dai magistrati della Procura e del Tribunale di Roma Giancarlo Capaldo, Loris D’Ambrosio, Pietro Giordano, Michele Guardata e Alberto Macchia nel loro intervento nel saggio collettaneo Eversione di destra, terrorismo, stragi (a cura di Vittorio Borraccetti, Franco Angeli, Milano 1986): «Il 2 agosto si verifica la strage di Bologna: il più grave episodio terroristico mai riferito all’ambiente eversivo di destra. La generale e compatta reazione di tutte le forze politiche e sociali impongono allo Stato di mettere finalmente all’ordine del giorno la lotta all’eversione nera. Il governo spinge le Procure di Roma e di Bologna a dare risposte sostanzialmente politiche all’ambiente attraverso inchieste giudiziarie, in cui vengono assemblati in modo confuso scarni elementi desunti da alcuni vecchi fatti». Borraccetti, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica a Padova, è ancor più esplicito, quando deve spiegare gli elementi e i riscontri alla base della pista nera per la strage: «Fin dall’inizio, la sola cosa certa appare l’attribuzione della strage all’area della destra eversiva. Ciò esige di essere spiegato. Questo tipo di delitto politico – la strage, l’attentato contro persone qualunque in ambiente pubblico – è storicamente proprio dell’eversione di destra». La pista è tracciata. Ogni altro elemento sarà tolto dalla scena delle indagini.

Nei giorni immediatamente successivi all’attentato, il dilemma per gli esperti dell’antiterrorismo a Roma e soprattutto a Bologna fu dunque immediatamente evidente: come conciliare i riscontri su Kram con l’atteggiamento delle forze politiche e del governo? Su questo rompicapo si è andata avvitando gran parte dell’attività di indagine che, lentamente ma inesorabilmente, è stata piegata alla ragion di Stato che doveva, necessariamente, mettere al riparo gli interessi nazionali, gli equilibri internazionali e i rapporti con la dirigenza palestinese e con il regime libico il quale dava pieno appoggio alla causa rivoluzionaria del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina di George Habbash. Di fronte a questo bivio, la polizia giudiziaria prese la strada più breve, quella che veniva indicata dai palazzi del potere, puntando le indagini a destra e abbandonando quegli inquietanti indizi che emergevano dai primi accertamenti di polizia e dalle informazioni che iniziavano ad affluire timidamente dalla Germania Ovest. Questo spiega il comportamento del vertice del nostro servizio segreto militare, che aveva il compito e la responsabilità di mantenere in piedi quegli equilibri e rapporti con la galassia arabo-palestinese, quando scende in campo in modo pesante per attirare l’attenzione degli inquirenti sull’eversione di destra e su alcuni controversi collegamenti internazionali. Borraccetti, sul punto, non può non rilevare la contraddizione logica rispetto all’indirizzo generale che aveva caratterizzato l’azione giudiziaria: «Il 13 gennaio [1981] veniva sequestrata a Bologna, su un treno proveniente da Taranto, una valigia di esplosivo con alcuni documenti intestati a cittadini tedeschi; l’esplosivo analizzato risulterà simile a quello usato per la strage di Bologna. Si scoprirà poi che la valigia con i falsi documenti era stata messa sul treno da uomini dei servizi segreti; per tale fatto sono già stati tratti a giudizio, fra gli altri, il gen. Musumeci e Francesco Pazienza. Per la verità questa creazione di falsa prova sembra almeno in parte aver avuto lo scopo di assecondare l’indirizzo delle indagini, non di smentirlo, se è vero che la collocazione della valigia su di un treno proveniente da Taranto consentiva di collegare il fatto ai soggiorni di Mauro Addis, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, nonché di altri personaggi della destra, in quella città […] Certo non si può non riflettere sul fatto – concludeva Borraccetti – che questo intervento dei servizi, se da una parte sembrava indicare agli inquirenti una pista straniera, dall’altra rafforzava l’indirizzo delle indagini verso un determinato settore della destra eversiva, quello di Valerio Fioravanti».

Meno di dieci mesi dopo il deposito in Commissione Mitrokhin della “Relazione sul Gruppo Separat e il contesto dell’attentato del 2 agosto 1980”, firmata da Gian Paolo Pelizzaro e Lorenzo Matassa, nella quale veniva esaminato il modo sistematico e coerente il ruolo dell’organizzazione di Carlos e di Thomas Kram a Bologna il giorno della strage, il 4 dicembre 2006, dopo 26 anni di irreperibilità e 19 anni di latitanza, Kram riemergeva dalle tenebre e si consegnava alle autorità federali. Erano passati circa 26 anni dal suo misterioso ingresso in Italia e dal suo soggiorno a Bologna il giorno in cui esplodeva la bomba nella sala d’aspetto della stazione. Da quel sabato 2 agosto 1980, Kram era letteralmente scomparso dall’Italia. Nessuna traccia, nessun riscontro di suoi successivi viaggi, arrivi e soggiorni in territorio nazionale (almeno con le sue vere generalità, ma potrebbe essersi presentato sotto falso nome). Perché?

Le RZ erano un gruppo di estrema sinistra dedito prevalentemente alla guerriglia urbana sul territorio nazionale, ma una consistente aliquota di suoi militanti, la cosiddetta “ala internazionalista”, era stata cooptata da Ilich Ramirez Sanchez (Carlos) per costituire il nucleo di testa della nuova organizzazione. Questa formazione, denominata Ori (Organizzazione dei rivoluzionari internazionalisti), ma ribattezzata Separat dalla Stasi, che ne monitorava, fornendo loro supporto logistico e ospitalità con l’obiettivo di eterodirigerne le principali attività, eseguiva per conto del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) di George Habbash e Wadi Haddad azioni terroristiche soprattutto in Europa Occidentale.

Una scheda della Stasi datata 5 agosto 1980, notificata dall’Unità VI del posto di blocco di Friedrichstrasse, il noto Checkpoint Charlie, registra l’arrivo di Thomas Kram alle ore 20.03, il quale si presenta con la sua vera identità (il numero del suo passaporto viene regolarmente registrato dai Vopos), destinazione Berlino Est (Hauptstadt der DDR). Rispetto al suo ingresso in Italia, quattro giorni prima, il tedesco fornisce ai funzionari di polizia il passaporto e non la carta d’identità (come aveva fatto a Ponte Chiasso la mattina del 1° agosto, perché valida per l’espatrio) o la patente di guida (così come aveva fatto invece al momento della registrazione all’Albergo Centrale di Bologna sempre la sera del 1° agosto). Questo perché nell’allora Germania Orientale non era consentito l’ingresso senza passaporto valido.

Kram, come tutti gli altri membri di Separat, era iscritto dalle autorità della DDR sul registro delle persone da tenere sotto controllo (FO – Fahndung Objekt). Qualcosa di simile alla nostra rubrica di frontiera. Nonostante i XXII Giochi olimpici di Mosca fossero ufficialmente terminati il 3 agosto 1980, le misure di sicurezza diramate per l’occasione erano ancora in vigore. Per questo, era previsto il respingimento alla frontiera di tutte le persone per cui esisteva una pratica FO. Questo il motivo per il quale a Kram, in un primo momento, venne impedito di fare ingresso nel settore Est della città.

Il funzionario di polizia del Checkpoint Charlie che aveva registrato e respinto Kram avvisò immediatamente il dipartimento antiterrorismo della Stasi (l’Hauptabteilung HA XXII), nella persona del capitano Wilhelm Borostowski, inviando al contempo un appunto manoscritto con ulteriori dettagli anche al maggiore Helmut Voigt, capo della Sezione 8ª del XXII Dipartimento che aveva in carico la gestione della pratica Separat.

La prova che Kram sia riuscito lo stesso a varcare il confine orientale è contenuta in un’altra informativa della polizia segreta della Ddr del 10 agosto 1980 che certifica come, alle ore 2.05 di quello stesso giorno, il tedesco esca (in treno) transitando dal posto di frontiera di Marienborn, nel distretto di Magdeburgo (Repubblica Democratica Tedesca) con destinazione «BRD» (Repubblica Federale di Germania).

Può essere che quella sera del 5 agosto 1980 Thomas Kram fosse diretto al Palasthotel, base di Carlos?

L’allora nuovissimo albergo, proibito ai cittadini della Germania Democratica, era utilizzato dalle autorità di Berlino Est per ospitare e sorvegliare i viaggiatori e i turisti stranieri, soprattutto gli occidentali. Che Kram avesse delle frequentazioni di quel luogo può testimoniarlo un altro documento della Stasi che abbiamo avuto la possibilità di consultare, relativo ad un pedinamento a cui venne sottoposto pochi mesi prima, il 7 gennaio 1980.

L’osservazione messa in opera alle 12.08 di quel giorno, annota tutti gli spostamenti di Kram fin dal suo arrivo alla solita stazione di Friedrichstrasse. Il soggetto mostrava grande circospezione e diffidenza. Osservava attentamente tutte le persone che scendevano con lui dalle vetture del metrò, si guardava intorno continuamente, quindi prese a gironzolare proprio nei pressi del Palasthotel. Per lunghi minuti senza entrare, sentendosi monitorato, ma lasciando capire che proprio quella fosse la sua meta. Finché alle 13.09 l’osservazione cessò.

Per la cronaca quel 7 gennaio 1980, anche Weinrich giunse a Berlino dall’Ungheria. Segno forse che Kram quando si recava a Berlino Est era per incontrarsi coi suoi diretti superiori.

E così in effetti avviene anche quel martedì 5 agosto 1980. Addirittura per quanto riguarda Weinrich ci sono, tra quelli da noi visionati, due documenti differenti e indipendenti, uno prodotto dalla Stasi e l’altro dal servizio segreto ungherese, che convergono, offrendo un riscontro ancora più solido.

Nel documento ungherese è registrata l’uscita di Weinrich dall’Ungheria il 5 agosto, destinazione Berlino e il suo rientro in Ungheria via Szob il 10 agosto 1980. Il ritorno in Ungheria è annotato anche in un altro documento del servizio di sicurezza magiaro dove si specifica che l’ingresso a Szob è avvenuto in treno dalla Cecoslovacchia. Va notato che anche Kram aveva lasciato la Germania Est lo stesso giorno: il 10 agosto 1980.

Il documento della Stasi, analogamente, svela come il 6 agosto del 1980 (alle ore 0.25, poche ore cioè dopo l’arrivo di Kram al Checkpoint Charlie) Weinrich sia arrivato all’aeroporto di Schonefeld a Berlino Est. È chiaro che i vertici di Separat sono stati convocati d’urgenza dal capo per fare il punto sugli ultimi avvenimenti.

Dunque, tra la tarda serata del 5 e il 10 agosto 1980 a Berlino Est si svolge un summit del gruppo Separat. La vicinanza con la data della strage fa riflettere se si considera quanto ha riferito l’allora generale Silvio Di Napoli, già vice capo della Seconda Divisione del Sismi, nel verbale di interrogatorio dell’8 ottobre 1986 che abbiamo ritrovato agli atti dell’inchiesta del giudice istruttore di Venezia, Carlo Mastelloni, sul traffico di armi tra Olp e Brigate rosse:

«Dopo la prima condanna inflitta agli autonomi e al giordano pervenne da Giovannone l’informativa secondo cui l’Fplp aveva preso contatti con il terrorista Carlos. Ciò avallò la minaccia prospettata da Habbas[h]».

Quindi dopo il sequestro dei missili palestinesi ad Ortona (nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979), l’arresto e la condanna dei tre autonomi romani trovati coi missili (Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner e Giuseppe Luciano Nieri) e del responsabile per l’Italia dell’Fplp Abu Anzeh Saleh, dal capocentro del Sismi a Beirut, colonnello Stefano Giovannone, garante del lodo Moro, giunse un’informativa che preannunciava una possibile rappresaglia-sanzione da parte della dirigenza palestinese, che in questi casi si affidava alla expertise degli uomini di Separat che per altro verso garantiva anche un certo livello di compartimentazione.

Vale la pena ricordare cosa Kram dichiarò al manifesto, nell’intervista pubblicata il 1º agosto 2007:

«Un viaggio in Italia. Agosto, tempo di vacanze. Kram voleva rivedere amici conosciuti a Perugia dove aveva frequentato due corsi d’italiano, dal settembre al dicembre 1979, e dal gennaio al marzo 1980» […] «A Firenze [il 2 agosto 1980] arrivai in pullman. Rimasi forse quattro, cinque giorni. Poi tornai in Germania». Falso.

I documenti della Stasi dimostrano che Kram ha mentito, sapendo di mentire. Il 5 agosto non era a Firenze, come da lui dichiarato al manifesto, ma a Berlino Est. Perché lo ha fatto? Perché non ha raccontato del suo arrivo a Berlino Est e del vertice con Weinrich, Kopp e Carlos? Perché non ha spiegato come ha fatto a passare la frontiera dopo essere stato respinto dai Vopos al Checkpoint Charlie? Perché non riferisce cosa emerse durante l’incontro con Steve e Carlos?

Kram si guarda bene dal riferire questa circostanza, mentre fa riferimento ad un’altra riunione di vertice dell’organizzazione, avvenuta qualche settimana dopo a Budapest, in Ungheria, e della quale si trovano ampi riferimenti nella “Relazione” Pelizzaro-Matassa e nel libro che abbiamo pubblicato per i tipi della Giraldi Editore (“Dossier strage di Bologna. La pista segreta”, 2010). Il fatto che la notizia di questo secondo vertice sia stata resa disponibile all’opinione pubblica obbliga l’estremista tedesco e i suoi complici a correre ai ripari sul piano mediatico. C’è bisogno di creare un alibi intorno agli spostamenti in Italia del braccio destro di Johannes Weinrich.

La posta in gioco è altissima. Per la prima volta, il castello di carte costruito sull’inchiesta per l’attentato del 2 agosto sta traballando in modo preoccupante.

Leggiamo ancora un brano del medesimo articolo del manifesto:

«I servizi ungheresi segnalano un incontro a Budapest, il 27 ottobre 1980, tra Carlos, «Laszlo» (forse Kram) e «Heidi» (forse Fröhlich) [i “forse” ovviamente non hanno documentalmente ragion d’essere]. […] Non si può escludere che ci siano stati ancora incontri, come quello di Budapest registrato dagli ungheresi. È un peccato che non se ne trovi la trascrizione, perché ci si può incontrare anche per litigare».

Ma torniamo a quel martedì 5 agosto. Poche ore prima che Kram arrivasse a Berlino Est, a Roma a Palazzo Chigi si riunisce il Comitato interministeriale informazioni e sicurezza (Ciis). Presieduto dall’allora presidente del Consiglio Francesco Cossiga, il Comitato era stato convocato «allo scopo di fare il punto sulla situazione creatasi a seguito del tragico episodio verificatosi alla stazione ferroviaria di Bologna». Il verbale di quella riunione – alla quale parteciparono, oltre a Cossiga, Emilio Colombo (ministro degli Esteri), Virginio Rognoni (Interno), Tommaso Morlino (Grazia e Giustizia), Lelio Lagorio (Difesa), Antonio Bisaglia (Industria), Francesco Reviglio (Finanze, Giorgio La Malfa (Bilancio), Rino Formica (Trasporti), Francesco Mazzola (presidente delegato del Cesis), ammiraglio Giovanni Torrisi (capo di Stato Maggiore della Difesa), prefetto Giovanni Rinaldo Coronas (capo della Polizia), generale Giuseppe Santovito (direttore del Sismi), generale Giulio Grassini (direttore del Sisde), generale Umberto Cappuzzo (comandante generale dell’Arma dei Carabinieri), generale Orazio Giannini (comandante generale della Guardia di Finanza), prefetto Walter Pelosi (segretario generale del Cesis) e Arnaldo Squillante (capo di Gabinetto della Presidenza del Consiglio) – è stato ritrovato dal giudice istruttore Rosario Priore (acquisendolo dall’allora segretario generale del Cesis, prefetto Umberto Pierantoni) nell’ambito dell’inchiesta sul disastro aereo del Dc9 Itavia, precipitato la sera del 27 giugno 1980. Il 28 maggio 1995, il giudice Priore trasmetteva il verbale (classificato segreto) alla Commissione stragi, presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino, che ne aveva fatto richiesta dopo averne letto alcune anticipazioni pubblicate sul manifesto il 14 aprile 1995, lo stesso quotidiano che 12 anni dopo pubblicherà l’intervista a Kram.

Durante la riunione del Ciis emersero una serie di valutazioni, alcune delle quali molto interessanti riferite alla Libia. Annotava sul punto Alfonso De Paolis, collaboratore della Commissione stragi nella XII e XIII legislatura: «Pur manifestandosi nella riunione una unanime opinione di attribuzione della strage alla destra eversiva, soprattutto sulla considerazione che si trattava di un attentato con obiettivo indiscriminato, analogo ai numerosi altri attentati dinamitardi attribuiti alla stessa matrice e, come tale, estraneo alle modalità degli atti di terrorismo attribuiti alla sinistra eversiva, si avanzava da alcune parti un possibile collegamento con la eversione internazionale. In particolare: il generale Santovito prospettava l’ipotesi che la bomba utilizzata alla stazione di Bologna fosse confezionata con miscela esplosiva di nuova concezione specialmente usata in Argentina, non escludendo che si trattasse della stessa miscela esplosiva utilizzata qualche giorno prima per la bomba esplosa in un deposito bagagli a Bengasi in Libia. E inoltre faceva riferimento agli omicidi di molti cittadini libici, dissidenti del regime di Gheddafi, commessi negli ultimi tempi in Italia ed attribuiti ai servizi segreti libici. Il ministro Rognoni dichiarava di avere avuto contatti con il ministro dell’interno della Germania Federale Baum; a proposito della strage di Bologna, gli aveva suggerito l’opportunità di un colloquio con il generale Belgassem, capo del servizio segreto libico, con il quale egli stesso aveva avuto un colloquio del cui contenuto nulla aveva riferito».

Direttore del Sismi e ministro dell’Interno, seppur timidamente, puntano su un unico obiettivo: la Libia del colonnello Gheddafi. In modo obliquo e anche un po’ criptico, il generale Giuseppe Santovito e Virginio Rognoni attirano l’attenzione di Cossiga su alcuni elementi interessanti che potrebbero costituire una pista su cui lavorare. I due, evidentemente, non parlano a vuoto. Dicono quello che possono dire, ben sapendo della delicatezza dei rapporti tra Roma e Tripoli.

Rognoni riferisce dello scambio di vedute con l’omologo tedesco-occidentale, Gerhart Rudolf Baum, il quale in modo sibillino suggerisce al ministro dell’Interno italiano di chiamare il Yunis Bel Gassem, il potente ministro dell’Interno libico, un moderato (se così si può dire), non perfettamente allineato con l’ala dura del regime, spesso in frizione con i suoi servizi segreti. Rognoni non spiega perché prese contatto con Baum e Baum non sembra aver riferito a Rognoni i dettagli del colloquio con Bel Gassem. L’unico che sembra voler dire qualcosa in più è Santovito che punta l’attenzione su una serie di delitti seriali contro cittadini libici, eliminati perché oppositori o dissidenti. Gran parte di questi omicidi viene compiuta in Italia (cinque a Roma e uno a Milano, tra marzo e giugno del 1980) e attribuiti a sicari ingaggiati dai servizi libici. Era stato Gheddafi in persona a scatenare la caccia agli oppositori residenti all’estero (il 3 febbraio 1980, li definì pubblicamente «cani randagi»), dando loro la caccia in tutta Europa. Nessuno ha mai saputo se Rognoni abbia poi contattato Bel Gassem e cosa sarebbe emerso dal colloquio.

Per capire il ruolo del ministro libico in quel preciso momento storico, bisogna rileggere le annotazioni di Johannes Weinrich, ritrovate negli archivi della Stasi.

Claus-Dieter Matschke, ex commissario di sicurezza per il ministero dell’Interno di Land tedesco col grado di consigliere superore di polizia criminale, esperto di spionaggio nei media, ha scritto un libro insieme al giornalista Fritz Schmaldienst, dedicato alla carriera criminale di Steve dal titolo “Carlos-Komplize Weinrich. Die internationale Karriere eines deutschen Top-Terroristen” (Eichborn, Francoforte 1995 – mai tradotto e mai pubblicato in Italia), basato in larga parte su documenti dell’MfS. Nel capitolo “Libia: i finanziatori del terrore”, riporta la relazione di un collaboratore non ufficiale di un servizio segreto dell’Europa dell’Est con oggetto “i contatti di Steve con il servizio libico” redatta sulla base di un colloquio con Weinrich durante il quale Steve «si lascia andare ad alcune rivelazioni sui suoi contatti con Tripoli». Da questa fonte, scrive Matschke, si apprendono le informazioni «riguardanti la persona del libico Omar Bashalah, il contatto e l’informatore più stretto di Carlos». Questo documento delinea i retroscena segreti della posizione di Bel Gassem rispetto al governo di Bonn, sulla base dei contatti messi in atto da Weinrich e Carlos con il servizio segreto libico.

«Omar Bashalah – si legge sulla relazione della fonte IM – è noto come collaboratore del servizio segreto libico. Inoltre ha sostenuto il gruppo Carlos (già) durante il soggiorno nella Repubblica socialista cecoslovacca fino a questo momento (cioè immediatamente prima che scrivesse il presente rapporto). Così ha preso in consegna le armi di Carlos. Steve e il suo gruppo intrattengono contatti diretti con il servizio segreto libico. L’uomo di collegamento diretto di Steve è (Abu Shreda Salem) con il nome di copertura Omar. Con quest’ultimo ha preso, in passato, vari accordi a Tripoli e a Berlino Est. Così, dal 4 al 5 luglio ha avuto un incontro tra Omar e Steve al Palasthotel di Berlino, nella capitale della Ddr, ed è tramite Omar che Steve viene, in certa misura, rifornito di informazioni e riceve supporto logistico e finanziario. Attraverso questo contatto il servizio segreto libico ha deciso di verificare alcune informazioni inventate (almeno in parte, e quindi non sicure) riguardanti tre palestinesi del gruppo terroristico di Abu Machmud che erano stati arrestati durante i preparativi per un attentato terroristico a Berlino Ovest. Come primo risultato delle ricerche svolte si è comunicato a Steve che il maggiore del servizio segreto libico Omar aveva scoperto che le segnalazioni che hanno portato alla cattura dei palestinesi erano arrivate dall’ambasciata della Repubblica Federale Tedesca in Libia. Stando alla stessa comunicazione, sono state prese delle misure cautelative straordinarie nei confronti dei collaboratori del ministero dell’Interno libico, e in particolar modo nei confronti del ministro Bel Gassem. Tali precauzioni sono dovute al fatto che il servizio segreto libico è a conoscenza dei contatti che Bel Gassem intrattiene con il BKA [Bundeskriminalamnt, l’antiterrorismo tedesco e ciò spiega l’interesse manifestato dal ministro dell’Interno Baum, nda] e che è in atto una certa collaborazione con la Repubblica Federale Tedesca nel campo alla lotta contro il terrorismo che il servizio segreto libico non accetta».

Questo è il tassello mancante per comprendere le criptiche annotazioni presenti sul verbale segreto del Ciis del 5 agosto 1980 e soprattutto utili per decrittare il messaggio in codice lanciato da Rognoni al presidente Cossiga. Ma il pezzo forte è ancora tutto nella relazione della fonte IM. È chiaro che anche a Tripoli agiscono due cordate contrapposte, due correnti che determinano altrettante frizioni in ambito occidentale. Ci sono i falchi del servizio segreto e le colombe del ministero dell’Interno. Questo crea ripercussioni e divergenze di vedute nei governi e negli omologhi apparati di Roma e Bonn. Leggiamo: «Questo è anche il motivo dei contatti cospirativi con gruppi terroristici e con terroristi come Steve, perché se venisse fuori che ci sono dei rapporti con la Repubblica Federale potrebbero senz’altro crearsi delle complicazioni. Sempre tramite il suo contatto presso il servizio segreto libico, Steve è venuto a sapere inoltre che Bel Gassem, il ministro degli Interni libico, ha figurato come intermediario nella presa di contatto del BKA della RFT con l’Olp e specialmente con il reparto di sicurezza di al-Fatah, diretto da Abu Hol [e Abu Ayad, che avrà un ruolo centrale nell’avvio delle manovre depistanti sulla strage di Bologna, nda]. Pertanto, sia nelle cerchie del servizio segreto libico che in ambito arabo, si nutre il sospetto che Bel Gassem stia cooperando con le autorità di pubblica sicurezza della Repubblica Federale Tedesca». Questo spiega il colloquio tra il ministro dell’Interno Baum e Bel Gassem e il consiglio di Baum a Rognoni di aprire un canale di comunicazione con il ministro libico per penetrare nel segreto dell’attentato a Bologna.

«Dal rapporto dell’agente – aggiunge Matschke – si evince che Steve fu impiegato da Omar una volta anche come corriere quando si trattava di diffondere delle informazioni agli organi di stampa occidentali […] Per il servizio segreto libico lavoravano, oltre a Steve, anche Carlos e Lilly [Magdalena Kopp]. Nel resoconto si legge addirittura che essi una volta sono stati portati a Tripoli nel jet privato del capo rivoluzionario». Gheddafi, infatti, in quel periodo era spinto dall’ambizione di diventare “il padre della rivoluzione mondiale” e ciò spiega perché finì per finanziare più di trenta gruppi terroristici con i suoi petrodollari, «in prima linea i palestinesi radicali dell’Fplp (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) e dell’Fplp-CG (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – comando Generale)».

Sempre dal rapporto della fonte IM: «In cambio della compiacenza e del sostegno da parte dei libici, però, Steve voleva e doveva fare qualcosa di concreto, e quindi incaricò i suoi amici delle Cellule rivoluzionarie Thomas Kram e Uwe Krombach, durante alcuni incontri a Budapest e Berlino Est, di procurargli informazioni su eventuali cittadini libici esiliati, soprattutto nella zona di Colonia e Bonn, al fine di mandare loro, come prima agli oppositori politici rifugiatisi in Romania, delle lettere esplosive». Sarà un caso, ma proprio a Bonn, il 10 maggio del 1980, Omran el-Mehdawi, 43 anni, ex consigliere economico dell’ambasciata libica, viene assassinato da un uomo armato.

Questo passaggio della relazione della fonte IM citata nel libro di Matschke, basata sulle confidenze di Weinrich e centrato in particolare sul ruolo di Steve e Kram nelle attività messe in atto dal servizio segreto libico finalizzate all’eliminazione degli oppositori libici, è centrale per capire il significato delle parole del direttore del Sismi, generale Giuseppe Santovito, durante la riunione del Ciis quando introduce proprio questo tema come ipotesi investigativa da sviluppare per dipanare la matassa dell’attentato del 2 agosto. Si tratta di tessere di un mosaico molto complesso che soltanto oggi è possibile vedere nella sua reale estensione. E per comprendere meglio il significato di quelle considerazioni è importante tornare al saggio di Matschke, nel punto in cui spiega come avvenne il riavvicinamento tra Carlos e il regime libico: «Riattivando i suoi vecchi contatti con alcuni membri del servizio segreto libico, Carlos può essere sicuro di non dover tornare a casa a mani vuote. Personalmente intraprende un viaggio a Tripoli, sebbene durante l’assalto alla sede dell’Opec nel dicembre del 1975 sia stato ucciso proprio il ministro del petrolio libico. Già dai primi colloqui risulta che la sua valutazione della situazione non era sbagliata. Gli si promette “ampio aiuto materiale”, e queste rassicurazioni non rimarranno, come invece spesso succede con gli arabi, soltanto “parole vuote”. In seguito alle trattative di Tripoli, viene mandata immediatamente una prima spedizione di 50 mitragliette della marca italiana Beretta ad Aden, all’indirizzo dell’alloggio di allora di Carlos e Steve. Questo “dono di armi” della Libia, però, resterà un segreto soltanto fino a quando le mitragliette non saranno usate, dal momento che il certificato di consegna attesta la Libia come Paese acquirente, dal quale le Beretta non possono più uscire in maniera regolare. Perciò, al fine di aggirare le norme internazionali per il traffico delle armi, si decide di cancellare i numeri di serie incisi sulle mitragliette con un disco abrasivo. Ma si lavora in modo talmente poco accurato che alcuni numeri sono ancora decifrabili, per cui rimane anche dimostrabile la provenienza delle armi dalla Libia». In questo modo, anche se avesse voluto, «Gheddafi non riuscirà più a liberarsi dalla sua fama di padrino del terrorismo internazionale».

«Dopo l’avvio dei contatti con il servizio segreto libico per opera di Carlos nel 1979 – sottolinea Matschke – è Steve a occuparsi come rappresentante ufficiale di tutto il resto. Inizialmente, il suo interlocutore presso il servizio segreto libico è Abu Shreda Salem, detto Omar, attraverso il quale viene organizzato il sostegno finanziario e materiale del gruppo. Anche agli incontri a cui partecipa Steve si parla di armi. Nello stesso tempo, vengono messi a disposizione del gruppo nascondigli e posti dove è possibile allenarsi, e gli viene consegnato del denaro in contanti. In contraccambio, gli si chiede di partecipare alla caccia agli oppositori del regime residenti nella Repubblica Federale Tedesca e nei Paesi europei confinanti». Italia compresa.

Gabriele Paradisi – Gian Paolo Pelizzaro – François de Quengo de Tonquédec

 

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