Mitrokhin, “palestra” per manipolatori occulti. Il caso Nicola BiondoLa Commissione parlamentare d’inchiesta sul dossier Mitrokhin ha fatto da palestra ad alcuni manipolatori più o meno occulti. Come abbiamo più volte scritto, il caso più eclatante di manipolazioni multiple riguarda il “Documento conclusivo” di minoranza, presentato il 23 marzo 2006 dai commissari di centrosinistra. A quella relazione lavorò un agguerrito pool di consulenti, composto da magistrati, storici, ricercatori, giornalisti e aspiranti tali, fra cui tale Nicola Biondo. Durante i lavori della Commissione, Biondo ha vissuto in una sorta di totale anonimato. Raramente è uscito allo scoperto, mai è stato delegato a svolgere attività istruttorie come ricerche d’archivio, in Italia o all’estero, rare le sue comparsate durante le audizioni, sporadiche le sue presenze a Palazzo San Macuto per lo svolgimento di quelle attività di studio e lettura degli atti. Questa sorta di apatia, però, ha subito uno scossone nel luglio del 2005 quando Gian Paolo Pelizzaro, dopo 25 anni di totale segreto, ha trovato negli atti della Questura di Bologna il nome di Thomas Kram, ossia del terrorista tedesco presente in città il giorno della strage.

Da quel momento, Biondo ha ritrovato il fuoco sacro del lavoro di ricercatore, vestendo immediatamente i panni di un inflessibile e zelante investigatore. Ha iniziato ad estrarre copia degli atti depositati in Commissione, ha fatto le ore piccole a leggere, studiare e congetturare. Si è documentato, a modo suo, facendo una sorta di corso accelerato sulla storia del superterrorista Carlos e della sua organizzazione “Separat”, scaricando da internet intere rassegne stampa e quant’altro. Da un giorno all’altro, si è trasformato in un “grande esperto” di terrorismo internazionale e in particolare di quello di matrice arabo-palestinese (per il quale ha tradito una “passione” molto speciale), capace di dispensare – a destra e a manca – patenti e certificati di attendibilità di questo o quel documento, su questa o quella ricostruzione dei fatti.

Il personaggio, dall’alto della sua profonda conoscenza e suprema competenza, ha iniziato ad esprimere giudizi e a sparare sentenze su questo o quell’argomento: l’importante è che si parlasse di Carlos e del suo ipotetico ruolo (come capo di “Separat”) nell’organizzazione della strage alla stazione di Bologna. Obiettivo: demolire, anche con informazioni e notizie fasulle, ogni ipotesi di collegamento tra il gruppo del terrorista venezuelano, il terrorismo di matrice arabo-palestinese e l’attentato del 2 agosto 1980. Lentamente, ma inesorabilmente Biondo, da anonimo e svogliato collaboratore della Mitrokhin, si è tramutato in un infaticabile censore e castigatore. Uno dei più severi e spietati. Meglio tardi che mai, si potrebbe obiettare.

Il suo nome è venuto fuori prepotentemente un anno dopo la scoperta del nome e del ruolo di Kram a Bologna e quattro mesi dopo la formale chiusura dei lavori della Commissione Mitrokhin, in due articoli-fotocopia pubblicati il 28 luglio del 2006 dai quotidiani di sinistra Liberazione e l’Unità, basati su un medesimo elaborato, proprio a firma Biondo. Gli articoli erano titolati “2 agosto strage di Bologna: smentita la pista araba” (Saverio Ferrari, Liberazione”) e “Quanti depistaggi per coprire la strage fascista” (Vincenzo Vasile, l’Unità) e cercavano, partendo proprio dalle avventurose “ricostruzioni” di Biondo, di dimostrare l’esistenza di un fantomatico piano da parte di alcuni esponenti di An per depistare (non si sa cosa, visto che su Bologna dal 1995 c’è il giudicato della Cassazione), dalla matrice fascista della strage. In uno degli articoli si leggevano frasi di questo tenore: «Smascherato l’ultimo depistaggio di Alleanza nazionale costruito con documenti mai esistiti». Non solo temerari, ma pericolosamente superficiali.

Ebbene, grazie a Biondo e alle sue teorie, i direttori responsabili dei due quotidiani, così come gli estensori degli articoli, sono stati tutti querelati e rinviati a giudizio per diffamazione aggravata dal mezzo stampa. C’è un processo in corso davanti al Tribunale Penale di Roma e la prossima udienza dibattimentale è fissata al 7 novembre 2011 (per un approfondimento sulla vicenda, si veda anche l’articolo “Un omicidio senza colpevoli”, LiberoReporter, febbraio 2011).

Anche con un certo coraggio (vista la palese violazione delle norme e delle regole sulla tenuta del segreto e sulla riservatezza alle quali si devono attenere coloro che hanno fatto parte delle commissioni d’inchiesta), Biondo è citato come teste da parte degli imputati. Vedremo cosa dirà, sotto giuramento, il nostro castigatore.

Intanto, abbiamo scoperto un altro prezioso riscontro al metodo scientifico impiegato da Biondo per svolgere il suo lavoro di ricercatore attento e scrupoloso.

Abbiamo così preso in esame l’edizione italiana del libro di Emmanuel Amara, “Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall’ombra” (Cooper, febbraio 2008, pp. 205), con introduzione di Giovanni Pellegrino, traduzione di Alice Volpi e curato proprio da Nicola Biondo.

Per apprezzare la qualità e la raffinatezza dei suoi interventi, è però necessario procurarsi l’edizione originale francese del libro di Amara, “Nous avons tué Aldo Moro” (Patrick Robin Éditions, novembre 2006, pp. 175).

Mettendo a confronto i due testi si rileva una serie impressionante di modifiche che spesso cambiano il senso del discorso. Interventi, questi, che non possono certo essere imputati alla traduzione.

Volendo farne una dettagliata classificazione, possiamo riconoscere:

1.   L’aggiunta di 46 note a pie’ di pagina, intervento in apparenza migliorativo, ma non segnalato come tale (nel testo originale francese non vi è infatti alcuna nota).

2.   L’eliminazione di brani (significativa ci sembra la soppressione delle cinque pagine di testo con le dichiarazioni di Giulio Andreotti sul caso Gladio dell’ottobre 1990).

3.   Traduzioni modificate mediante aggiunte o sottrazioni di parole o manipolazioni di testo.

4.   Trasformazioni di parti di testo virgolettate (ossia citazioni degli intervistati) in brani apparentemente attribuiti all’autore (ossia Amara).

Va dato atto che Biondo, a pagina 14, ha avuto l’accortezza di preavvisare i lettori con una dichiarazione pedagogico-programmatica:

«La versione originale di questo volume ha subito alcune modifiche nell’edizione italiana. Ciò è dipeso dalla necessità di rendere il testo quanto più comprensibile a coloro che non hanno vissuto direttamente quella storia e a chi l’ha dimenticata. Altre modifiche si sono rese necessarie a causa dell’emergere di documenti e testimonianze successive alla pubblicazione dell’opera in Francia».

Il lettore dell’edizione italiana non è tuttavia in grado di identificare nessuna delle modifiche apportate dal curatore. Volendo anche seguire il ragionamento di Biondo (excusatio non petita?), non si capisce nemmeno quali siano i nuovi documenti emersi tra la pubblicazione in Francia del lavoro di Amara (novembre 2006) e la pubblicazione in Italia dell’edizione curata da Biondo (febbraio 2008).

Ad ogni modo, veniamo al dunque per fare apprezzare alcuni eclatanti e macroscopici esempi di “chirurgia giornalistica”, veri e propri “trapianti multipli” eseguiti da quel ligio e solerte “gendarme della memoria” di Nicola Biondo.

Cerchiamo ad esempio di verificare cosa c’era nel testo originale francese di così poco fruibile per il pubblico italiano.

Presto detto: c’erano alcuni “organi” decisamente corrotti e impresentabili che andavano assolutamente e tempestivamente rimossi e sostituiti con organi “sani”. Qui di seguito alcuni esempi.

Testo originale edizione francese

Testo manipolato edizione italiana

[p. 15]

L’OLP de Yasser Arafat fournit des armes de tous calibres aux Brigades rouges et le magistrat [Ferdinando Imposimato] y voit également une connexion entre le KGB et les brigadistes.”

[traduzione]

“L’OLP di Yasser Arafat fornisce armi di tutti i calibri alle Brigate rosse e il magistrato [Ferdinando Imposimato] vede anche una connessione tra il KGB e i brigatisti.”

[p. 31]

Una fazione dell’Olp di Yasser Arafat riforniva le Brigate rosse di armi di ogni calibro e il magistrato [Ferdinando Imposimato] si chiede se attraverso questi rapporti accertati le Br siano entrate in contatto con i servizi segreti di altri Paesi.”

Subdolo intervento di sublime maestria. L’Olp di Yasser Arafat, icona della sinistra fin dagli anni Sessanta, non poteva certo essere citata e messa sul banco degli imputati come responsabile dei traffici di armi con le Brigate rosse. Quindi era meglio coinvolgere qualche imprecisata fazione palestinese, magari eretica ma pur sempre in termini generici, senza calcare la mano su Arafat.

Poi, la certezza di un magistrato [“che vede connessioni”] si trasforma in una semplice domanda [“si chiede se esistano connessioni”].

Ma il finale indubbiamente ha qualcosa di straordinario, di funambolico. Il famigerato Kgb, che però dobbiamo ricordare è stato pur sempre il potente servizio segreto della Grande Madre Sovietica “sol dell’avvenire”, è eliminato dal testo e soppiantato da più rassicuranti e imprecisati “servizi di altri Paesi” (quali poi? non è dato saperlo), con la speranza che nella testa di un lettore qualsiasi possa spuntare anche l’idea della Cia, perché no. Ora viene da domandarsi se l’autore del libro, Amara, sia stato consultato e se abbia concordato con Biondo queste manipolazioni che, da un punto di vista tecnico, alterano in profondità il significato originale.

Biondo nello stesso libro si è adoperato anche in difesa di un’altra “sacra icona” della sinistra, ovvero il mitico Sessantotto. In questo caso il trapianto ha comportato anche un leggero spostamento temporale.

Testo originale edizione francese

Testo manipolato edizione italiana

[p. 29]

“Depuis la fin des années 60, L’Italie est plongée dans le chaos”.

[traduzione]

Sin dalla fine degli anni Sessanta, l’Italia è immersa nel caos”.

[p. 50]

Dalla metà degli anni Settanta l’Italia è piombata nel caos”.

Tutto questo non può essere derubricato come un banale caso di (scorretta o errata) esegesi. È qualcos’altro. Nasconde dell’altro. Ha altre e più inquietanti implicazioni. Il mettere mano ai testi, ai documenti, manipolare il contenuto, alterare il loro significato è un’attività non casuale, non banale, non innocente. È un’attività che ha delle finalità. Tutto questo nasconde una volontà e un movente. Tutto questo deve avere un perché. Ciò che stupisce e inquieta è l’assoluta mancanza di rispetto del dato reale. In Italia, c’è un piccolo esercito di “gendarmi della memoria” che lavora per imbrogliare, occultare e manipolare i fatti. C’è ancora chi, a distanza di 22 anni dalla caduta del Muro di Berlino e dal crollo dei regimi dell’Est, teme la verità come fosse un morbo mortale per la coscienza collettiva. Per questi signori, cresciuti nelle menzogne della propaganda ideologica, la verità deve essere funzionale al dato politico. Altrimenti va estirpata come una pianta malata.

Pillole di saggezza

«La cultura, la lingua, la forma mentis del falsario finiscono sempre per fare capolino, anche nelle più sagaci fabbricazioni».
(Luciano Canfora, “Il viaggio di Artemidoro”, Rizzoli, Milano 2010, pp. 313).