“Omicidio di Stato”. Il piccolo, ma coraggioso Armando Curcio Editore ha voluto intitolare così il documentatissimo saggio scritto da Nicola De Palo sulla tragica e incredibile vicenda di sua cugina Graziella e del collega Italo Toni, i due italiani “desaparecidos” dal 2 settembre 1980 a Beirut. Se non il padre, sono almeno il padrino di quest’opera, fortemente e tenacemente voluta da un cugino di secondo grado che né Graziella né io conoscevamo personalmente, essendosi suo padre trapiantato con successo in Liguria dalla nativa Gravina di Puglia, molti decenni fa.
Dopo l’abbandono del nostro primo avvocato, l’onorevole liberale Alfredo Biondi, che quella vicenda se l’era tutta giocata con Giulio Andreotti a ridosso dell’uscita delle liste della Loggia massonica P2, mio padre si era rivolto a un altro penalista di grido, scomparso da molti anni, Franco Cuttica, diventato famoso dopo la fuga del suo cliente Herbert Kappler dall’Ospedale militare del Celio.
Non mi sembra ancora vero il fatto di avere tra le mani questo agile libro, che appunto ho visto nascere come voluminoso studio scientifico, per trasformarlo, a partire dalla mia nuova scansione dei capitoli fino alla completa riscrittura del grande editor Fabrizio Biferali, in un thriller mozzafiato che si divora in tre o quattro ore…
Ed eccoci ai ritratti di Graziella e Italo, abbozzati da Nicola nel secondo dei 19 capitoli. Siamo così a Graziella che indaga sui traffici illeciti riconducibili appunto al tanto discusso e abile colonnello Giovannone: «Lawrence d’Arabia nella Beirut palestinese, nome in codice “Maestro”, si era distinto per la sua approfondita conoscenza dello scacchiere mediorientale […] spendendo mezzo secolo della sua vita vestendo – e svestendo – gli abiti militari, in particolare dal 1965 al 1981», data nella quale fu appunto sospeso dal servizio, essendo stato da me pubblicamente “bruciato”. Giovannone era un elemento essenziale di quel determinato sistema di potere occulto contro il quale si batteva Graziella, sulla base soprattutto delle informazioni fornitele dall’ammiraglio Falco Accame, deputato socialista, già presidente della Commissione Difesa della Camera, declassato da Craxi a vicepresidente della stessa.
È dopo la drammatica visita all’ambasciata italiana di Beirut del primo Settembre 1980 e il conseguente rapimento della mattina successiva che “Omicidio di Stato” si trasforma in un intrigo internazionale. Ecco che infatti ora che Graziella non può più indagare su di lui, ad indagare appunto sulla sua scomparsa, e all’evidente scopo disinformativo per nascondere per sempre la Verità, c’è udite udite, il colonnello Stefano Giovannone, già collega del padre di Graziella, Vincenzo, al corso allievi ufficiali nel quale entrambi, e tanto diversamente, si formarono!
E così mentre la Farnesina ci intima di non partire, per lasciare a Giovannone il tempo di occultare la Verità sostituendola con una di comodo, ecco i De Palo «da Sandro Pertini per dipanare una tragedia greca». Perché quale storia più tragica di questa, che vede il primo degli imputati trasformato in plenipotenziario “cittadino al di sopra di ogni sospetto” che, tassello dopo tassello, si sforza di far sparire ogni traccia di due giornalisti barbaramente trucidati nel settore siro-palestinese di Beirut, per farli misteriosamente ricomparire, come due fantasmi, nell’Hotel Montemar di Junieh, settore cristiano della capitale libanese (Est), covo di spie israeliane.
Si svolgeva in quei giorni all’Hotel Meridien di Damasco, alla presenza di Yasser Arafat, il Consiglio nazionale palestinese. Per mia madre e per me saperlo e imbucarci lì furono una cosa sola, che il nostro Ministero degli Esteri, ben consapevole delle conseguenze di un nostro viaggio in loco avrebbe avuto, cercò fino all’ultimo di impedirci.
Era la notte della Risurrezione di Gesù, quando Arafat finalmente ci ricevette, da noi che lo speravamo politicamente convinto che dire la verità era l’unica carta rimasta nelle sue mani da spendere politicamente. Ma Arafat, falsamente commosso e in realtà intriso anche lui – come il mostro Abu Ayad, capo dei suoi servizi segreti che avevamo già e avremmo in futuro incontrato a lungo – di crimine e di menzogna, non esitò un attimo a “tranquillizzare” la mia povera mamma, con un’altra risurrezione, tanto falsa quanto Vera è quella di Cristo: «Graziella è prigioniera dei falangisti».
A Beirut un solo italiano aveva saputo quasi immediatamente la verità, trasmettendola al MAE, e pagandola di persona con il trasferimento forzato dalla capitale libanese in preda alla guerra civile alla tranquilla e al paragone quasi asettica Copenhagen: l’ambasciatore Stefano D’Andrea, dai tempi del caso Moro in rotta di collisione con l’altro Stefano, sotto il cui italico tetto conviveva: Giovannone. E Beirut, dopo Damasco, era appunto la destinazione obbligata di mia madre e mia.
Ma a riceverci non trovammo appunto il distinto D’Andrea, bensì un ambasciatore da operetta, immortalato da Oriana Fallaci nel suo “Inshallah”: Francesco Lucioli Ottieri, il quale esordì con una risata – «Ci ha fatto molto ridere quel che vi ha detto Arafat» – che si trasformò poi in una smorfia di preoccupazione e imbarazzo non appena gli spiegammo che le parole di Arafat erano le stesse pronunciate solo un mese prima dal presidente del Consiglio italiano, Arnaldo Forlani.
Due indagini su Graziella e Italo, e due verità contrapposte: il competente Ministero degli Esteri è in possesso dal 28 ottobre 1980 perfino dei nomi del commando di terroristi palestinesi che li rapì. Ma questa è una verità scomoda, che deve restare segreta e che il segretario generale Malfatti, chiamato come amico dall’ex compagno di partito socialista Sandro Pertini, si guarda bene dal comunicargli, incaricando invece prima, e accreditando poi, un’altra inchiesta a quei servizi segreti che controlla d’ufficio, nella sua qualità di membro di diritto del CESIS (l’allora Comitato esecutivo Servizi informazione e sicurezza). La famosa quanto falsa pista falangista nasce così, sul tavolo di una scrivania ministeriale a Roma.
“Omicidio di Stato” è tutto questo e molto altro ancora. È un libro che colma finalmente un vuoto. È un viaggio negli orrori della Prima Repubblica, dove lo Stato di diritto era un luogo inaccessibile, un club esclusivo, frequentato da pochi intimi privilegiati. Per tutti gli altri, poteva andare bene anche l’inferno.
Giancarlo De Palo
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“Omicidio di Stato”, di Nico De Palo
Prefazione di Gian Paolo Pelizzaro
pp. 224 – 18 euro