Nella discussione che si è sviluppata sul blog Fascinazione di Ugo Maria Tassinari:

http://www.fascinazione.info/2012/04/strage-di-bologna-raisi-tira-in-ballo.html

http://www.fascinazione.info/2012/04/strage-di-bologna-il-br-padula-smonta.html

http://www.fascinazione.info/2012/04/strage-di-bologna-raisi-replica-padula.html

http://www.fascinazione.info/2012/04/strage-di-bologna-la-ricerca-della.html

sul presunto coinvolgimento del giovane di Autonomia operaia morto nella strage alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980, che ha visto protagonisti l’onorevole Enzo Raisi e l’ex brigatista Sandro Padula, quest’ultimo ha citato più volte in modo selettivo il libro Dossier strage di Bologna. La pista segreta di Gabriele Paradisi, Gian Paolo Pelizzaro e François de Quengo de Tonquédec (Giraldi Editore 2010). Per correggere errori e imprecisioni che si riscontrano nello scritto di Padula, riteniamo utile proporre questa replica.

Aggiungiamo che non intendiamo occuparci della questione sollevata da Raisi, in quanto non abbiamo nessun elemento a riguardo e teniamo a precisare che detta questione non è mai stata citata nel nostro libro che ha preso in esame la cosiddetta “pista palestinese” solo ed esclusivamente da un punto di vista storiografico e rigorosamente attraverso lo studio e l’analisi di documenti.

Ecco le risposte a Padula, che abbiamo articolato estrapolando otto argomenti tratti dal suo intervento. Un altro argomento, ovvero le considerazioni sull’esplosivo eventualmente utilizzato per la strage alla stazione di Bologna, rimandiamo ad un articolo che sarà pubblicato sul settimanale LiberoReporter Week il 27 aprile 2012.

Sandro Padula scrive: «Le Br, organizzazione in cui ho militato nella seconda metà degli anni ’70 e fino al momento del mio arresto avvenuto nel novembre 1982, non hanno mai intrattenuto rapporti politici o d’altra natura con il cosiddetto gruppo di Carlos e neppure con il Fplp».

Padula rivendica la “purezza” della sua militanza brigatista. I documenti degli archivi dell’Europa orientale, divenuti progressivamente disponibili dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, raccontano una storia assai più “impura”.

Consigliamo la lettura del libro di Antonio Selvatici, Chi spiava i terroristi. KGB, STASI – BR, RAF. I documenti negli archivi dei servizi segreti dell’Europa “comunista”, Pendragon 2010, e in particolare dei capitoli secondo e terzo della nuova edizione ampliata, intitolati rispettivamente “Brigate rosse, Stasi, KGB e Berlino Est”, pp. 21-39 e “Carlos e i legami con le Brigate rosse. Ilich Ramírez Sánchez: un rifugio anche in Emilia?”, pp. 41-60.

Altre informazioni si trovano naturalmente anche nella Relazione sul gruppo Separat e il contesto dell’attentato del 2 agosto 1980 di Lorenzo Matassa e Gian Paolo Pelizzaro (febbraio 2006). Si vedano i riferimenti a Giorgio Bellini, elemento di raccordo con le Brigate Rosse e il gruppo Carlos (pp. 92, nota 205, 94 e 168), ad Alessandro Girardi e ad Antonio Savasta (p. 100). E sul versante del vertice dell’organizzazione di Carlos, a Johannes Weinrich, numero due di Separat, ossia Ori (p. 124); a Carlos stesso (p. 166), ad Ali al-Issawi, alias Abul Hakam e ad Abu Daud, braccio destro di Abu Ayad, numero due di al-Fatah (p. 167).

Significativa anche la testimonianza di Bassam Abu Sharif – che fu responsabile del settore stampa e pubbliche relazioni, nonché ufficiale reclutatore del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e che nel 1970 arruolò lo stesso Carlos nell’Fplp: «Con l’evolversi della situazione il gruppo Baader-Meinhof, come divenne presto noto, non risultò poi di grande aiuto per l’Fplp, sebbene alcuni dei suoi membri abbiano partecipato alle operazioni. Altre organizzazioni ci diedero invece un grosso contributo: le Brigate Rosse in Italia, l’Armata Rossa giapponese, l’Eta spagnola, Action Directe in Francia, erano tutte legate l’una all’altra e all’Fplp» (Bassam Abu Sharif e Uzi Mahanaimi, Il mio miglior nemico. Israele-Palestina. Dal terrore alla pace, Sellerio 1995; trad. it. dell’opera Tried by Fire. The Searing True Story of Two Men at the Heart of the Struggle between the Arabs and the Jews, Little, Brown 1995).

 

 

Padula: «Una presenza stabile in Francia di un nucleo del gruppo Carlos, per altro già ristretto ad un numero molto limitato di componenti, non ha mai trovato conferma nelle lunghe indagini condotte dalla polizia francese. Forse Raisi, sbagliando comunque le date, voleva fare riferimento al periodo di detenzione nel carcere di Fresnes di due esponenti del gruppo Carlos: Bruno Breguet e Magdalena Kopp, detenuti dal febbraio 1982 al maggio e settembre 1985».

 

È vero che Carlos, dopo l’uccisione di due funzionari di polizia e il ferimento di un terzo – oltre all’uccisione di Michel Moukarbal, responsabile della rete militare clandestina per l’Europa del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) che aveva condotto nell’appartamento dove si trovava Carlos gli agenti dell’antiterrorismo (Dst) – avvenuta a Parigi il 27 giugno 1975, evitò con ogni probabilità di stazionare personalmente sul suolo francese. Ma come lo stesso Padula ricorda, Bruno Breguet e la moglie di Carlos Magdalena Kopp (alias Lilly), furono arrestati con dell’esplosivo a Parigi nel febbraio 1982. Per la loro liberazione Carlos organizzò, tra marzo 1982 e dicembre 1983, una serie di attentati a treni, stazioni e alla sede del giornale anti siriano e filo irakeno Al-Watan al-Arabi, che causarono complessivamente 11 morti. Per queste stragi Carlos è stato condannato in primo grado, il 15 dicembre 2011, all’ergastolo. Stessa sorte è capitata al suo luogotenente Johannes Weinrich (alias Steve) e al palestinese Ali Kamal al-Issawi (alias Abul Hakam), mentre Christa-Margot Fröhlich (alias Heidi e già moglie di Sandro Padula) che era imputata solo per l’attentato alla sede del giornale, è stata assolta. Pare altamente improbabile che per l’organizzazione di questi attentati il gruppo Carlos non potesse contare su basi logistiche e appoggi concreti in territorio francese, anche solo per il deposito e la gestione di armi ed esplosivi.

 

 

Padula: «A tale proposito va ricordato che l’OLP, di cui faceva parte integrante il pur critico e marxista Fplp, considerava un piccolo passo positivo la dichiarazione del Consiglio europeo di Venezia del 13 giugno 1980, contestata solo dagli Usa e dal governo israeliano, a favore dell’autodeterminazione del popolo palestinese. Non vi era dunque alcuna ragione di colpire obiettivi italiani da parte di chi aderiva all’OLP».

 

In questa affermazione di Padula ci sono ben due falsità. L’uscita dell’Fplp dall’Olp e da al-Fatah, risale al 1974. Da allora il gruppo di George Habbash e Wadi Haddad perseguì una politica di attentati che riguardò anche Paesi non direttamente coinvolti nel conflitto arabo israeliano. In sostanza mantenne l’approccio che già nel 1970 Habbash aveva rivelato al settimanale tedesco Der Stern: «When we hijack a plane it has more effect than if we killed a hundred israelis in battle… For decades, world public opinion has been neither for nor against the Palestinians. It simply ignored us. At least the world is talking about us now». Per quanto riguarda la posizione dell’Fplp riguardo la dichiarazione del Consiglio europeo di Venezia (12-13 giugno 1980), facciamo rispondere al quotidiano l’Unità del 15 giugno 1980: «Commentando la dichiarazione del vertice della CEE sul Medio Oriente, il capo dell’Ufficio politico dell’OLP, Faruk Kaddumi, ha affermato che il documento contiene diversi aspetti positivi, ma che trascura altri elementi fondamentali. “È comunque una dichiarazione che merita attenta considerazione”, ha affermato il leader palestinese preannunciando che il direttivo dell’OLP esaminerà attentamente il documento di Venezia. Dal canto suo, un portavoce dell’ufficio dell’OLP a Roma, ha dichiarato che il documento europeo contiene diversi punti positivi, tra cui il riconoscimento del popolo palestinese, del suo diritto all’autodeterminazione, e del ruolo essenziale svolto dall’OLP. Il Fronte di liberazione della Palestina (FPLP) diretto da George Habbash ha invece respinto la dichiarazione europea affermando che soltanto con la lotta armata i palestinesi potranno ristabilire i propri diritti. Secondo il Fronte democratico popolare (FDLP) la dichiarazione dei vertice CEE rappresenta un piccolo passo avanti verso i diritti dei palestinesi».

 

 

Padula: «A quanto risulta, tre autonomi del collettivo del Policlinico (Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner e Luciano Nieri) furono arrestati nel novembre 1979 e poi condannati per il trasporto di due lanciamissili (non i missili) che appartenevano esclusivamente all’Fplp, erano smontati e dovevano essere spediti in Medioriente. […] Infine, a differenza di quanto sostiene Raisi, quei tre autonomi non “furono arrestati con Abu Saleh ad Ortona”. Abu Anzeh Saleh fu “fermato a Bologna una settimana dopo l’arresto degli autonomi” (pagina 25 del “Dossier strage di Bologna” scritto dagli amici di Raisi). La vicenda è sufficientemente nota e chiara come quella connessa allo strumentale tentativo del generale Dalla Chiesa che, tanto per produrre un nuovo teorema accusatorio corollario del 7 aprile, fece pressioni su Saleh affinché dichiarasse che quei lanciamissili servivano ad Autonomia in Italia».

 

Qui occorre precisare bene la dinamica della vicenda di Ortona, perché Padula tende a dissociare l’arresto degli autonomi romani da quello di Abu Anzeh Saleh, quasi fossero due eventi privi di connessioni tra di loro. Pertanto la vicenda non “è sufficientemente nota e chiara”, come la racconta Padula. Abu Anzeh Saleh era il rappresentante in Italia del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) di George Habbash e, al tempo stesso, era il contatto del gruppo Carlos a Bologna. Abu Anzeh Saleh agiva sotto la copertura del servizio segreto militare italiano (Sismi). Tra i suoi appunti fu ritrovata anche l’annotazione del numero di telefono privato di Stefano Giovannone, colonnello del Sismi a Beirut dal 1972, garante del “lodo Moro” tra governo italiano e palestinesi. Da notare anche che l’agenda del 1977 di Saleh conteneva l’indicazione del numero telefonico di Roma di Baumgartner accanto al nome “Giorgio” e che il numero di telefono di Saleh è stato ritrovato tra gli appunti dell’autonomo Luciano Nieri (Relazione sul gruppo Separat, sopra citata, pp. 70 e 98).

 

Dinamica degli arresti per i missili di Ortona

Gli arresti dei tre autonomi romani Daniele Pifano, Giuseppe Luciano Nieri e Giorgio Baumgartner e di Abu Anzeh Saleh avvennero sì in due momenti diversi, ossia nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979 a Ortona e il 13 novembre a Bologna, ma nell’ambito della stessa operazione delle forze dell’ordine ossia del sequestro dei due missili Sam-7 Strela di fabbricazione sovietica con data di produzione risalente al marzo 1978, con testa autocercante ai raggi infrarossi. I missili erano completi di quattro batterie termiche e congegni di lancio elettrici e contenevano nelle camere di lancio un razzo ciascuno.

Pertanto, diversamente da quanto scrive Padula, si trattava di due lanciamissili e di due MISSILI pronti all’uso, come si evince testualmente dal Rapporto dei Carabinieri di Chieti del 22 novembre 1979 (allegato agli atti della Commissione Moro, vol. 90, pp. 12-33). Al 2º foglio (= p. 13 della Commissione Moro) si legge:

«Nel corso della notte sull’8 Novembre 1979, in Ortona […] un equipaggio del Nucleo Radiomobile di quella Compagnia Carabinieri, durante un normale controllo, procedeva al fermo ed all’accompagnamento in Caserma degli occupanti della Fiat targata Roma N 33350 e dell’autofurgone Peugeot targato Roma K 30860.

I suddetti, identificati a seguito di accertamenti, per [Daniele] PIFANO, [Giuseppe Luciano] NIERI [e Giorgio] BAUMGARTNER […] venivano tratti in arresto in quanto, nel corso di una perquisizione sul furgone, veniva rinvenuta una cassa contenente due armi che a prima vista sembravano “Bazooka” ma che da un più approfondito esame, da parte di tecnici, risultavano essere missili SAM-7 “Strela”, a testata autocercante».

 

Saleh la sera del 7 novembre, mentre si stava recando ad Ortona restò in panne e non riuscì a giungere in tempo al porto per recuperare il carico che – contrariamente a quanto sostenuto da Padula e stando agli atti del processo – era in arrivo in Italia e non in partenza.

La vicenda di Ortona è trattata in dettaglio nella Relazione su Separat (sopra citata), nel capitolo 6, “La vicenda dei missili di Ortona” (pp. 67-84).

Circa l’insinuazione su Dalla Chiesa non sappiamo da dove Padula la ricavi.

 

 

Padula: «Inoltre il cosiddetto gruppo di Carlos si chiamava Ori (Organizzazione dei rivoluzionari internazionalisti) e non certo Separat (vedasi “A Bologna a colpire furono Cia e Mossad”, Corriere della sera del 23 novembre 2005)».

 

La precisazione filologica di Padula lascia il tempo che trova, dato che “Separat” non era altro che il nome in codice assegnato al gruppo Carlos, ossia alla sua Ori (Organizzazione dei rivoluzionari internazionalisti), dalla Stasi – i servizi di sicurezza della disciolta Germania Est. In particolare era la sezione XXII/8 che gestiva e sorvegliava l’attività di Carlos e dei suoi associati.

 

 

Padula: «Nel 1983, quasi un anno dopo il mio arresto, conobbi la detenuta Christa Margot Frolich tramite posta controllata dalla censura del carcere. Lei si trovava in cella con una mia coimputata, non parlava affatto bene la lingua italiana, non era mai stata una ballerina, non aveva figli e nel 1980 aveva 38 anni. In altre parole, Christa Margot Frolich non era per niente l’ex ballerina e donna madre tedesca che nell’agosto 1980 fu vista frequentare un albergo di Bologna e che, secondo i testimoni, conosceva alla perfezione la lingua italiana».

 

Secondo Padula, i “testimoni” avrebbero affermato che la donna vista all’hotel Jolly di Bologna il 1º e 2 agosto 1980 “conosceva alla perfezione la lingua italiana”. In realtà nel verbale di spontanee dichiarazioni rilasciate dal cameriere dell’hotel Jolly alla Digos di Bologna il 28 giugno 1982 (una settimana dopo che la fotografia di Christa-Margot Fröhlich era apparsa sui giornali italiani, compreso il quotidiano bolognese il Resto del Carlino) si trova scritto più precisamente: “Ricordo che questa donna parlava in lingua italiana con un forte accento tedesco”.

 

Apprendiamo da Padula: “conobbi la detenuta Christa Margot Frolich tramite posta controllata dalla censura del carcere”. Potrebbe essere interessante conoscere in quale lingua avveniva la corrispondenza Fröhlich-Padula. In italiano o in tedesco?

 

Padula afferma ancora che Christa-Margot Fröhlich: “non parlava affatto bene la lingua italiana”. Padula in definitiva dice che la Fröhlich un po’ di italiano lo conosceva, seppure malamente.

 

Sulla vicenda della presunta presenza della Fröhlich a Bologna, Padula pronuncia un suo verdetto di “assoluzione”. In realtà chi fosse veramente quella donna presente all’hotel Jolly di Bologna, che aveva fatto portare una valigia in stazione il 1º agosto, rimane un enigma irrisolto. Sono infatti due cose diverse le dichiarazioni di quella donna – riferite dal cameriere del Jolly, ossia che era stata una ballerina e che aveva dei figli ­– e il riconoscimento proposto dallo stesso cameriere che dichiarò: «Venivo colpito dalla fotografia di questa donna in quanto notavo una certa somiglianza tra questa fotografia [pubblicata sul Resto del Carlino il 22 giugno 1982] e una donna che due anni fa circa era stata a mangiare all’Hotel Yolly».

Quella donna poteva essere davvero Christa-Margot Fröhlich, anche in presenza di dichiarazioni non rispondenti a verità sulla sua biografia e il suo “stato civile”. Il mancato confronto all’americana e le carenze investigative dell’epoca, tra cui la mancata identificazione di una donna che parlava con forte accento tedesco, aveva fatto la ballerina e aveva dei figli – che avrebbe potuto smentire la testimonianza del cameriere – nonché il mancato reperimento del registro dello stesso hotel Jolly, impediscono ancora affermazioni apodittiche su questa vicenda.

È possibile, tuttavia, che l’impulso dato alle nuove indagini nella “inchiesta-bis” sulla strage del 1980, in particolare dal 2009, abbia portato al reperimento di nuovi documenti e testimonianze e alla risoluzione dell’enigma.

Rimandiamo alle pp. 117-120 del libro Dossier strage di Bologna, dove questa vicenda è ricostruita in modo più dettagliato (e riteniamo equilibrato in base a ciò che si conosceva fino all’estate del 2010) (http://segretidistato.liberoreporter.it/index.php/home/primo-piano/primo-piano/schede-generali/172-schede/187-stralcio-dal-dossier-strage-di-bologna-la-pista-segreta-giraldi-editore-2010-pp-117-120-di-g-paradisi-gp-pelizzaro-f-de-quengo-de-tonquedec.html STRALCIO DA “DOSSIER STRAGE DI BOLOGNA”).

 

 

Padula: «Lo stesso discorso vale per Kram. A parte le sue idee politiche antitetiche allo stragismo, un tipo come lui – secondo i documenti anagrafici ben conosciuti da teorici della “pista palestinese” come gli autori di “Dossier strage di Bologna” – non sarebbe certo passato inosservato nella stazione di Bologna del 2 agosto 1980 se avesse lasciato la valigia della strage nella sala d’attesa della seconda classe in cui scoppiò. […] I giovani, per essere tali, debbono almeno avere un’età sotto i 30 anni. Per poi considerarli “come tanti altri” dovrebbero avere un’altezza media di circa 1 metro e 65 per le ragazze e di circa 1 metro e 75 per i ragazzi. Tutto ciò significa, a rigor di logica, che Thomas Kram – alto quasi due metri e allora trentaduenne – non era certo uno dei “giovani”».

 

Al di là che troviamo discutibile l’opinione di non considerare più “giovane” un trentaduenne, Padula indossa qui i panni di un “novello Procuste” e per i suoi scopi allunga Kram fino a farlo misurare quasi due metri in altezza. Si dà il caso che Kram fosse alto solo un metro e 80 cm, più prossimo dunque al metro e 75 cm che per Padula è l’altezza ideale per un giovane uomo. Il “quasi” di Padula vale circa 20 centimetri… un po’ troppo ci sembra. L’altezza esatta di Thomas Kram – ripetiamo 1 metro e 80 cm – è riportata naturalmente nei suoi documenti ed in particolare nel suo passaporto, che è possibile consultare al BStU (Bundesbeauftragte für die Stasi-Unterlagen) di Berlino (MfS – HA XXII – 338/2), l’istituto federale che custodisce il patrimonio archivistico della Stasi.

 

 

Padula: «Lo stesso discorso vale per Kram».

 

Bisogna vedere quale discorso.

A prescindere da dove esattamente si trovasse Kram la mattina del 2 agosto 1980, al momento della strage, si possono fare alcune considerazioni sulle uniche dichiarazioni attualmente note rilasciate dallo stesso Kram nell’intervista pubblicata sul manifesto il 1º agosto 2007. Quell’intervista, che si presenta come una autodifesa di Kram e intende sostenere la tesi che egli si sia trovato a Bologna il 2 agosto per motivi puramente casuali e accidentali, è stata da noi analizzata e smontata punto per punto nel Dossier strage di Bologna (pp. 109-117). Vediamone un rapido riepilogo:

 

1. Viaggio verso l’Italia il 1º agosto 1980. Kram sostiene di essere arrivato a Chiasso alle ore 12.08: un evento impossibile, dato che non esisteva alcun treno che arrivasse a Chiasso a quell’ora e passasse da Karlsruhe, stazione di partenza di Kram, come risulta da suo biglietto ferroviario, fotocopiato dalla polizia di frontiera di Chiasso quello stesso 1º agosto.

 

2.   Kram sostiene di essere stato trattenuto “per ore” dalla polizia di frontiera di Chiasso: in realtà il suo fermo e la perquisizione durarono poco più di un’ora e mezza, dalle 10.30 alle 12.08, orario della sua partenza da Chiasso e non del suo arrivo a Chiasso (gli orari sono in ora solare della Svizzera, essendo Chiasso in territorio elvetico).

 

3. Secondo Kram, quella sosta imprevista fece saltare un appuntamento che doveva avere a Milano con una amica conosciuta all’Università di Perugia e fu costretto a fermarsi a Bologna perché non avrebbe fatto in tempo a raggiungere Firenze – meta finale del suo viaggio in Italia – prima della mezzanotte.

In realtà, se Kram arrivò davvero a Milano – come si può ragionevolmente desumere dal suo biglietto ferroviario Karlsruhe-Milano – vi giunse intorno alle ore 14 (ora legale italiana). Aveva perciò a disposizione molte ore e parecchi treni per arrivare a Firenze prima della mezzanotte, senza doversi fermare a Bologna.

 

4.   L’elemento cruciale per i giochi di prestigio di Kram sugli orari della sua mattinata a Chiasso il 1º agosto 1980 è tratto direttamente, ed esplicitamente citato, dal Documento conclusivo di minoranza del centrosinistra della Commissione Mitrokhin del 23 marzo 2006, che presenta alla pagina 230 una gravissima manipolazione nella trascrizione del telex della polizia di frontiera di Chiasso del 1º agosto 1980, che rende indeterminata la durata della perquisizione subita da Kram.

 

5. Giornata del 2 agosto 1980 a Bologna. Kram sostiene di essersi alzato tardi. Non accenna al boato dell’esplosione alla stazione (era alloggiato all’hotel Centrale di via della Zecca a meno di 800 metri in linea d’aria dalla stazione); sostiene di essere giunto alla fine di via Indipendenza, ossia nelle vicinanze della stazione, e di aver preso un taxi per andare alla stazione delle autocorriere, ossia esattamente nel luogo dove egli già si trovava.

 

6.  Kram sostiene inoltre di aver preso un pullman per andare a Firenze, ossia utilizzando un servizio che non esisteva.

 

7. Giornate successive al 2 agosto. Kram dichiara infine di essersi fermato a Firenze per quattro o cinque giorni, ossia fino al 6 o 7 di agosto. In realtà lo ritroviamo già la sera del 5 agosto 1980 che tenta di varcare il famoso Checkpoint Charlie per passare a Berlino Est. Quella stessa sera, poco dopo la mezzanotte, giungerà all’aeroporto di Schonefeld anche Johannes Weinrich, numero due di Separat – o della Ori, se Padula preferisce – e diretto superiore di Kram. A Berlino Est, al Palasthotel vi era una base operativa di Carlos. Kram e Weinrich lasceranno la Germania Est entrambi il 10 agosto. Kram tornerà in Germania, Weinrich andrà a Budapest dove in via Vend era situato il quartier generale della Ori.

http://segretidistato.liberoreporter.it/index.php/approfondimenti/stragi/stazione-di-bologna/168-esclusivo-strage-bologna-tre-giorni-dopo-la-strage-kram-era-a-berlino-est-demolito-lalibi.html