Chi ha scritto i comunicati delle Brigate rosse durante il sequestro Moro?
Il “dossier” dimenticato di Renzo Rota
I.
Nel mirino del KGB? La pericolosa “expertise” di “filologia politica” del diplomatico Renzo Rota sui comunicati delle Brigate rosse durante il sequestro Moro.
Il 17 marzo 1981, a tre anni di distanza dall’eccidio di via Fani, dal sequestro e dall’omicidio di Aldo Moro, il diplomatico Renzo Rota inviava al senatore Dante Schietroma, allora presidente della Commissione parlamentare Moro e a tutti i componenti della stessa commissione, un corposo “dossier” di oltre 150 pagine. Il voluminoso incartamento era costituito da quattro allegati riguardanti l’analisi dei comunicati delle Brigate rosse durante il sequestro Moro.Fin dalle prime righe della lettera di accompagnamento, allegata a questo voluminoso dossier”, Rota riassumeva il clamoroso e sorprendente contenuto di questi “allegati”:
“Invio a Lei, come a tutti i componenti la Commissione Moro, i documenti allegati.Essi mostrano che la parte centrale – quella ideologica – del primo messaggio delle B.R. […] e tutto il secondo messaggio, sono stati scritti da un comunista sovietico, e più precisamente, da un “ideologo” del Partito Comunista sovietico.”
Il primo e il secondo “messaggio delle B.R.”, ai quali si riferisce Rota, sono naturalmente i primi due comunicati delle Brigate rosse fatti ritrovare rispettivamente il 18 e il 25 marzo 1978.Non meno sconvolgente e notevolmente drammatico è quanto Rota scriveva nella parte manoscritta di quella stessa lettera:
“È possibile che nonostante il segreto istruttorio, e in perfetta buona fede, la notizia di questa mia “expertise” trapeli non pubblicamente. Per rendere più difficile una rappresaglia del KGB ai danni non tanto miei, quanto soprattutto di mia moglie, prego Lei e l’On. Commissione che Ella presiede, perché venga emesso un comunicato in cui la Commissione, senza naturalmente pronunciarsi sul merito, renda per intanto pubblica la notizia che le è pervenuto uno studio tendente a dimostrare che la parte centrale del 1º comunicato e tutto il 2º comunicato delle B.R. per Moro sono stati scritti da un sovietico. È necessario che il comunicato-stampa della Commissione renda anche pubblico il mio nome. Ciò potrebbe rendere più difficile una rappresaglia del KGB. Non posso dare io stesso il comunicato alla stampa. Se lo facessi, dovrei accusare direttamente – come è vero – il KGB del crimine. E, come funzionario dello Stato, non lo posso fare se non è già intervenuta al riguardo una dichiarazione ufficiale”.
Ma chi era Renzo Rota? E che fine hanno fatto i quattro “documenti allegati”, citati nella sua lettera? Quali discussioni hanno suscitato i clamorosi contenuti già delineati in questa lettera di Rota nella sterminata letteratura sul caso Moro che si è andata accumulando nel quarto di secolo trascorso da allora? Conosciamo poche notizie biografiche su Renzo Rota, se non quanto lui stesso riferisce nella lettera sopra citata, ossia che era un diplomatico, ministro plenipotenziario, già primo consigliere dell’ambasciata italiana a Mosca dal 1965 al 1972, con l’incarico di seguire la politica interna sovietica. Ma sono soprattutto le sue sottili, raffinate doti ermeneutiche che si riscontrano nel suo “dossier” a “parlare” per lui. I quattro “documenti allegati”, insieme alla lettera di accompagnamento, giacciono indisturbati (è proprio il caso di dirlo) da un quarto di secolo a questa parte nel volume 2 (pubblicato nel 1983) e nel volume 121 (pubblicato nel 1995) degli atti della Commissione Moro. Poiché questi “documenti” di Rota sono quasi del tutto sconosciuti, e di non immediata reperibilità, forniamo subito, qui di seguito, i riscontri bibliografici pertinenti; nel corso dei prossimi giorni tutta la documentazione si potrà consultare in questo portale (alla voce Documenti ->Terrorismo -> Documenti Brigate Rosse ).
– lettera di accompagnamento, datata 17 marzo 1981, scritta su carta intestata del “Ministero degli Affari Esteri”, pubblicata per la prima volta, limitatamente alla parte dattiloscritta, nelle “Relazioni di minoranza” della Commissione Moro (vol. 2, 1983, pp. 219-220; e in versione integrale, negli atti della stessa Commissione, vol. 121, 1995, pp. 221-223);
– allegato n. 1 (senza titolo), pubblicato per la prima volta nelle “Relazioni di minoranza” della Commissione Moro (vol. 2, 1983, pp. 221-229; e nel vol. 121, 1995, pp. 224-232); è ciò che qui abbiamo chiamato, per semplicità, “Relazione breve”;
– allegato n. 2(”Stereotipi del linguaggio comunista sovietico”), pubblicato per la prima volta nelle “Relazioni di minoranza” della Commissione Moro (vol. 2, 1983, pp. 231-366; e nel vol. 121, 1995, pp. 233-368); è ciò che qui abbiamo chiamato, per semplicità, “Relazione lunga”, che precisa ed esemplifica la precedente “Relazione breve”; l’analisi vera e propria è preceduta da una “Prefazione“;
– allegato n. 3 (”Esame del messaggio n. 2 nel quadro dei successivi messaggi”), pubblicato per la prima volta negli atti della Commissione Moro (vol. 121, 1995, pp. 369-373);
– allegato n. 4 (”Dei sovietici hanno ucciso Moro”), pubblicato per la prima volta negli atti della Commissione Moro (vol. 121, 1995, pp. 374-376). Nel testo che segue, oltre ad utilizzare le espressioni la “Relazione breve” e la “Relazione lunga”, impiegheremo anche la terminologia “il dossier Rota”, “l’analisi di Rota”, ecc. intendendo sempre riferirci agli scritti sopra citati.
Un buco nero nella sterminata bibliografia sul caso Moro
Si sarà intuito che il “dossier Rota” ha incontrato una particolare “sfortuna” nella pur sterminata bibliografia che è cresciuta intorno al caso Moro a partire dal 1978. Si cercherebbe invano una qualche discussione, degna di questo nome, del lavoro di Rota tra le varie “scuole” storiografiche che si sono scontrate e continuano a scontarsi intorno ai cosiddetti “misteri” del caso Moro. Quasi tutti gli studiosi del più importante delitto politico della storia dell’Italia repubblicana non citano neppure il nome di Rota, che è il modo più semplice ed efficace per eludere le clamorose conclusioni alle quali portava la sua analisi. Chi accenna al nome di Rota, il più delle volte, si limita a rimandare al giudizio liquidatorio, e non argomentato, avanzato dalla Relazione di maggioranza della Commissione Moro. Un comune lettore avrebbe dovuto aspettare fino al 2003 (ossia fino alla pubblicazione del volume di Vladimiro Satta, “Odissea nel caso Moro”) ossia 20 anni dopo che il “dossier Rota” era stato reso pubblico, per trovare un rimando bibliografico preciso che lo mettesse in grado di reperire quella documentazione.
Il “dossier Rota” si configura pertanto come un vero e proprio “buco nero”, per usare la metafora che troviamo nel sottotitolo di un libro pubblicato nello scorso mese di marzo 2008 (“Il sequestro di verità. I buchi neri del delitto Moro”, Kaos). “Buco nero” che fa parte, a sua volta, di un più esteso “buco nero” del caso Moro, ossia la mancanza di uno studio monografico, sistematico, dei comunicati delle Brigate rosse fatti ritrovare durante i 55 giorni più terribili dell’Italia repubblicana. Per quanto sia ovvio e banale sottolinearlo, due sono state, sono e saranno anche nel futuro, le “fonti” principali per lo studio del caso Moro: vale a dire le lettere e il cosiddetto “Memoriale” di Aldo Moro, da una parte, e i comunicati delle Brigate rosse dall’altro. Ma i comunicati delle Br, per quanto siano stati pubblicati, citati, commentati e chiosati in molti volumi, non hanno ancora trovato una adeguata trattazione. Sono queste alcune delle ragioni che ci hanno spinto a “riesumare” dall’oblio nel quale è stato fino ad ora tenuto, il lavoro di Renzo Rota. Questo scritto intende essere solo un guida e una esortazione alla lettura diretta di uno studio, quello di Rota, che giudichiamo importante e degno di essere conosciuto, indipendentemente dalla valutazione sull’attendibilità delle conclusioni avanzate da Rota stesso. Qui di seguito forniamo alcune indicazioni sul contenuto dei quattro scritti di Rota; nella parte II. abbiamo raccolto un’antologia dei testi che citano in un qualche modo le analisi di Rota; nella parte III. infine forniamo una sintetica cronologia degli eventi che siamo riusciti a identificare intorno al “dossier Rota.
La “Relazione breve” di Rota del 27-29 marzo 1978
Riteniamo utile fare un passo indietro e ritornare ai primi giorni della primavera insanguinata del 1978 e ripercorrere, in ordine cronologico, il lavoro intrapreso da Renzo Rota. Il 25 marzo 1978 le Brigate rosse fanno ritrovare il loro comunicato n. 2. Il giorno seguente tutti i giornali italiani riportano il testo integrale di quel comunicato. Quel testo fu letto, più o meno attentamente, forse da milioni di persone. A Roma però c’era un lettore molto particolare, dotato di una mente “preparata”, atta a cogliere ciò che quasi tutti non riuscivano a “vedere”, anche se stava davanti ai loro occhi. Era il diplomatico Renzo Rota, allora, e anche oggi, ai più del tutto sconosciuto. Come sappiamo dalla lettera del 17 marzo 1981, Rota si mise subito al lavoro e nei tre giorni successivi (27-29 marzo) elaborò quella che abbiamo chiamato “Relazione breve” (che corrisponde all’allegato n. 1). Quel testo (di 9 pagine), elaborato in condizioni di impellente urgenza, non porta alcun titolo, è strutturato nel modo seguente: è diviso in tre colonne, nella prima (sopratitolata “Dal 2. messaggio delle B.R.”) sono trascritti stralci tratti dal comunicato n. 2 delle Brigate rosse; nella seconda (sopratitolata “Testo russo”), grazie ad una ardita intuizione ermeneutica, Rota propone una “retroversione letterale” in russo del testo italiano che figura nella prima colonna; infine nella terza colonna (sopratitolata “Osservazioni”) sono riportati i commenti e le annotazioni di Rota. Nella sua analisi, Rota segue questo metodo: isola 27 parole, o espressioni o intere frasi, che numera (da 1 a 27) nel corpo del testo della prima colonna (ossia nel testo del comunicato n. 2) che ritiene tra le più significative e “sintomatiche”. Poi, grazie alla “retroversione letterale” in russo di quelle stesse parole, Rota mostra, nel commento della terza colonna, che l’ipotetico estensore sovietico, che non dominava completamente, come un madrelingua, l’italiano, ha proposto delle “espressioni in italiano” che tradiscono appunto una derivazione dal russo. Come gli incredibili “servitorelli” che figurano significativamente al n. 1 nella lista elaborata da Rota, e che abbiamo scelto come titolo di questo scritto. Lasciamo ai volonterosi lettori il gusto di incamminarsi nel labirinto linguistico con la guida sapiente di Rota. Vi troveranno inattese, sorprendenti e sconcertanti annotazioni, che crediamo mai avrebbero immaginato di trovare in quel secondo comunicato, spesso definito (ma troppo frettolosamente, come tanti altri) “delirante”. Una sola segnalazione: si noti, nella seconda pagina di questa “Relazione breve”, la fotocopia di una voce del vocabolario russo-italiano pubblicato dall’ “Enciclpedia sovietica” nel 1972 e l’abile uso che ne fa Rota anche nelle pagine seguenti.Per aiutare la lettura dei testi di Rota, abbiamo predisposto a parte l’elenco delle 27 espressioni appositamente numerate da Rota stesso, alle quali abbiamo aggiunto un’altra ventina di parole (non numerate e che abbiamo indicato con lettere maiuscole, per distinguerle dalle precedenti) ugualmente commentate dal diplomatico italiano. Tra queste espressioni, una ci pare particolarmente “illuminante”: è la coppia di termini “appendici militari” (nella quinta pagina della relazione) dal significato più che enigmatico in italiano (anche nell’italiano delle Brigate rosse che, peculiare fin che si vuole, sempre italiano dovrebbe essere). Tra l’altro questa “strana coppia” di termini compare in un paragrafo del comunicato n. 2 dove troviamo un non meno sconcertante verbo (“trainare”), in connessione proprio con le strane “appendici militari”, che rende quella frase particolarmente ardua da intendere. Che significato ha, infatti, preso alla lettera, il passo seguente, che dovrebbe stare “in piedi” anche senza gli altri due verbi che si trovano dentro la parentesi quadra: “Sono i paesi più forti della catena e che hanno già collaudato le tecniche più avanzate della controrivoluzionead assumersi il compito di trainare […] le appendici militari […]”? Ha un significato altamente problematico, per non dire che non ha, in realtà, ALCUN significato. Se si legge la frase completa con i verbi “istruire” e “dirigere” si intuisce, vagamente, che cosa l’estensore intendesse esprimere. Ma quell’estensore dovrebbe essere, secondo la storiografia dominante, unanime almeno su questo punto, un “nativo” italiano, chiunque esso sia, brigatista patentato, o dell’area intellettuale dell’estrema sinistra. È possibile che un italiano abbia scritto “quella” frase (e tante altre similmente “strane”)? Sono domande che riteniamo del tutto legittime. Sono le risposte che fino ad ora sono mancate (e sono trascorsi ormai 30 anni). Per incoraggiare ulteriormente l’impegnativa lettura dei testi di Rota, abbiamo elaborato il testo del comunicato n. 2, colorando in rosso le 27 espressioni numerate da Rota e in blu le altre espressioni non numerate, ma ugualmente commentate dal diplomatico. Ciò al fine di ricontestualizzare tutti i termini e le frasi analizzati da Rota nell’ambito del testo originale del comunicato brigatista. Nella prima colonna di questa “Relazione breve”, infatti, sono trascritti solo frammenti parziali e non nell’ordine di composizione del comunicato n. 2. Ma che destino fu riservato, nel 1978, all’analisi di Rota? Dalla lettera del 17 marzo 1981 sappiamo soltanto che questa “Relazione breve” fu “subito recapitata a chi di dovere”. Dato il velo di riserbo, comprensibile per la carica che Rota ricopriva, alzato dal diplomatico italiano, non conosciamo l’eventuale iter, o l’utilizzo, ammesso che ce ne sia stato uno, che allora fu riservato a quello scritto redatto in modo così tempestivo. Ricordiamo che non erano trascorse neppure due settimane dall’eccidio di via Fani e dal sequestro di Aldo Moro. L’impressione è che questo primo lavoro di Rota sia finito in qualche cassetto più o meno riposto e lì sia rimasto tranquillamente a giacere. La vicenda del “borsista” sovietico Sergey (o Sergeij) Sokolov, che frequentava con una certa assiduità le lezioni universitarie di Moro, informandosi anche sugli uomini della scorta, può forse fornire qualche indizio utile sull’atteggiamento dei nostri apparati di sicurezza nei riguardi dell’infiltrazione proveniente da “oriente” (su questa vicenda si veda più avanti). È ragionevole perciò ritenere che le nove paginette che trattavano questioni apparentemente “esoteriche” di filologia “italo-cirillica”, per quanto acute e raffinate potessero essere, non siano state neppure prese minimamente in considerazione “da chi di dovere”.
La “Relazione lunga” di Rota (primavera 1978 – primavera 1981)
In un periodo imprecisato, tra la primavera del 1978 e quella del 1981, o forse dopo l’istituzione della Commissione parlamentare sul caso Moro (alla fine di novembre 1979), probabilmente proprio per mettere a disposizione della stessa Commissione le sue competenze, Rota rimise mano alla sua analisi dei comunicati delle Brigate rosse. Nel corso di una sola settimana predispone un nuovo rapporto ben più voluminoso (ben 136 pagine) rispetto alle 9 pagine del marzo 1978. È l’allegato n. 2, che Rota intitolò “Stereotipi del linguaggio comunista sovietico”, e che qui, per semplicità, abbiamo chiamato la “Relazione lunga”. Il contenuto di questo lungo scritto è riassunto da Rota stesso nella solita lettera del 17 marzo 1981: “Esso contiene degli esempi, tratti dalla letteratura sovietica, comprovanti che frasi e parole impiegate nel 2.ndo messaggio delle B.R. sono espressioni cl[a]ssiche dello stile “ufficiale” degli ideologi del partito comunista sovietico”. Il testo vero e proprio di questa “Relazione lunga” è preceduto da una breve “Prefazione” (di tre pagine) che raccomandiamo di leggere attentamente perché mostra compiutamente il metodo di lavoro di Rota, la sua competenza e la sua profonda conoscenza, non solo del linguaggio ideologico sovietico, ma di quell’intero mondo concettuale, e dei suoi “teologi”, scaturito dalla Rivoluzione d’ottobre. Un paragrafo della seconda pagina della “Prefazione” esemplifica bene, con una efficace metafora, la sostanza dell’interpretazione avanzata da Rota: “A parte le inesattezze di italiano proprie ad una persona di lingua russa, i molteplici stereotipi – caratteristici del linguaggio comunista sovietico – impiegati nel messaggio costituiscono come le impronte digitali dell’estensore: le impronte che egli ha lasciato sul luogo del delitto”. A nostro avviso, gli inarrivabili “ottusi servitorelli”, rappresentano una gigantesca “impronta digitale”, se non addirittura i dinosauri che passeggiano tranquillamente nel giardino di casa di molti studiosi del caso Moro che non hanno però mai ritenuto di dover dare un’occhiata ai loro trattati di “paleontologia linguistica” per vedere se per caso non si dovesse apportare qualche più o meno radicale “revisione” testuale. Nell’ultima sezione della “Prefazione”, Rota elenca le tre pubblicazioni di cui si è servito per documentare l’analisi delle 27 espressioni già individuate e numerate nella precedente “Relazione breve”. Si tratta della “Pravda”, organo ufficiale del defunto PCUS (annate 1976-1979), di “Kommunist”, rivista “teorica” dello stesso PCUS (annate 1967, 1970-1972, 1975, 1977) e di “Politicescoe Samobrasovanie” (“Autodidattica politica”), un’altra rivista comunista sovietica (annata 1977). Con questo materiale a disposizione Rota procede poi a configurare, in una nuova versione, le 27 espressioni già individuate in precedenza. L’esempio dell’espressione n. 1, ossia gli “ottusi servitorelli”, ci servirà come campione per illustrare tutto il resto della struttura di questa “Relazione lunga”. Nella parte superiore della pagina, a fianco della dicitura “Testo B.R.”, Rota trascrive alcune righe del testo italiano del comunicato n. 2 delle Brigate rosse che comprendono l’espressione numerata in oggetto, e che viene sottolineata. In questo caso il testo è il seguente: “… gli strateghi della controrivoluzione e i loro ottusi servitorelli…”. Sotto al testo italiano, a fianco della dicitura “lingua sovietica”, Rota riporta la “retroversione letterale” (come lui stesso la chiama) in russo del testo italiano. Il testo in russo è manoscritto. Sotto a questa doppia intestazione, Rota procede con i suoi commenti. In questo caso scrive: “Il termine “[testo in russo]” (prislusniki) non ha una traduzione letterale in italiano. Fondamentalmente vuol dire “servo”, ma in un significato molto più dispregiativo: è un servo sciocco, e che inoltre striscia, adula, vuol compiacere il padrone. Il vocabolario classico della lingua russa, il Dahl, stampato a Pietroburgo nel 1882 e riprodotto in fotocopia a Mosca nel 1935, riporta a tale riguardo la frase di Griboiedov: ‘potrei servire come uno schiavo, ma mi fa schifo di essere un «prislusnik»’. La frase ‘la controrivoluzione (o la reazione, la borghesia oppure l’imperialismo: i termini sono intercambiabili nella fraseologia sovietica) e i suoi «prislusniki»’ è un classico del linguaggio comunista sovietico”. Rota prosegue poi raccogliendo una lunga antologia di citazioni da testi in russo dalle tre testate sopra citate, riprodotti in fotocopia, e seguiti dalla traduzione italiana. Viene costruito in tal modo un paziente, certosino, collage di frammenti testuali che esemplificano, espressione per espressione, tutte le 27 frasi isolate e numerate da Rota. Nel caso degli “ottusi servitorelli” le citazioni proseguono per quattro pagine. Riportiamo qui di seguito solo due degli esempi tratti dalla “Pravda” e da “Kommunist”. “al IX Congresso del Partito comunista tedesco, il membro del Politburo sovietico, Suslov, dice (Pravda, 20.5.76) [segue testo in russo e traduzione in italiano] “Nello sforzo di impedire la diffusione dell’idea marxista-comunista, gli imperialisti e i loro ‘prislusniki’…”. “Sul Kommunist (giugno 1971, n. 9, pag. 57) si legge: [segue testo in russo e traduzione in italiano] “i politici borghesi e i loro ‘prislusniki’ ideologici…”. Continuiamo riportando ancora qualche ulteriore interessante osservazione di Rota: “l’estensore del messaggio delle B.R. ha tradotto l’espressione: l’imperialismo (o la controrivoluzione) e i suoi ‘prislusniki’, con la perifrasi non certo felice in italiano: ottusi servitorelli. Il linguaggio propagandistico sovietico ha – ad un livello di stile più basso di quello di Kommunist o della Pravda – un sinonimo di ‘prislusniki’: ed è ‘lakiei’ che deriva dal francese “laquais” ma che in sovietico ha un significato molto più dispregiativo che nella lingua originale ed è l’esatto corrispettivo ‘prislusnik’. Però ‘lacchè’, in italiano, poteva suonare troppo prezioso, e l’estensore si è ribattuto su un ‘servitorelli’ che, secondo lui, conteneva l’idea dello schifo, del disprezzo. Poi ha voluto mettere anche l’altra sfumatura della imbecillità, della stupidità, e ha scritto ‘ottusi servitorelli’. Ora ‘ottuso’, per dire ‘stupido’, non è molto usato in italiano, ma è la traduzione letterale dell’aggettivo comunemente adoperato in russo ‘tupoi’. Nel suo significato originario ‘tupoi’ si applica ad un coltello che ha perso il filo, esattamente come in italiano ‘fesso’ deriva dall’idea di un vaso che si è incrinato”.
Gli ultimi due allegati del “dossier Rota”
Nell’allegato n. 3 (“Esame del messaggio n. 2 nel quadro dei successivi messaggi”), di cinque pagine, Rota esamina le relazioni tra i primi due comunicati delle Brigate rosse e i restanti sette. I due paragrafi iniziali di questo scritto ne riassumono con efficacia il contenuto: “Come si è detto, i primi due messaggi delle B.R. dopo il rapimento di Moro sono stati scritti da un sovietico; anzi nel primo messaggio, solo la parte centrale: quella ideologica, è stata scritta da un sovietico, mentre la parte iniziale e quella finale, a carattere descrittivo, sono di mano italiana. Gli ultimi sette messaggi, dei nove complessivi, non solo sono stati scritti da un italiano, ma cercano anche di rimediare, di camuffare – riprendendoli e rielaborandoli – le improprietà linguistiche o i ‘sovietismi’ sfuggiti al redattore dei primi due messaggi”. L’allegato n. 4 (“Dei sovietici hanno ucciso Moro”), di tre pagine, chiude infine il “dossier Rota”. In un passo di questo breve scritto, di tipo più speculativo, Rota scrive: “I primi due messaggi delle Brigate Rosse furono buttati giù perciò da un sovietico e trasmessi con ponte radio in Italia a quell’uomo, l’unico uomo che deve esistere e che fa da anello di congiunzione tra i servizi sovietici e le ignare Brigate Rosse italiane”. Questa supposizione ha, forse, qualcosa a che fare con la testimonianza di alcuni inquilini di via Gradoli 96, che abitavano sullo stesso pianerottolo dell’interno 11, scala A (dove si trovava un covo Br, frequentato da Mario Moretti, alias ingegner “Borghi”), i quali riferirono di aver sentito nella notte tra il 15 e il 16 marzo 1978 dei “rumori, simili a segnali ‘morse’”? Per concludere un’ultima citazione di natura linguistica tratta dal paragrafo successivo a quello sopra citato: “I primi due messaggi delle Brigate Rosse non sono stati scritti infatti da un italiano, ma da uno che pensava in russo, anzi, in sovietico. Perché c’è una differenza profonda tra la lingua russa e la lingua sovietica: una diversità di intonazione, di uso di aggettivi, di impiego di parole, di ricorrente uso di frasi stereotipate”.
La punta emersa dell’iceberg:
tra memoria ed oblio, un’antologia dei testi riguardanti il “dossier Rota”
II.
Qui di seguito sono trascritti, in ordine cronologico, i testi che siamo riusciti ad individuare riguardanti le tematiche legate al “dossier Rota” nei pochi episodi in cui questo “iceberg” è fugacemente apparso da sotto la cortina dell’oblio. I testi provengono principalmente dagli atti della Commissione Moro, da quattro audizioni della Commissione Stragi e da alcuni volumi dedicati al caso Moro. Abbiamo aggiunto qualche commento nei casi più rilevanti e abbiamo cercato di fornire alcune informazioni contestuali per aiutare la lettura dei testi trascritti.
• 1983
– “Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia” (28 giugno 1983).
La Relazione di maggioranza della Commissione Moro cita Rota in tre righe scarse del paragrafo 4 (”L’ipotesi di connivenze di organismi esteri”) del capitolo IX (”I collegamenti internazionali”). Dopo aver esposto brevemente il contenuto dello studio di Rota, fatto pervenire alla Commissione stessa nel marzo 1981, i commissari di maggioranza formulano questo lapidario giudizio liquidatorio:
“Per la verità molte delle «espressioni russe» individuate dal dottor Rota erano da tempo entrate nel lessico della sinistra extraparlamentare italiana”.
(la citazione è tratta dal vol. 1, p. 127 della Commissione Moro, corrispondente alla p. 225 del più accessibile libro intitolato “Dossier delitto Moro”, a cura di Sergio Flamigni, Kaos 2007, dove alle pp. 57-313 è trascritta integralmente la medesima Relazione di maggioranza).
Data la rilevanza che queste poche righe hanno avuto sulla particolare “sfortuna” incontrata dall’interpretazione di Rota nello scorso quarto di secolo, è utile dedicare qualche riflessione a questo giudizio critico. Questa valutazione dello studio di Rota (studio che, ricordiamolo, occupa oltre 150 pagine), sembrerebbe costituire l’esito finale, ultrasintetizzato, di una qualche relazione dedicata alle analisi di Rota. Si cercherebbe tuttavia invano una tale relazione “anti-Rota” in tutti i restanti 129 volumi degli atti della stessa Commissione Moro. Non si capisce quindi quali siano le argomentazioni che stanno alla base della frettolosa demolizione delle interpretazioni di Rota. Tra l’altro, i commissari di maggioranza non scrivono che TUTTE le «espressioni russe» individuate da Rota facevano parte del lessico della sinistra extraparlamentare italiana, ma solo “molte”: il che implica che una parte, ossia poche “espressioni”, non rientravano in questo “lessico della sinistra extraparlamentare”. Ma, ammessa anche la plausibilità della valutazione avanzata dai commissari di maggioranza, sono proprio alcune delle parole e frasi evidenziate da Rota che rappresentano degli sconcertanti “fossili linguistici”, che sfidano la “paleontologia linguistico-politica” apparentemente sostenuta dai commissari di maggioranza (ci sia permessa l’inusuale e un po’ fantasiosa terminologia).
Le incredibile coppie linguistiche degli “ottusi servitorelli” o delle “appendici militari”, e lo sconcertante uso dei verbi “trainare” o “attivizzare”, per limitarsi solo ad alcune delle più “incredibili” parole che popolano il comunicato n. 2 delle Brigate rosse (del 25 marzo 1978), rappresentano una sfida molto impegnativa che i critici di Rota non avrebbero dovuto sottovalutare e liquidare in modo così sbrigativo.
I commissari di maggioranza avrebbero dovuto seguire umilmente lo stesso metodo di Rota, ed usarlo come strumento critico contro le interpretazioni avanzate dallo stesso Rota. Avrebbero dovuto costruire, analogamente a quanto aveva fatto Rotta, la loro contro-antologia di esempi riguardanti soprattutto la terminologia più “anomala”, cercando di rintracciarla prima di tutto nella vasta “letteratura brigatista” prodotta tra il 1970, anno delle prime azioni della allora “Brigata rossa” (al singolare) fino almeno alla lunga “Risoluzione strategica” del febbraio 1978 (per limitarsi al periodo precedente il sequestro Moro). I commissari di maggioranza avrebbero potuto scandagliare anche pubblicazioni nell’area contigua alle Brigate rosse, come ad esempio il periodico “Controinformazione”, o nell’ambito “della sinistra extraparlamentare”, citata proprio dagli stessi commissari di maggioranza, come per esempio l’area dell’ “Autonomia operaia”, o di “Potere operaio”. Ma niente di tutto ciò, a quanto ci risulta, è stato fatto, allora e nel quarto di secolo seguente.
Oggi abbiamo a disposizione un voluminoso “corpus” di “letteratura brigatista”: nel 2007 l’editore Kaos ha pubblicato due utilissime antologie di scritti delle Br: “Dossier Brigate rosse 1969-1975″ e “Dossier Brigate rosse 1976-1978″, entrambe a cura di Lorenzo Ruggiero, che non attendono altro che di essere attentamente scandagliate.
– “Relazione di minoranza del deputato Franco Franchi e del senatore Michele Marchio (Gruppo parlamentare del MSI-DN)” (vol. 2, 1983, della Commissione Moro).
Nella nota in coda all’indice della loro Relazione (p. 66), Franchi e Marchio scrivevano:
“Riteniamo opportuno pubblicare questi due ultimi documenti (7 e 8)* per l’importanza che riveste lo studio del diplomatico Rota, uno dei più illustri sovietologi, particolarmente esperto nel linguaggio del partito comunista sovietico. Poiché la Commissione, assurdamente, ha respinto le nostre reiterate richieste di ascoltare il dottor Renzo Rota, pubblichiamo il suo studio trasmesso a tutti i membri della Commissione.
Oggi lo studio di Rota sulle responsabilità del K.G.B. nel sequestro Moro trova una insospettata conferma nel Rapporto dei Servizi di sicurezza italiani. Questi due documenti hanno la potenzialità di far riaprire tutte le analisi e le conclusioni sul caso Moro”.
* Ossia: “7) La via del K.G.B. La denuncia del diplomatico dottor Renzo Rota, Ministro plenipotenziario” e “8) La via del K.G.B. Il rapporto dei Servizi di sicurezza”.
Il documento 7, citato da Franchi e Marchio, è costituito dalla lettera di Rota del 17 marzo 1981 (per il solo testo dattiloscritto) e da quelle che abbiamo chiamato, per semplicità, la “Relazione breve” e la “Relazione lunga” (il tutto si trova nel vol. 2, 1983, pp. 121-366 della Commissione Moro).
– “Relazione di minoranza del deputato Leonardo Sciascia (Gruppo parlamentare radicale)” (vol. 2, 1983, pp. 397-413); (pubblicata anche in Leonardo Sciascia, “L’affaire Moro. Con aggiunta la Relazione Parlamentare”, Sellerio 1983, pp. 147-183). Scrive Sciascia (p. 410):
“E che l’italiano maneggiato dalle Brigate Rosse sia di traduzione da altra o da altre lingue è questione da lasciar cadere. L’italiano delle Brigate Rosse è semplicemente, lapalissianamente, l’italiano delle Brigate Rosse”.
Sciascia, attento lettore dei giornali dei 55 giorni del sequestro Moro, sembra riferirsi ad articoli di stampa apparsi nell’ultima decade di marzo 1978 e forse anche alle analisi di Rota; il nome del diplomatico, tuttavia, non compare nel suo scritto. Anche Sciascia, pur così acuto e raffinato nelle sue analisi del caso Moro, al quale aveva dedicato uno dei primissimi studi sull’argomento (se non il primo), apparso già nell’ottobre 1978 (”L’affaire Moro”, Sellerio), si limita pertanto a proporre una banale tautologia e non un giudizio critico. Sarebbe stato molto interessante se Sciascia si fosse inoltrato nel labirinto linguistico additato da Rota. È stata purtroppo un’occasione mancata.
1999
I quattro brani seguenti sono estratti dalle audizioni della Commissione Stragi tenutesi nel corso della XIII Legislatura (1996-2001) sotto la presidenza di Giovanni Pellegrino e riguardano l’ “Inchiesta sugli sviluppi del caso Moro”.
– 47a seduta della Commissione Stragi, tenutasi il 17 febbraio 1999 (audizione del senatore Luciano Barca). Per il testo integrale si veda
http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno56.htm.
Nel corso di questa seduta, dedicata all’audizione del senatore Luciano Barca, l’on. Enzo Fragalà, pur non citando direttamente Renzo Rota, solleva il problema delle “stranezze terminologiche” che sarebbero presenti nei primi comunicati delle Brigate rosse. Fragalà insiste in particolare sull’espressione “camera gerarchica”, evocata nel libro autobiografico del generale dei carabinieri Francesco Delfino (”La verità di un generale scomodo”, 1998; si veda anche sotto per ulteriori precisazioni su questo punto). Fragalà però, prendendo per buona la citazione tratta da Delfino, incorre in un equivoco terminologico, poiché l’espressione che si trova nel comunicato n. 1 delle Brigate rosse (del 18 marzo 1978) non è “camera gerarchica” bensì “catena gerarchica”. La discussione si arena perciò rapidamente. Il testo pertinente è il seguente:
“FRAGALÀ. Onorevole Barca, non so se lei abbia letto il libro auto-biografico del generale Francesco Delfino, o comunque la recensione che ne ha fatto Giorgio Bocca…
PRESIDENTE. Il libro l’avrebbe dovuto leggere proprio in questi giorni. A me è arrivato due giorni fa, per la verità: ce l’ho sul comodino, ma non l’ho ancora letto.
FRAGALÀ. Dicevo della recensione che ha fatto di tale libro Giorgio Bocca il 4 febbraio scorso [1999] su «la Repubblica». La parte conclusiva di tale recensione commentava in poche parole un passaggio del libro di Delfino dove questi si improvvisa filologo e chiosa sulle differenze semantiche, terminologiche e ideologiche dei primi comunicati delle Brigate Rosse, dimostrando che tali primi comunicati potevano essere stati scritti da un agente del KGB che parlava bene il russo e male l’italiano, e quindi usava tutta una serie di termini propri della terminologia ideologica del partito comunista sovietico di allora, come ad esempio «camera gerarchica», e così via. Il generale Delfino conclude che leggendo questi primi comunicati delle Brigate Rosse si ha l’impressione che siano stati scritti da un soggetto di questo genere che poi è stato sostituito perché non era plausibile che degli intellettuali, dei laureati in sociologia dell’università di Trento scrivessero i comunicati in quel modo.
PRESIDENTE. Vorrei fare un’osservazione: tutto ciò, a meno che non l’abbia scritto Micaletto, perché ad esempio l’espressione «traino» fa parte del linguaggio salentino; usiamo moltissimo tale parola!
FRAGALÀ. Sì, ma non «camera gerarchica»!
BARCA. Cosa è una «camera gerarchica»?
FRAGALÀ. In questo comunicato delle Brigate Rosse si parla della «camera gerarchica»!
PRESIDENTE. Mi sono riferito a Micaletto, perché era leccese!
FRAGALÀ. Si parla di «camera gerarchica» per indicare il luogo delle decisioni, che viene rappresentato, per l’appunto, con l’espressione di «camera gerarchica», che è inusuale, inusitata per la terminologia propria di persone di un certo livello culturale.
BARCA. Io ho settantotto anni, ed è la prima volta in vita mia che sento questa espressione.
Posso anche dirglielo avendo fatto due viaggi di studio in Unione Sovietica. Reichlin ed io facemmo nel 1956 un viaggio perché insoddisfatti del modo con cui il corrispondente da Mosca informava. Andammo lì dopo il ventesimo congresso e facemmo un viaggio di quaranta giorni in Unione Sovietica, visitandola.
Per i primi dieci giorni…
FRAGALÀ. Ci fu chiusura totale?
BARCA. Non solo ci fu chiusura totale, ma ci fu rifiutato l’interprete di italiano. Arruolammo al libero mercato un free lance che parlava francese, che poi – per punto preso – abbiamo tenuto anche dopo che il Pcus e la Pravda mutarono in parte atteggiamento.
FRAGALÀ. Le leggo un pezzo del comunicato, così ha il senso della questione.
BARCA. Grazie.
FRAGALÀ. Il comunicato diceva: «La congrega più bieca di ogni manovra giudiziaria… sulle cui gambe cammina il progetto delle multinazionali alla cui testa stanno le maggiori potenze della camera gerarchica ha il compito di trainare le appendici militari». Questa è la parte del comunicato in questione.
BARCA. Ebbene, le assicuro che se lei ha letto (credo che nessuno lo abbia fatto, ma siccome esistevano…) i volumi di Breznev, non credo che abbia trovato mai espressioni di questo genere.
FRAGALÀ. «Camera gerarchica», lo si dice dopo, è un’espressione che veniva usata nella terminologia del partito comunista russo.
BARCA. Le ripeto che ho fatto due lunghi viaggi, uno da Mosca a Novosibirsk, per incontrare gli economisti (dato che mi occupavo di economia), perché lì erano stati un po’ esiliati quelli non ortodossi, e per incontrare il professor Agambeghian, che aveva fondato una sua scuola. Da dirigenti o da vari interpreti ufficiali sovietici che ci ricevettero a Taskent nel viaggio per Novosibirsk, questo termine non l’ho mai sentito. Forse la questura di Roma dovrebbe avere ancora dei volantini che venivano liberamente distribuiti per la città di Roma da uno strano gruppo contro le multinazionali e lì, forse, ritroverà questo linguaggio, ma non credo…”.
Nella citazione sopra riportata da un non meglio precisato comunicato delle Brigate rosse (”Il comunicato diceva: «La congrega più bieca… di trainare le appendici militari»”), Fragalà (o forse Delfino) fa un po’ di confusione “filologica” e attribuisce ad un unico comunicato delle Brigate rosse frasi che si trovano in realtà nel primo e nel secondo comunicato brigatista:
i) “La congrega più bieca di ogni manovra giudiziaria…” corrisponde in realtà alla frase del comunicato n. 1 “la congrega più bieca di ogni manovra reazionaria“;
ii) “… sulle cui gambe cammina il progetto delle multinazionali” è una citazione corretta, ma il testo si trova nel comunicato n. 2;
iii) “alla cui testa stanno le maggiori potenze della camera gerarchica” corrisponde in realtà alla frase del comunicato n. 1 “le maggiori potenze che stanno alla testa della catena gerarchica”;
iv) “ha il compito di trainare le appendici militari” è inserita nel contesto di questa frase del comunicato n. 2: “Sono i paesi più forti della catena e che hanno già collaudato le tecniche più avanzate della controrivoluzione ad assumersi il compito di trainare, istruire, dirigere le appendici militari nei paesi più “deboli” che non hanno ancora raggiunto i loro livelli di macabra efficienza”.
È perciò inevitabile che la tematica sollevata da Fragalà si areni immediatamente e non sia ripresa da Barca.
– 50a seduta della Commissione Stragi, tenutasi il 17 marzo 1999 (audizione di Alberto Franceschini). Per il testo integrale si veda
http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno50a.htm#50a
Nel corso di questa seduta, dedicata all’audizione di Alberto Franceschini (fondatore con Renato Curcio e Margherita Cagol delle Brigate rosse, arrestato insieme a Curcio l’8 settembre 1974), l’on. Enzo Fragalà ripropone lo stesso tema della 47a audizione del 17 febbraio (si veda sopra); anche in questa circostanza non è richiamato Rota. Questa volta Fragalà cita direttamente dal libro di Delfino (”La verità di un generale scomodo”, 1998; per i “file” citati si veda sotto), anche qui compare di nuovo l’errata espressione “camera gerarchica”. Franceschini, pur ritenendo “interessante” il tema sollevato da Fragalà, non si sofferma più di tanto sul problema strettamente linguistico, che considera solo un “pretesto”. La discussione specifica, che pure aveva registrato un qualche consenso, si disperde rapidamente nella più vasta questione delle possibili interferenze dei servizi segreti orientali (KGB) e occidentali (CIA e Mossad) nel caso Moro.
I passi significativi sono i seguenti:
“FRAGALÀ. Lei poco fa ha letto soltanto il primo file di quella famosa pagina del libro di Delfino. Io ora le leggo il secondo file e voglio una sua valutazione.
Scrive il generale Delfino: «Secondo file: un vocabolario russo-italiano. Stralcio dai primi due comunicati delle Brigate rosse alcune frasi: «La congrega più bieca di ogni manovra giudiziaria….sulle cui gambe cammina il progetto delle multinazionali…», «Le maggiori potenze che stanno alla testa della camera gerarchica…»; «Il compito di trainare le appendici militari…». Il «traino», rifletto, è un concetto agro-pastorale di un’economia agricola che in Italia è antecedente al 1914! In Italia, all’epoca delle Brigate rosse, nessuno, tanto meno dei laureati in sociologia a Trento, si sarebbe sognato di usare termini come «traino» o equivalenti, che sempre negli stessi comunicati compaiono come «cinghia di trasmissione». E la camera gerarchica che vuol dire? In quale paese del mondo era ancora moneta corrente un linguaggio di questo tipo, che poi scompare del tutto a partire dal terzo comunicato delle Brigate rosse? Fantastichiamo un po’: se l’input fosse venuto dall’Unione Sovietica? Se un traduttore russo che conosce poco bene l’italiano avesse dovuto ricorrere al vocabolario per accertarsi del significato di parole…» eccetera.
Ora, rispetto a questo secondo file (lei ha ritenuto il primo file molto interessante) che ipotizza che ci possa essere stato un traduttore russo che aveva poca dimestichezza con l’italiano, lei che riflessione fa?
FRANCESCHINI. Io ritengo interessanti tutti e quattro i file, quindi anche questo. La riflessione interessante è che, al di là del pretesto linguistico che lui utilizza, mi sembra che lui dica delle cose molto chiare. Cioè dice che fino al comunicato n. 2 a scrivere sono certe persone, poi, dal comunicato n. 2 al 3 c’è un cambiamento di soggetto; c’è un soggetto che stava in Italia che poi se ne torna perché viene richiamato in Unione Sovietica. Credo che Delfino sappia chiaramente di chi sta parlando; stava parlando di una persona, conosce un nome e un cognome; bisognerebbe chiedere a lui perché è interessante questa cosa secondo me.
PRESIDENTE. Anche se un linguista come Tullio De Mauro ha detto che l’espressione «catena gerarchica» sembra più di origine spagnola che russa.
FRANCESCHINI. Infatti, secondo me, questo è un pretesto.
PRESIDENTE. È un pretesto per dare il messaggio. Infatti io penso che il senso di quella pagina è che c’è questo intreccio tra Servizi occidentali, CIA, Mossad e KGB. Questo è il messaggio complessivo che lancia.
L’accenno di Pellegrino al linguista Tullio De Mauro si riferisce ad un articolo pubblicato su “Paese Sera” il 20 marzo 1978.
– 56a seduta della Commissione Stragi, tenutasi il 10 novembre 1999 (audizione del magistrato Rosario Priore). Per il testo integrale si veda
http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno56.htm.
In questa seduta riaffiorano le analisi di Rota. Per comprendere il contesto nel quale riemerge il “dossier Rota” è necessario dilungarsi un po’ sull’argomento principale affrontato in quella giornata, ossia il “caso Sokolov”. Questa 56a seduta è dedicata all’audizione del magistrato Rosario Priore, giudice istruttore, fin dal 13 maggio 1978, nei processi dal Moro 1 al Moro 4 (fino al 1990). Nel corso della delicata audizione (Priore era propenso a tenerla infatti in seduta segreta, poi si decise di tenerla in seduta pubblica), il magistrato legge stralci di una lettera inviatagli il 5 novembre 1999 da Francesco Tritto, assistente e poi successore sulla cattedra universitaria che era stata di Moro. L’argomento riguarda l’inquietante e assidua frequentazione delle lezioni di Moro, fino al 15 marzo 1978, del “borsista” sovietico Sergey (o Sergeij) Sokolov (allora venticinquenne, essendo nato nel 1953), che la scheda n. 83 del “dossier Mitrokhin” qualifica come “ufficiale del V Dipartimento del Primo Direttorato Principale del KGB che lavorava sull’Italia. SOKOLOV fu in Italia negli anni 1981-1982 sotto la copertura di corrispondente della TASS”.
Era stata proprio la clamorosa, e del tutto inusuale pubblicazione del “Rapporto Impedian”, meglio noto come “dossier Mitrokhin”, decisa dall’Ufficio di presidenza della stessa Commissione Stragi, l’11 ottobre 1999, a risvegliare i ricordi di Tritto. L’assistente di Moro rammentò così l’assidua presenza di Sokolov alle lezioni di Moro e le sue domande sugli uomini della scorta, che tanto lo avevano inquietato. Lo stesso giorno del sequestro di Moro, il 16 marzo 1978, Tritto si era recato da “chi di dovere”, in questo caso il sottosegretario agli Interni, Nicola Lettieri, per segnalargli la presenza di Sokolov alle lezioni di Moro. In seguito Tritto fu “rassicurato” da un ufficiale dei servizi segreti italiani che Sokolov era sorvegliato fin dal suo arrivo in Italia sul finire del 1977. Fu solo l’ “accidentale” pubblicazione del “dossier Mitrokhin” a far emergere dal “sommerso della Repubblica” la vicenda Sokolov, grazie ai ricordi di Tritto. Va ricordato, infatti, che nulla si dice di Sokolov nel primo volume di “The Mitrokhin Archive” di Christopher Andrew e Vasilij Mitrokhin (1999). Per una ricostruzione del ruolo di Sokolov in relazione al caso Moro, rimandiamo alla estesa trattazione dell’argomento svolta nel volume di Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, “Doveva morire”, 2008 (pp. 217-234) e, per una divergente valutazione, ai volumi di Vladimiro Satta, “Il caso Moro e i suoi falsi misteri”, 2006 (pp. 33-42) e Giuseppe De Lutiis, “Il golpe di via Fani”, 2007 (pp. 207-209). Questi ultimi due autori propendono per una sostanziale estraneità di Sokolov al caso Moro.
È in questo ambito che il vice presidente della Commissione Stragi, senatore Vincenzo Manca, legge, quasi integralmente, la parte dattiloscritta della lettera del 17 marzo 1981 (vi veda sopra) inviata da Rota alla Commissione Moro, sollevando il caso delle possibili “presenze” sovietiche nel caso Moro.
Qui di seguito riportiamo alcuni dei passi più significativi della discussione che si svolse in quella giornata:
“MANCA. Avevo preparato una serie di domande con un certo ordine ma dopo che il dottor Priore ci ha letto la lettera del prof. Tritto porrei al primo posto una domanda riguardante una lettera che è pervenuta alla Commissione di inchiesta sulla strage di via Fani nel 1983 nella quale si parla di un collegamento diretto tra le Brigate rosse e persone che conoscono la lingua russa”.
[È la lettera, più volte citata, di Rota del 17 marzo 1981, qui erroneamente datata 1983].
[…].
“Alla luce di quanto da lei affermato credo che questa lettera diventi ancora più importante di quanto non si possa pensare e ovviamente il tutto è avvenuto a seguito dei barlumi emersi dal dossier Mitrokhin, altrimenti neanche a me sarebbe venuto in mente. Dottor Priore, lei conosceva l’esitenza di questa lettera?.
PRIORE. Sì, conosco l’esistenza di questa lettera proprio perché ho letto molte volte la relazione Valiante. Devo essere sincero però: in questo momento non ne ricordavo il contenuto. Ricordavo che c’era stato un diplomatico, Rota è un diplomatico, che aveva fatto un esame dei messaggi delle Brigate rosse su cui però non posso dare un giudizio.
MANCA. Ma non le sembra che vi sia contiguità tra tutto quello che ha detto Mitrokhin, quello che ha detto lei stasera con la lettura della lettera del prof. Tritto e quello di cui io ho parlato?
PRIORE. In questo caso però, come si dice in termini giuridici, ci sarebbe un vero e proprio concorso, mentre con riferimento a questo personaggio, allo stato attuale, possiamo dire che potrebbe al massimo essere un osservatore, una persona il cui servizio conosce già quello che sta per accadere in Italia. Questo mi ricorda moltissimo quello che è stato appurato in un’altra inchiesta che il Presidente conosce a menadito, cioè quella dell’ufficio istruzione di Milano, dalla quale emerge che i servizi statunitensi conoscevano per filo e per segno quello che stava per accadere in Italia. Il Presidente ricorda che si parlava di stragi e di un teste o di un imputato (non ricordo che veste avesse)…
[…].
MANCA. Mi scusi, dottor Priore, il professor Tritto che ha inviato a lei la lettera in pratica ha il sospetto adesso che il sequestro Moro fosse avvenuto anche mercè l’azione, l’interessamento e l’attività di questo ragazzo. Egli ha avuto questo sospetto.
PRIORE. No. Quest’ulteriore passaggio non lo colgo.
MANCA. Supponiamo che non sappiamo nulla. Lei ci legge quella lettera e ci parla di uno studente sovietico, funzionario del KGB. Io le leggo una lettera in cui si dice che addirittura per i primi due messaggi vi sono delle prove. Diventa logico pensare all’ipotesi che questo ragazzo potesse aver preso parte direttamente, se non altro dietro le quinte, al sequestro e addirittura fosse stato l’estensore dei primi due messaggi. Vedo una logica anche da semplice persona.
PRESIDENTE. Scusi senatore Manca. Dottor Priore, voi avete avuto l’impressione che i comunicati delle BR non siano stati scritti da Moretti?
PRIORE. Mi scusi Presidente, volevo rispondere prima alla domanda del senatore Manca. I documenti di cui siamo in possesso con ci permettono di compiere questo ulteriore salto. Allo stato non mi sembra che logicamente sia sostenibile l’esistenza del cosiddetto concorso. Tuttavia mi sembra fisiologico che un servizio segreto di primo rango, come il Kgb, debba seguire tutto quello che succede negli altri paesi. Non mi meraviglia che i servizi statunitensi o quelli sovietici seguissero da vicino le vicende del nostro terrorismo, come abbiamo letto nell’inchiesta di Milano e come potrebbe emergere dalle note in nostro possesso.
MANCA. Concordo con lei. Comunque rimane sempre valido il mio passaggio logico, che è poi quello del professor Tritto, che altrimenti non si sarebbe rivolto a lei adesso, dopo la pubblicazione dell’archivio Mitrokhin. Allo stato degli atti non possiamo dire che esiste questo concorso, ma certamente è una pietra del mosaico.
PRIORE. Devo ricordarvi che personalmente non sono più titolare di alcuna inchiesta e quindi non mi è dato di esprimere giudizi su questi atti.
PRESIDENTE. Ho letto tutti i comunicati delle Brigate rosse e l’idea che siano stati scritti in un italiano tradotto dal russo, ipotesi avanzata anche da Delfino nel suo libro di memorie [“La verità di un generale scomodo”, 1998], per la verità mi è sempre sembrata una grossa sciocchezza. Conoscendo infatti le pubblicazioni delle Brigate rosse so che esse si esprimono nel loro linguaggio.
MANCA. Mi scusi Presidente, ma Delfino è un ufficiale dei Carabinieri e per quanto brillante non può avere le conoscenze di questo signore.
PRESIDENTE. Il problema è che una analisi testuale dovrebbe dimostrare quali e quante frasi del primo o del secondo comunicato delle Brigate rosse non appartengono al linguaggio delle stesse. Non si specificano le frasi.
MANCA. In allegato viene specificato. Io ho riassunto il tutto per brevità, perché sono schiavo dei cinque minuti da lei concessi.
PRESIDENTE. Tuttavia dire che “smascheramento del nemico imperialista” è una frase che Moretti non poteva scrivere, a me sembra una piccola forzatura. […]“.
Da questo punto in avanti la discussione si esaurisce però rapidamente e prende altre strade. Il “dossier Rota” precipita di nuovo nell’oblio.
Si noti la prudenza manifestata da Priore (che pure conosceva le analisi di Rota), che preferisce “sospendere il giudizio”. Sorprende invece, negativamente, dispiace dirlo, la posizione assunta dal presidente Pellegrino, che quasi infastidito dalle questioni sollevate dal vicepresidente Manca, qualifica come “una grossa sciocchezza” l’analisi di Rota. Dimenticando, tra le altre cose, che il diplomatico aveva ipotizzato una derivazione dal russo dei due soli primi comunicati delle Brigate rosse. Rota aveva fatto, nella sua analisi (all’opposto di quanto sembra ritenere Pellegrino), proprio un elenco di 27 parole o espressioni, appositamente numerate, che a suo parere derivavano direttamente dal linguaggio ideologico sovietico. Inoltre, la frase “smascheramento del nemico imperialista” non figura affatto né tra le 27 espressioni numerate, né tra le altre non numerate, analizzate da Rota nelle sue due relazioni. Quella citata da Pellegrino è semplicemente una frase che Rota ha trascritto nel frontespizio della sua “Relazione lunga”, cioè negli “Stereotipi del linguaggio comunista sovietico” (si veda la I Parte). La citazione completa è la seguente: “Nello smascheramento del nemico imperialista, … noi adoperiamo un linguaggio grigio e piatto, stereotipato sul piano emotivo …”, ed è tratta dalla rivista comunista sovietica “Politicescoe Samobrasovanie” (”Autodidattica politica”) del luglio 1977 (p. 45). In questo caso non c’erano di mezzo i comunicati brigatisti, ma solo gli “stereotipi” del linguaggio sovietico, esplicitamente menzionati in una rivista politica appartenente a quell’universo ideologico.
In questo frangente, Pellegrino ha preso evidentemente un piccolo granchio, andando probabilmente a memoria si è ricordato di una frase “sbagliata”, dimenticando le 27 frasi “giuste”.
– 58a seduta della stessa Commissione Stragi, tenutasi il 24 novembre 1999 (audizione del magistrato Ferdinando Imposimato). Per il testo integrale si veda
http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno58.htm.
Le analisi di Rota fanno una nuova e ancor più fugace apparizione. Questa seduta è dedicata all’audizione del magistrato Ferdinando Imposimato, giudice istruttore nei processi Moro 1 e 2 (fino al 1984). È ancora il vice presidente Vincenzo Manca a sollevare il caso delle analisi di Rota; ma in questa audizione la discussione è brevissima e cade rapidamente. Le parti salienti sono le seguenti:
“MANCA. Come interpreta quella ipotesi che è stata avanzata da un diplomatico italiano che conosceva bene la lingua russa………………..
IMPOSIMATO. Si tratta di Rota.
MANCA. Costui sostiene che i primi 2 comunicati delle Brigate rosse fossero stati scritti originariamente in russo e poi tradotti in italiano in quanto la forma del periodo a suo avviso non era quella italiana, ma tipica della lingua russa. Qual è la sua opinione in proposito?
IMPOSIMATO. In proposito ho qualche perplessità. La tesi di Rota era molto suggestiva, costui faceva delle considerazioni, delle analisi …
MANCA. Lo conosceva?.
IMPOSIMATO. No, ho letto le sue dichiarazioni nei verbali anche perché ero incuriosito dalla questione dello studente [si tratta di Sergey (o Sergeij) Sokolov]. Nel verbale c’è anche il riferimento a questa vicenda, tuttavia non mi sembra che si trattasse di dati obiettivi. Rota probabilmente ha fatto una deduzione logica; era un diplomatico che ha fatto l’esperto semantico. Può darsi che quanto ebbe a sostenere fosse vero, tuttavia era difficile attribuire una rilevanza a questi fatti, secondo me c’erano altri elementi che portavano al KGB e ai servizi segreti dell’est. Mi riferisco alle dichiarazioni di molti terroristi che io stesso ho ascoltato e tra i quali c’era anche Rosanna Mangiameli, la quale ha riferito del viaggio effettuato in estremo Oriente da Maurizio Folini, detto “Armando” …
[…].
PRESIDENTE. Di queste cose noi avevamo notizia. Personalmente mi è capitato di leggere alcuni documenti intorno alla vicenda di “Corto Maltese”, ecco perché non ho mai dubitato e non ho trovato sorprendenti né le carte cecoslovacche, né quelle del dossier Mitrokhin. Infatti, non ho mai creduto all’idea che le Brigate rosse fossero il cubo di acciaio impermeabile di cui parlava Gallinari; penso comunque che le Brigate rosse siano state un fenomeno italiano; che fossero rosse ed anche che i comunicati se li scrivessero da soli perché non avevano bisogno che venissero scritti in russo per poi farseli tradurre in italiano. Tuttavia, sono convinto che almeno alcuni degli uomini delle Brigate rosse avessero una serie di rapporti …”.
Anche Imposimato però non sembra avere una conoscenza di prima mano delle analisi di Rota, il quale ha proposto una interpretazione, controversa fin che si vuole, ma che difficilmente si può etichettare come una “deduzione logica”. Il presidente Pellegrino ribadisce la sua contrarietà ad una origine “aliena” dei comunicati delle Brigate rosse; ma gli “ottusi servitorelli” sembrano provenire da un universo linguistico non propriamente italiano.
2003
– Vladimiro Satta, “Odissea nel caso Moro. Viaggio controcorrente attraverso la documentazione della Commissione Stragi”, EDUP.
Vladimiro Satta ha lavorato, dal 1989 al 2001, come archivista della Commissione Stragi, ed è pertanto in una posizione privilegiata per conoscere la sterminata documentazione accumulata sia da questa Commissione (qualcosa come 1 milione e mezzo di pagine), sia dalla precedente Commissione Moro, e anche di altre Commissioni parlamentari. Anche se non si condividono le conclusioni che l’autore trae in questo e nel suo libro successivo (”Il caso Moro e i suoi falsi misteri”, 2006) occorre riconoscere che i libri di Satta sono ricchissimi di puntuali rinvii alla documentazione di base su tutte (o la gran parte) delle questioni controverse del caso Moro.
L’ “Odissea” di Satta, che è un vero e proprio trattato enciclopedico sul caso Moro, è un importante contributo pubblicato nel 25esimo anniversario del sequestro del presidente della Dc, e continua ad essere tra i volumi più dibattuti negli ultimi anni. Scrive Satta (p. 210):
“Altrettanto fallimentari […] furono gli sforzi di ricavare indizi di valore investigativo attraverso lo studio del lessico dei comunicati dei terroristi. Pertanto diventa superfluo, oggi, rivisitare in dettaglio le analisi prodotte all’epoca, anche sulla grande stampa, da numerosi esperti. [nota 604] Solamente, occorre ricordare che qualche tentativo è stato fatto più tardi pure dalla Commissione Stragi, specialmente ad opera del senatore Manca e del deputato Fragalà. Il senatore Vicepresidente della Stragi, infatti, ha riproposto le ipotesi di derivazione dalla lingua russa che già il rappresentante diplomatico Rota aveva segnalato all’attenzione della Commissione Moro, la quale tuttavia aveva formulato un giudizio negativo sul valore del contributo analitico ricevuto. [nota 605] […] Il Presidente Pellegrino, personalmente, si è dichiarato scettico in linea di principio su queste analisi di tipo linguistico, e favorevole invece a quelle contenutistiche e culturali. [nota 609]“.
Note al quarto capitolo (p. 254):
[nota 604]: “Tra questi: Gianluigi Beccaria, Maurizio Dardano, Tullio De Mauro, nonché giornalisti poliglotti come Arrigo Levi”.
[nota 605]: “Il testo elaborato dal dott. Rota è reperibile in C[ommissione] P[arlamentare] M[oro], Vol. 121, pagg. 221-seguenti. Per le valutazioni della Commissione Moro in materia, si veda in: CPM, “Relazione”, Vol. 1, pag. 127. Per gli interventi di Manca, si confrontino i seguenti resoconti stenografici della Commissione Stragi: n. 56, 10/11/99, pagg. 2524-7; e n. 58, 24/11/99, pag. 2605.
[…]“.
[nota 609]: “Emblematiche, in tal senso, le sue dichiarazioni in C[ommissione] P[arlamentare] S[tragi], “Steno”, n. 57, 11/11/99, pagg. 2576-7. ‘È una lettura a cui non ho mai creduto (…) Si tratta di un errore’, egli ha detto, e riferendosi alla recente rivendicazione dell’omicidio D’Antona, ha indicato quale modello alternativo da seguire proprio il lavoro della Stragi: ‘La nostra Commissione ha resistito a queste tentazioni, abbiamo fatto un’analisi attenta di quel documento (e) abbiamo individuato anche l’area di quella cultura: BR-P.C.C. toscano. E mi pare che le indagini ci stanno dando ragione’”.
Satta, alla nota 604 si riferisce ad almeno due articoli pubblicati rispettivamente dal linguista Tullio De Mauro, su “Paese Sera”, il 20 marzo 1978, e dall’allora direttore della “Stampa”, Arrigo Levi, sul suo giornale, il 21 marzo 1978. Levi riprendeva, commentandolo, proprio l’articolo di De Mauro del giorno precedente. Non abbiamo identificato gli estremi bibliografici dei contributi di Gianluigi Beccaria e Maurizio Dardano non esplicitamente citati da Satta.
Satta, pur aderendo alle conclusioni della Relazione di maggioranza della Commissione Moro (si veda sopra), ha avuto il merito non indifferente, dopo un assordante silenzio durato 20 anni nella storiografia del caso Moro, di segnalare, finalmente, dove si poteva reperire lo studio integrale formulato da Renzo Rota.
Dato a Satta quel che è di Satta, va comunque notato che neppure questo studioso ha prodotto una qualche analisi critica degli scritti di Rota. Si è limitato infatti (”fidandosi”), a sottoscrivere quanto si trova scritto nella Relazione di maggioranza della Commissione Moro, più sopra richiamata e criticata, senza aggiungere un suo contributo originale. Naturalmente ciò è legittimo, ma lascia il problema irrisolto ed esattamente allo stesso punto nel quale si trovava 20 anni prima.
Per quanto riguarda le osservazioni di Pellegrino, non ci sembra che le analisi di tipo “linguistico-politiche” formulate da Rota siano necessariamente in conflitto con quelle di taglio “contenutistico”; ci paiono anzi complementari.
2004
– Rocco Turi, “Gladio Rossa: una catena di complotti e delitti, dal dopoguerra al caso Moro”, Marsilio.
L’autore, sociologo e giornalista, nella prima parte del libro (”Ex partigiani in azione”) sviluppa una originale ricerca storica basata in gran parte su documenti inediti degli archivi diplomatici italiani. Questa parte del libro si occupa principalmente degli ex partigiani comunisti rifugiatisi in Cecoslovacchia nell’immediato dopoguerra, della formazione dell’apparato di propaganda riunito intorno a “Radio Oggi in Italia” (una sezione clandestina di Radio Praga), e delle scuole di sabotaggio e terrorismo. La seconda parte del volume (”Ipotesi intorno all’eredità brigatista”) è di natura più “speculativa” e riguarda una possibile ricostruzione del sequestro Moro in relazione con la “pista cecoslovacca”.
È proprio nella sezione intitolata “La «pista cecoslovacca»”, che fa parte del capitolo “Chi sapeva?”, che viene evocata l’analisi di Rota (p. 220):
“Nonostante i dubbi che l’onorevole Franco Franchi e il senatore Michele Marchio tentarono di seminare fra i colleghi della Commissione parlamentare [Moro, 1979-83], la ricostruzione dei fatti operata dalla Commissione apparve riduttiva e superficiale. Franchi e Marchio, ad esempio, stigmatizzarono la mancata audizione del diplomatico Rota, illustre sovietologo, esperto nel linguaggio del Pcus:
‘Poiché la Commissione, assurdamente, ha respinto le nostre reiterate richieste di ascoltare il dottor Renzo Rota, pubblichiamo il suo studio trasmesso a tutti i membri della Commissione [nota 13]‘.
Franchi e Marchio citarono, anche, un elenco di cittadini italiani che avrebbero frequentato corsi di addestramento politico e di terrorismo in Urss, Cecoslovacchia, Cuba e Albania [nota 14]. La conoscenza di questi fatti, sarebbe dovuta bastare a rivedere tutte le conclusioni ufficiali sul caso Moro [nota 15] ma il lavoro della Commissione parlamentare fu sempre trascurato e confuso. I suoi membri non riuscirono a esprimere un’autonomia politica e intellettuale rispetto alle preclusioni e prevenzioni dei loro rispettivi partiti”.
[note, p. 246]
[nota 13]: “Relazione di minoranza sul caso Moro, p. 66″ [si veda sopra la trascrizione del testo qui citato].
[nota 14]: “Argomento rimasto ancora un rigido tabù politico”.
[nota 15]: “Nella relazione presentata, il dottor Rota teorizzò una responsabilità ideologica e culturale sovietica nell’attività delle Br.”.
Rocco Turi è l’unico autore, tra coloro che si sono occupati del caso Moro, che esprime un giudizio positivo sulle analisi di Rota. Un lettore comune avrebbe però ancora qualche difficoltà a localizzare con precisione i testi di Rota, ai quali potrebbe risalire indirettamente attraverso la nota 13. Il “dossier Rota” completo, reso pubblico nel vol. 121 (1995) degli atti della Commissione Moro, gli rimarrebbe però ancora precluso.
2007
– Giuseppe De Lutiis, “Il golpe di via Fani”, Sperling & Kupfer.
L’autore è uno studioso dei servizi segreti e dei poteri occulti. La citazione di Rota si trova nella nota 58 di p. 291, che rimanda alla p. 224. Quella pagina fa parte del capitolo 11 (”I legami con l’Europa orientale: l’ombra di Jalta”). Questo capitolo è dedicato ad una discussione della “pista orientale” in relazione al caso Moro. Nella sezione finale del capitolo, l’autore prende in considerazione alcune tesi proposte nel libro del generale dei carabinieri Francesco Delfino, “La verità di un generale scomodo”, 1998 (si vedano sopra, all’anno 1999, altre discussioni riguardanti questo libro). Delfino, che non si è mai occupato direttamente del caso Moro, attraverso un espediente narrativo, immagina che in un computer siano memorizzati quattro file. Il “secondo file” è quello che ci interessa direttamente. Il testo all’inizio della p. 224 del libro di De Lutiis è il seguente:
“Nel secondo file [‘uno scrittore che si appresta a trattare l’argomento’, ossia il caso Moro] legge alcune frasi tratte dai primi due comunicati delle Brigate rosse durante il sequestro Moro e, dall’analisi di alcuni vocaboli usati, ipotizza che i comunicati siano stati tradotti, male, dal russo. Egli insomma ipotizza che i documenti delle Br in quel periodo siano stati scritti in Unione Sovietica [nota 58]“.
[p.291, note al capitolo 11]
[nota 58]. “L’ipotesi era già stata avanzata in sede di Commissione Moro. Il diplomatico Renzo Rota, già primo consigliere dell’ambasciata italiana a Mosca dal 1965 al 1972, inviò alla Commissione Moro un suo ponderoso studio dal quale – secondo la valutazione dell’autore – emergeva che la parte ideologica del primo messaggio delle Brigate rosse e l’intero secondo messaggio dovevano essere considerati redatti da una persona che aveva «la preparazione politica, l’orecchio politico, il gusto politico» propri dei comunisti sovietici. Cfr. “Commissione Moro”, vol. I, p. 127″.
De Lutiis sembra cautamente approvare lo scenario delineato da Delfino, il quale proponeva una riflessione sul cosiddetto “Grande Vecchio” e su una ipotizzata convergenza di opposti interessi tra Stati Uniti, Unione Sovietica e Israele nei confronti dell’Italia, vaso di coccio nella tempesta del terrorismo internazionale. A farne le spese però è ancora una volta Renzo Rota. Infatti, il rimando bibliografico della nota 58 manda in corto circuito il testo di pagina 224 e il “secondo file” immaginato da Delfino, in quanto si richiama alla qui più volte citata pagina 127 della Relazione di maggioranza della Commissione Moro (1983), che esprime un giudizio del tutto negativo sul contributo di Rota. Inoltre, con quel solo rimando bibliografico si preclude al lettore, ancora una volta, la possibilità di consultare quanto Rota ha effettivamente scritto.
2008
– “Critica Sociale”, n. 1/2.
Il periodico “Critica sociale”, un’antica rivista fondata da Filippo Turati nel 1891, dedica in parte il numero 1/2 del 2008 ad “Aldo Moro. Trenta anni dopo” (pp. 4-71). A pagina 38 è pubblicata parzialmente la lettera di Rota del 17 marzo 1981 e integralmente la “Relazione breve” dello stesso Rota (pp. 41-46). Nella prima pagina dell’indice, la didascalia alla copertina recita quanto segue:
“Nel 1995 Critica Sociale pubblicava per la prima volta in un volume le lettere di Aldo Moro con il titolo “Lettere dal Patibolo”. L’edizione è stata curata da Bettino Craxi dall’esilio in Tunisia che, oltre alle missive del prigioniero, volle allegare anche i comunicati delle BR con uno studio filologico a cura del prof. Renzo Rota, già Primo Consigliere dell’Ambasciata italiana a Mosca dal 1965 al 1972. Il libro è aperto da un’anonima “Introduzione” che Craxi volle mantenere tale per le circostanze in cui egli stesso si trovava”.
– Stefano Grassi, “Il caso Moro. Un dizionario italiano”, Mondadori.
L’autore, un giornalista che ora lavora al “Giorno”, dopo aver scritto per “la Repubblica” e “Il Foglio”, ha pubblicato un voluminoso tomo enciclopedico (di oltre 800 pagine), ordinato alfabeticamente. Il diplomatico Renzo Rota è citato in due voci.
Alla voce “Rota, Renzo” (pp. 619-620) si legge:
“Rappresentante diplomatico italiano in Unione Sovietica. Propone alla Commissione stragi una rilettura dei comunicati redatti dalle Brigate rosse durante il sequestro Moro, come strettamente derivanti dalla lingua russa e dal lessico burocratico del Pcus. La commissione formula, però, un giudizio negativo sul valore del contributo analitico”.
Alla voce “Franchi, Franco” (p. 286), troviamo scritto:
“Parlamentare del Movimento sociale italiano. Membro della Commissione Moro. Autore, con Michele Marchio, di una relazione di minoranza cui è allegato uno studio di Renzo Rota, primo consigliere dell’ambasciata italiana a Mosca, che tenta di dimostrare la derivazione del linguaggio dei comunicati brigatisti dalla corrente pubblicistica politica sovietica”.
Data la considerevole mole del volume di Grassi, è comprensibile che l’autore non sia riuscito a tenere sotto controllo tutti i numerosissimi rimandi incrociati che si intrecciano nella sua opera. Così, nella prima voce, si fa approdare Rota alla Commissione Stragi ma, come si è visto, Rota inviò il suo “dossier” alla Commissione Moro nel marzo 1981, sette anni prima che fosse istituita la Commissione Stragi. Nella seconda voce, invece, il contributo di Rota è segnalato correttamente come allegato alla Relazione di minoranza di Franchi e Marchio (1983) della Commissione Moro (si veda sopra). Inoltre, va ricordato che Rota ipotizzò che solo i primi due comunicati delle Brigate rosse (del 18 e 25 marzo 1978) fossero stati scritti, almeno in parte, da un “ideologo” del Partito comunista sovietico. Si può notare infine, che l’ultima frase della prima voce riprende alla lettera il testo di Satta pubblicato alla pagina 210 del suo “Odissea nel caso Moro” (2003), sopra citato.
I comunicati delle Brigate rosse e la “filologia politica” di Renzo Rota: una cronologia essenziale (1978-2008)
III.
Qui di seguito proponiamo uno schematico riassunto cronologico degli “eventi” che in qualche modo (direttamente o indirettamente) riguardano il “dossier Rota”. Opportuni richiami rimandano ai testi trascritti nella precedente II Parte.
• 16 marzo 1978: eccidio di via Fani e sequestro di Aldo Moro.
• 18 marzo 1978: comunicato n. 1 delle Brigate rosse, con allegata una foto di Aldo Moro.
• 25 marzo 1978: comunicato n. 2 delle Brigate rosse.
• 27-29 marzo: il diplomatico Renzo Rota stende una prima breve relazione, di 9 pagine, sui due comunicati delle Brigate rosse e la invia “a chi di dovere” (è resa pubblica nel vol. 2, 1983, pp. 221-229; e nel vol. 121, 1995, pp. 224-232, come allegato 1, degli atti della Commissione Moro).
• 29 marzo 1978: comunicato n. 3 delle Brigate rosse, con la lettera al ministro dell’Interno Cossiga.
• 4 aprile 1978: comunicato n. 4 delle Brigate rosse.
• 10 aprile 1978: comunicato n. 5 delle Brigate rosse.
• 15 aprile 1978: comunicato n. 6 delle Brigate rosse.
• 18 aprile 1978: comunicato n. 7 (falso) attribuito alle Brigate rosse; annuncia che il cadavere di Moro si trova nel lago della Duchessa.
• 20 aprile 1978: comunicato n. 7 (vero) delle Brigate rosse, con una foto di Aldo Moro che mostra una copia del quotidiano “la Repubblica” del giorno precedente.
• 24 aprile 1978: comunicato n. 8 delle Brigate rosse; con la richiesta della liberazione di 13 detenuti.
• 5 maggio 1978: comunicato n. 9 (ultimo) delle Brigate rosse, con il tragico gerundio che preannuncia l’imminente esecuzione di Aldo Moro (”eseguendo la sentenza”).
• 9 maggio 1978: il cadavere di Aldo Moro è fatto ritrovare nel bagagliaio di una Renault 4 in via Caetani, una laterale di via delle Botteghe Oscure, sede del Partito comunista italiano, non molto distante anche da piazza del Gesù, sede della Democrazia cristiana.
• 23 novembre 1979: con la legge n. 597 è istituita la “Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia”; la commissione si insedia il 10 gennaio 1980.
• 17 marzo 1981: il diplomatico Renzo Rota fa pervenire alla Commissione Moro, allora presieduta dal senatore Dante Schietroma, le sue analisi dei comunicati delle Brigate rosse e del sequestro di Aldo Moro (4 allegati). Il voluminoso “dossier” è accompagnato da una lettera (dattiloscritta e manoscritta) che illustra brevemente il contenuto degli allegati; nella parte manoscritta Rota manifesta il timore per possibili rappresaglie, da parte del KGB, nei riguardi della sua famiglia (per tutti i testi citati si veda la I Parte).
• primavera 1981 – primavera 1983: Rota NON è convocato dalla Commissione Moro.
• 28 giugno 1983: la “Commissione Moro” conclude i suoi lavori. Nella “Relazione di maggioranza”, approvata dai commissari di Dc, Pci, Pdup e Sinistra indipendente della Camera, l’analisi di Rota è rigettata in tre righe scarse (vol. 1, p. 127; per il testo si veda la II Parte).
• la “Relazione breve” e la “Relazione lunga” di Rota sono pubblicate tra le “Relazione di minoranza” della Commissione Moro, e precisamente nella “Relazione di minoranza del deputato Franco Franchi e del senatore Michele Marchio (Gruppo parlamentare del MSI-DN)” (vol. 2, 1983, allegato 7, pp. 221-229 e 231-366, rispettivamente).
• nella “Relazione di minoranza del deputato Leonardo Sciascia (Gruppo parlamentare radicale)” (vol. 2, 1983, p. 410), l’autore, con toni molto critici, respinge la possibile derivazione da una lingua straniera dei comunicati delle Brigate rosse (per il testo si veda la II Parte). Sciascia sembra riferirsi ad articoli di stampa apparsi nell’ultima decade di marzo 1978 e forse anche alle analisi di Rota; il nome del diplomatico, tuttavia, non compare nel suo scritto.
• 1983-1994: una coltre di silenzio si stende sulle analisi di Rota.
• 1995: un piccolo spiraglio sullo studio di Rota si apre in un libro che raccoglie le lettere di Aldo Moro dalla prigionia. Nel volume, intitolato “Lettere dal patibolo” (pubblicato nella collana “I Quaderni” supplemento del periodico “Critica sociale”), è trascritto il testo italiano della “Relazione breve” di Rota. Questo libro deve aver avuto però limitatissima circolazione e fa parte della compagine dei volumi “clandestini”.
• 1995: i testi che Rota aveva inviato alla Commissione Moro il 17 marzo 1981 sono pubblicati integralmente nel vol. 121 degli atti della Commissione Moro (pp. 221-376; il “dossier” compare sotto il titolo generale “Analisi dei messaggi delle Brigate rosse inviata alla Commissione dal dottor Renzo Rota”; per i dettagli sui quattro allegati e la lettera di accompagnamento si veda la I Parte).
• 1996-1998: persiste il silenzio sulle analisi di Rota.
• 17 febbraio 1999: 47a seduta della Commissione Stragi (audizione del senatore Luciano Barca). Nel corso di questa seduta, l’on. Enzo Fragalà, pur non citando direttamente Renzo Rota, solleva il problema delle “stranezze terminologiche” che sarebbero presenti nei primi comunicati delle Brigate rosse, insistendo in particolare sull’espressione “camera gerarchica”, evocata nel libro autobiografico del generale dei carabinieri Francesco Delfino (”La verità di un generale scomodo”, 1998; si veda anche sotto). Fragalà incorre però in un equivoco terminologico, poiché l’espressione che si trova nel comunicato n. 1 delle Brigate rosse (del 18 marzo 1978) non è “camera gerarchica” bensì “catena gerarchica”. La discussione si arena perciò rapidamente (per il testo dell’audizione si veda la II Parte).
• 17 marzo 1999: 50a seduta della Commissione Stragi (audizione di Alberto Franceschini). Nel corso di questa seduta, l’on. Enzo Fragalà ripropone lo stesso tema dell’audizione del 17 febbraio; anche in questa circostanza non è richiamato Rota. Franceschini, pur ritenendo “interessante” la tematica sollevata da Fragalà, non si sofferma più di tanto sul problema strettamente linguistico, che considera solo un “pretesto”. La discussione specifica, che pure aveva registrato un qualche consenso, si disperde rapidamente nella più vasta questione delle interferenze dei servizi segreti orientali e occidentali nel caso Moro (per il testo dell’audizione si veda la II Parte).
• 11 ottobre 1999: l’ufficio di presidenza della Commissione Stragi rende pubblica la traduzione italiana del “Rapporto Impedian”, comunemente noto come “dossier Mitrokhin”, ossia i 261 “report” (o schede) che i servizi segreti britannici inviarono al Sismi tra il 1995 e il 1999. Le informazioni del “dossier Mitrokhin” provengono dalla documentazione trascritta, tra il 1972 e il 1984, dall’archivista del KGB Vasilij Mitrokhin (1922-2004), rifugiatosi in Gran Bretagna nel 1992 con il suo voluminoso “Archivio Mitrokhin”. (Per la discussione del caso del “borsista” sovietico Sokolov, che frequentava le lezioni di Moro all’Università “La Sapienza” nei primi mesi del 1978, fino al 15 marzo, si veda la II Parte).
• 10 novembre 1999: 56a seduta della Commissione Stragi (audizione del magistrato Rosario Priore, giudice istruttore, fin dal 13 maggio 1978, nei processi dal Moro 1 al Moro 4, fino al 1990). In questa seduta fanno capolino le analisi di Rota. Il vice presidente della Commissione, senatore Vincenzo Manca, legge stralci dalla lettera del 17 marzo 1981 inviata da Renzo Rota alla Commissione Moro, sollevando il caso delle possibili “presenze” sovietiche nel caso Moro. La discussione si esaurisce però rapidamente (per il testo dell’audizione si veda la II Parte).
• 24 novembre 1999: 58a seduta della Commissione Stragi (audizione del magistrato Ferdinando Imposimato, giudice istruttore nei processi Moro 1 e 2, fino al 1984). Le analisi di Rota fanno una nuova e fugace apparizione. È ancora il vice presidente Vincenzo Manca a sollevare il caso delle analisi di Rota; ma anche in questo frangente la discussione è brevissima e cade rapidamente (per il testo dell’audizione si veda la II Parte).
• 11 novembre 1999: articolo di Gianluigi da Rold sul “Giornale”, che discute le analisi di Rota e nel quale è riprodotto l’originale della prima pagina della “Relazione breve” del 1978 (l’autore rimanda alle relazioni di minoranza della Commissione Moro del 1983).
• marzo 2003: Vladimiro Satta, nel suo libro “Odissea nel caso Moro”, un importante studio sul caso Moro, pur facendo sue le conclusioni della “Relazione di maggioranza” del 1983, cita con precisione il “dossier” di Rota e permette ai lettori, per la prima volta, di localizzarlo nel vol. 121 degli atti della Commissione Moro (per il testo si veda la II Parte).
• marzo 2004: breve accenno al “dossier” di Rota nel libro di Rocco Turi, “Gladio Rossa”; è l’unico autore che esprime un giudizio positivo su lavoro di Rota (per il testo si veda la II Parte).
• settembre 2007: altro breve accenno a Rota nel libro di Giuseppe De Lutiis, “Il golpe di via Fani” (p. 291, nota 58, che rimanda alla p. 224, “secondo file”). La citazione di Rota compare nel contesto della discussione su alcune tesi proposte nel libro del generale dei carabinieri Francesco Delfino, “La verità di un generale scomodo” (1998). Ma il rimando bibliografico che fa De Lutiis è alla Relazione di maggioranza della Commissione Moro (vol. I, 1983, p. 127) da cui però non si risale alle relazioni originali di Rota (per il testo si veda la II Parte).
• inizio primavera 2008: sul numero 1/2 del periodico “Critica sociale” (un’antica rivista fondata da Filippo Turati nel 1891), in parte dedicato ad “Aldo Moro. Trenta anni dopo” (pp. 4-71), è pubblicata parzialmente la lettera di Rota del 17 marzo 1981 (p. 38) e integralmente la “Relazione breve” dello stesso Rota (pp. 41-46; manca solo un breve paragrafo di tre righe). Questi testi erano già stati pubblicati nel volume “Lettere dal patibolo” (1995), che raccoglieva parte dell’epistolario di Aldo Moro.
• marzo 2008: nel voluminoso tomo enciclopedico di Stefano Grassi, “Il caso Moro. Un dizionario italiano”, Mondadori, compare una breve voce (con alcune “imprecisioni”) dedicata a Renzo Rota (pp. 619-620, in tutto 6 righe). All’interno della voce dedicata a “Franco Franchi” (p. 286), fa capolino lo “studio di Renzo Rota”, come allegato ad una delle “Relazioni di minoranza” della Commissione Moro. In questo caso l’accenno a Rota è “quasi” corretto (per il testo si veda la II Parte).
Bibliografia citata
COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione Moro
Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia (Legge 23 novembre 1979, n. 597), Doc. XXIII, n. 5, Roma 1983-1995, 130 voll. + 2 indici.
vol. 1 (1983): “Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia”, pp. 1-203 (ripubblicata anche in “Dossier delitto Moro”, 2007, si veda sotto).
vol. 2 (1983): “Relazioni di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia”.
– “Relazione di minoranza del deputato Franco Franchi e del senatore Michele Marchio (Gruppo parlamentare del MSI-DN)”.
Allegato n. 7: “La via del K.G.B. La denuncia del diplomatico dottor Renzo Rota, Ministro plenipotenziario”, pp. 219-366, così articolato:
• [Lettera di Renzo Rota al presidente della Commissione Moro Dante Schietroma, Roma 17 marzo 1981 (parte dattiloscritta)], pp. 219-220 (pubblicata anche nel vol. 121).
• [relazione senza titolo = “Relazione breve”], pp. 221-229 (pubblicata anche in vol. 121).
• “Stereotipi del linguaggio comunista sovietico” = “Relazione lunga”, pp. 231-366 (pubblicata anche nel vol. 121).
Allegato n. 8: La via del K.G.B. Il rapporto dei Servizi di sicurezza (”Implicazioni internazionali del terrorismo”), pp. 367-396.
– “Relazione di minoranza del deputato Leonardo Sciascia (Gruppo parlamentare radicale), pp. 397-413 (ripubblicata anche in Sciascia 1983 e 1994, si veda sotto). vol. 121 (1995): “Analisi dei messaggi delle Brigate rosse inviata alla Commissione dal dottor Renzo Rota”, pp. 219-376, così articolata:
• [lettera di Renzo Rota al presidente della Commissione Moro Dante Schietroma, Roma 17 marzo 1981 (versione integrale)], pp. 221-223 (pubblicata parzialmente anche nel vol. 2).
• allegato n. 1: [relazione senza titolo = “Relazione breve”], pp. 224-232 (pubblicata anche nel vol. 2).
• allegato n. 2: “Stereotipi del linguaggio comunista sovietico” [=”Relazione lunga”], pp. 233-368 (pubblicata anche nel vol. 2).
• allegato n. 3: “Esame del messaggio n. 2 nel quadro dei successivi messaggi”, pp. 369-373.
• allegato n. 4: “Dei sovietici hanno ucciso Moro”, pp. 374-376.
Commissione Stragi
Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi (Legge 17 maggio 1988, n. 172, prorogata fino al 2 luglio 1992; ricostituita con Legge 23 dicembre 1992, n. 499, prorogata fino alla conclusione della XIII legislatura, 2001), 26 voll. complessivi.
XIII Legislatura [1996-2001], Disegni di legge e relazioni – Documenti.
“Inchiesta sugli sviluppi del caso Moro”, presidenza di Giovanni Pellegrino.
• 47° Resoconto stenografico della seduta di mercoledì 17 febbraio 1999, audizione del senatore Luciano Barca. Consultabile al sito Internet:
www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno47.htm
• 50° Resoconto stenografico della seduta di mercoledì 17 marzo 1999, audizione del signor Alberto Franceschini. Consultabile al sito Internet:
http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno50a.htm50a
• 56° Resoconto stenografico della seduta di mercoledì 10 novembre 1999, audizione del magistrato Rosario Priore. Consultabile al sito Internet:
http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno56.htm
• 58° Resoconto stenografico della seduta di mercoledì 24 novembre 1999, audizione del magistrato Ferdinando Imposimato. Consultabile al sito Internet:
http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno58.htm
EDIZIONI A STAMPA DI ATTI DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE MORO
• “Dossier delitto Moro”, a cura di Sergio Flamigni, Kaos edizioni (Libertalia), Milano maggio 2007 (alle pp. 57-313 è trascritta integralmente la Relazione di maggioranza della Commissione Moro; si veda sopra).
• Leonardo Sciascia, “L’affaire Moro. Con aggiunta la Relazione Parlamentare”, Sellerio (La memoria, 80), Palermo 1983 (3a ed. 1989); la relazione parlamentare è alle pp. 147-183; altra ed. Adelphi (Piccola biblioteca Adelphi, 332), Milano agosto 1994 (10a ed. novembre 2007), pp. 159-196 (si veda sopra).
• Aldo Moro, “Lettere dal patibolo”, a cura di Simona Bellamio, Milano (I Quaderni [supplemento di] “Critica Sociale”), 159 pp.#
• “Critica Sociale”, n. 1/2, 2008 (A pagina 38 è parzialmente edita la “Lettera di presentazione dello studio filologico redatto dal diplomatico dr. Renzo Rota”, ossia la lettera del 17 marzo 1981; alle pagine 41-46 è pubblicato “Lo studio filologico redatto dal diplomatico Renzo Rota”, ossia la “Relazione breve”; si veda sopra).
“RAPPORTO IMPEDIAN”, ossia “DOSSIER MITROKHIN”
consultabile al sito Internet:
http://www.unknown.it/materiale/mitrokhin.html
per l’edizione a stampa:
• Vassilij Mitrokhin, “Dossier KGB, rapporto Mitrokhin. Tutti i documenti dello spionaggio in Italia”, a cura di Angelo Ruggieri, sapere 2000 edizioni multimediali (Inchieste e proposte 9), Roma, novembre 1999, 252 pp. [Il “dossier” non è stato propriamente scritto da Vasilij Mitrokhin, ma è una compilazione del Secret Intelligence Service britannico, o MI6, sulla base della documentazione trasferita in Gran Bretagna dallo stesso Mitrokhin e proveniente dagli archivi del KGB].
DOCUMENTI DELLE BRIGATE ROSSE
• “Dossier Brigate rosse 1969-1975″, a cura di Lorenzo Ruggiero, Kaos edizioni (Libertalia), Milano aprile 2007, 423 pp.
• “Dossier Brigate rosse 1976-1978″, a cura di Lorenzo Ruggiero, Kaos edizioni (Libertalia), Milano novembre 2007, 528 pp.
STUDI SUL CASO MORO
• Bartali, Roberto, Giuseppe De Lutiis, Sergio Flamigni, Ilaria Moroni, Lorenzo Ruggeri, “Il sequestro di verità. I buchi neri del delitto Moro”, Kaos edizioni (Libertalia), Milano marzo 2008, 265 pp.
• Delfino, Francesco, “La verità di un generale scomodo. Dal banditismo sardo al caso Soffiantini”, Industria Edit. Telematica, Verona 1998, 192 pp.
• De Lutiis, Giuseppe, “Il golpe di via Fani. Protezioni occulte e connivenze internazionali dietro il delitto Moro”, Prefazione di Rosario Priore, Sperling & Kupfer (Saggi), Milano settembre 2007, xl+317 pp.
• Grassi, Stefano, “Il caso Moro. Un dizionario italiano”, Mondadori (Strade blu), Milano marzo 2008, [vi]+829 pp.
• Imposimato, Ferdinando e Sandro Provvisionato, “Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il giudice dell’inchiesta racconta”, chiarelettere (Principio attivo. Inchieste e reportage), Milano febbraio 2008, [xiv]+[397] pp.
• Satta, Vladimiro, “Odissea nel caso Moro. Viaggio controcorrente attraverso la documentazione della Commissione Stragi”, Prefazione di Giovanni Sabbatucci, EDUP (Studi & saggi, 31), Roma marzo 2003, xxxiii+445 pp.
• Satta, Vladimiro, “Il caso Moro e i suoi falsi misteri”, Rubbettino (Storie), Soveria Mannelli maggio 2006, [xi]+514 pp.
• Turi, Rocco, “Gladio Rossa. Una catena di complotti e delitti, dal dopoguerra al caso Moro”, Marsilio (Gli specchi della memoria), Venezia marzo 2004, 345 pp.
GIORNALI
- “Paese Sera”, 19 marzo 1978, Tullio De Mauro, Tentativo di lettura filologica del messaggio BR. Non è come gli altri: sembra tradotto dal francese.
- “La Stampa”, 21 marzo 1978, Arrigo Levi, L’analisi del volantino dei “brigatisti„ trovato a Roma. C’è un’ipotesi latino-americana.
- “il Giornale”, 11 novembre 1999, Gianluigi da Rold, Quei comunicati delle Br copiati dal cirillico.
# testo non consultato direttamente.