Un triangolo nero tra Venezia, Milano e Brescia. Digilio e Soffiati uomini chiave dell’attentato

Se fossero ancora vivi, sarebbero gli unici su cui peserebbe una condanna all’ergastolo. E Brescia, 38 anni dopo, potrebbe scrivere due nomi alla voce «colpevoli» per la strage di piazza della Loggia che il 28 maggio del 1974 uccise otto persone e ne ferì 102. Per i giudici della corte d’assise d’appello – presieduta da Enzo Platè – Carlo Digilio (ex agente della Cia) e Marcello Soffiati, entrambi ordinovisti veneti, hanno giocato un ruolo cruciale nell’organizzazione dell’attentato. Hanno operato rispettivamente come artificiere e fattorino della bomba destinata a Brescia. Le conclusioni emergono nelle 600 pagine di motivazioni della sentenza (giudice relatore Massimo Vacchiano) che lo scorso 14 aprile ha assolto Carlo Maria Maggi, medico mestrino a capo di On nel Triveneto (per l’accusa la mente della strage), Delfo Zorzi (a capo della cellula di Mestre), Francesco Delfino (ex generale dei carabinieri) e Maurizio Tramonte (alias «fonte Tritone» dei servizi segreti). L’epilogo dibattimentale conclude – per ora – una vicenda giudiziaria che conta cinque istruttorie e otto fasi di giudizio. L’ultimo capitolo segna a suo modo una svolta storica riannodando anche le trame delle inchieste precedenti.

La corte smonta le tesi della Procura di Brescia ritenendo non attendibile Digilio, pentito chiave del pilastro accusatorio, morto nel 2005. Nelle sue deposizioni, per la corte, egli altro non faceva se non «prendere le distanze dal tutto ciò che avrebbe potuto indurre un sospetto circa il proprio coinvolgimento nell’attentato». Ecco perché «dunque, ha sostituito se stesso con Zorzi», accusando quest’ultimo di aver procacciato e consegnato su ordine di Maggi l’esplosivo in una valigetta a Marcello Soffiati (morto nel 1988) nella casa cadente tra Mirano e Spinea. Quanto all’ordigno, i giudici danno ragione alla prima perizia Schiavi-Brandone: si trattò di gelignite e non di tritolo. Ma sentenza va oltre: per la corte è stato proprio lui, Digilio, «intraneo al sodalizio di Ordine Nuovo ma con una certa autonomia» a procurarlo. Dove? Non a Mestre, ma alla trattoria «Scalinetto» di Venezia, spesso frequentato da Maggi. A confermare che proprio lì Soffiati l’avrebbe ritirato c’è l’intercettazione ambientale tra Pietro Battiston e Roberto Raho datata 26 settembre 1995: del viaggio avevano appreso dal «nonno» (Digilio) ben prima che egli ne parlasse con gli inquirenti. E non solo l’ex agente della Cia rafforzerebbe la tesi dei giudici «negando sintomaticamente questa confidenza», ma anche mentendo, per esempio, sull’aspetto dei candelotti di gelignite e inventandosi un timer rudimentale, una sveglia, che con le sue competenze ben poco aveva a che fare. Non solo. Per i giudici la migliore dimostrazione «dell’accertata responsabilità di Digilio nel trasporto dell’esplosivo destinato alla strage di Brescia» l’ha offerta proprio lui, tradendosi quando – rispondendo al pubblico ministero – ha dichiarato di aver appreso di una riunione «quando lui (Soffiati) è andato a Venezia a prendere la valigetta con l’esplosivo». Ma per i giudici addirittura «appare più verosimile che sia stato Digilio a recarsi a Venezia, dove abitava». Anche perché in un passaggio l’avrebbe persino ammesso. Non solo. «L’ipotesi che l’esplosivo possa essere stato semplicemente spostato e accantonato non potrebbe del tutto escludersi», ma risulta poco credibile. L’ordigno era diretto a Brescia. Resta il dubbio se, prima di arrivarci, sia passato dalle Sam (Squadre di azione Mussolini) di Milano. E Maggi? «Non è possibile forzare il dato indiziario al punto da affermare che fosse sicuramente il mandante dell’attentato». Neppure se, a fine giugno ’74, disse che «non doveva rimanere un fatto isolato». Per i giudici non è lui il padre della strage di Brescia. Che forse, adesso, ha trovato qualche risposta in più.

Mara Rodella (Corriere della Sera – Brescia – 14-07-2012 – http://brescia.corriere.it/brescia/notizie/cronaca/12_luglio_14/20120714BRE02_31-2011007644437.shtml)