-Era il 30 marzo del 1995. Quando il residente dell’MI6 a Roma consegnò i primi trenta report della fonte Impedian, l’allora direttore della Prima Divisione del Sismi, generale Alberico Lo Faso, si rese subito conto che si trattava di una patata bollente. Impedian era il nome in codice assegnato dal Secret Intelligence Service a Vasili Mitrokhin. Le informazioni contenute nei rapporti Impedian provenivano dalla fonte gestita dal servizio segreto britannico ed erano state vagliate e integrate a Londra e ora – nella logica della cooperazione fra servizi alleati – c’era bisogno dell’aiuto degli italiani per verificare e riscontrare quelle notizie. Anche se le informazioni contenute nei rapporti erano aggiornate al 1984, c’era materia per far esplodere uno scandalo politico-istituzionale senza precedenti. Anche le prescrizioni richieste dall’MI6 misero in serio allarme il direttore della Prima Divisione. Il rappresentante dell’Intelligence Service consegnò all’omologo del Sismi, infatti, una nota di accompagnamento nella quale si evidenziava, fra l’altro, la necessità di assumere precise cautele procedurali nella trattazione del materiale, anche a tutela dell’incolumità della fonte. A Londra non regnava una gran fiducia sull’impermeabilità degli italiani e questo creava qualche preoccupazione.

L’MI6 chiedeva formalmente al Sismi una serie di cautele nella trattazione dei documenti Impedian e cioè: l’indicazione del personale (indottrinato) che avrebbe trattato la pratica, nessuna attività esterna al Sismi se non previa consultazione e autorizzazione da parte britannica, possibilità di interrogare banche dati e archivi nazionali senza mai manifestare i motivi della ricerca. Per Lo Faso, ufficiale con una lunga e provata esperienza, tutte quelle cautele e prescrizioni avevano un solo, chiaro significato: guai in vista. D’altra parte, come poteva sfuggire agli uomini della nostra intelligence che in quel momento – a Palazzo Chigi – governava Lamberto Dini, il tecnico che aveva preso il posto di Silvio Berlusconi dopo il ribaltone della Lega Nord? Il governo Dini, il cosiddetto “governo del Presidente” fortemente voluto da Oscar Luigi Scalfaro. L’allora direttore del Sismi, generale Sergio Siracusa, non poteva certo trascurare il fatto che quei primi trenta report del materiale Impedian erano arrivati in Italia in un momento molto delicato sotto il profilo politico-istituzionale. Dini era in carica dal 17 gennaio 1995. Ma già da marzo era in atto la delicata fase di transizione dal “governo tecnico” alla gestazione e all’avvio dei governi targati Ulivo. C’era una forte spinta (soprattutto di natura istituzionale) per spazzare via la parentesi berlusconiana e spianare la strada al progetto elettorale del professor Romano Prodi. Snodo centrale di questo complesso gioco di equilibri è il Partito della Rifondazione comunista, in quel momento all’opposizione. Fausto Bertinotti e Armando Cossutta, ai quali fa capo la maggioranza del partito, chiedono le elezioni anticipate. Ma proprio a metà marzo, accade qualcosa di inaspettato e drammatico. Il 14 marzo, quindici deputati di Rifondazione votano, infatti, a favore della manovra economica varata dall’esecutivo Dini. I voti dei “dissidenti” saranno fondamentali per mantenere in vita il “governo del Presidente”.
Il 19 giugno 1995, diciannove parlamentari lasciano il Partito della Rifondazione comunista per dare vita al gruppo dei Comunisti unitari. I “ribelli” erano: i deputati Angelo Altea, Valter Bielli, Giuliano Boffardi, Marida Bolognesi, Francesco Calvanese, Rita Commisso, Famiano Crucianelli, Martino Dorigo, Sergio Garavani, Mauro Guerra, Gianfranco Nappi, Roberto Sciacca, Giuseppe Scotto di Luzio, Adriano Vignali e i senatori Angelo Rossi, Rino Serri e Domenico Gallo, nonché gli europarlamentari Luciana Castellina e Luciano Pettinari. Dopo questo traumatico strappo, il Prc accentua ulteriormente la linea dura contro il governo Dini. Paradossalmente, questa linea combacia con quella del Polo delle Libertà.

Nel frattempo, il vertice del Sismi, fatte le dovute valutazioni e pesature, adotta una speculare linea prudenziale e attendista, preceduta dall’immediato avvicendamento alla Prima Divisione. Esce Lo Faso, entra il colonnello Luigi Emilio Masina. Ricorda, sul punto, il generale Lo Faso: «[Alla domanda: perché cedette il passo, perché venne sostituito alla guida della Prima Divisione] Me lo sto chiedendo ancora oggi… Era stabilito… mi sembra che fosse addirittura il 29 (marzo)… Subito dopo un rapporto ai direttori di divisione fui chiamato dal direttore del Servizio che mi disse che mi avrebbe sostituito. Mi disse che dovevo andare a rimettere a posto l’Ufficio Relazioni Esterne che stava andando… Mi disse che mi sostituiva e mi mandava all’URE perché aveva bisogno che l’ufficio riprendesse quota. Naturalmente io ci rimasi molto male… [questo accadde] uno o due giorni prima della consegna del materiale». E alla domanda della Commissione Mitrokhin se avesse sospettato di essere stato sostituito alla vigilia dell’arrivo del materiale Impedian per ragioni di natura politico-istituzionale, Lo Faso rispose: «Vede, io posso anche averci pensato, però farle delle ipotesi non serve a niente. Io non trovavo in questo nessuna risposta. E quindi, voglio dire… ma non credo, non lo so, tutto è possibile e tutto non è possibile, ma onestamente non le so dare una risposta».

Il 10 aprile 1995, il nuovo capo della Prima Divisione, Masina, ordina di attendere la decisione del direttore del Servizio per poter attivare i centri di controspionaggio. L’ordine resterà valido almeno fino al 29 aprile 1998. Come si vede, la paralisi dell’attività di intelligence si protrarrà per oltre tre anni. Un arco di tempo impensabile per il controspionaggio e l’eventuale tutela degli interessi vitali dello Stato.

Da parte sua, il direttore Sergio Siracusa – informato da Masina il 25 giugno 1995 delle novità giunte da Londra e del loro prevedibile impatto politico – decide di aspettare nel dare la dovuta informativa al governo, mentre da Londra prosegue la trasmissione dei report. Il 28 luglio, l’MI6, interpellato dal Sismi, conferma la possibilità da parte italiana di trattare la documentazione da “segretissimo” (UK Top Secret) a “segreto”. La lunga attesa del generale Siracusa va avanti per tutta l’estate e l’autunno. Finalmente, il 7 novembre 1995, il direttore del Sismi si arma di coraggio e va a Palazzo Chigi per informare, verbalmente, il capo del governo. Quel giorno, per la prima volta dal 30 marzo, Dini viene a sapere – formalmente – dell’esistenza dell’operazione Impedian e della delicatezza della questione.

Da quel momento, il governo venne investito del problema. Anche con il passaggio delle consegne tra Dini e Prodi. Sempre, verbalmente, mai con un atto scritto e controfirmato. Il professore di Scandiano, dopo aver vinto le elezioni, assunse la carica di presidente del Consiglio il 17 maggio 1996. In questa vicenda, la prassi di informare e passare le consegne è stata stressata fino al parossismo. Il direttore del Sismi, generale Siracusa, così come aveva fatto con Dini, un certo giorno, seppur controvoglia, sentì l’obbligo di informare il nuovo governo. Era il 25 ottobre del 1996. Quel giorno si presenta al ministro della Difesa, Beniamino Andreatta, e gli illustra la situazione sulla base di un appunto classificato “segretissimo” predisposto dalla Prima Divisione. Ma già si apre un giallo: l’informativa del 26 ottobre del direttore del Sismi per il ministro della Difesa presenta una retrodatazione manoscritta a firma Nino Andreatta (e un’annotazione testuale «Prendo atto e concordo con le proposte del Direttore del Servizio»): 2 ottobre 1996. La nota è contrassegnata dal generale Siracusa, con ripetizione: 2 ottobre 1996. Quando fu realmente messo al corrente Andreatta? Il 2 o il 26 ottobre 1996? Mistero.

Cinque giorni dopo, Siracusa torna alla carica, alza il tiro e si presenta a Palazzo Chigi per riferire al capo del governo, Romano Prodi. Di quell’incontro, agli atti della Commissione Mitrokhin esiste un unico, laconico pezzo di carta: un appunto, predisposto dagli uffici a firma del direttore uscente del Sismi (era già stata decisa la sua sostituzione con l’ammiraglio Gianfranco Battelli) e indirizzato al presidente del Consiglio, sul quale il generale Siracusa scrive in calce di suo pugno: «Lettera non partita. Il Presidente del Consiglio è stato da me informato della questione alla presenza del sottosegretario Micheli. Il 30 ottobre 1996, ore 20.30». Quindi Prodi (così come in precedenza Dini) e il suo sottosegretario alla presidenza del consiglio Enrico Micheli, seppur con notevole ritardo, erano stati messi al corrente dell’operazione britannica denominata Impedian sulla rete spionistica del Kgb. Ma questo, semplice dato, in un Paese contorto e bizantino come il nostro, si trasforma in una commedia o, se volete, in una sceneggiata.

Sei giorni prima della divulgazione del dossier Impedian da parte dell’Ufficio di presidenza della Commissione Stragi, con ormai le conferme non solo dell’esistenza di un ramo tutto italiano della vicenda delle spie del Kgb e del fatto che i governi che si erano succeduti nel tempo tra il 1995 e il 1999 erano stati informati dell’operazione dai nostri servizi segreti, Romano Prodi e Enrico Micheli decidono di uscire allo scoperto.

Il 5 ottobre 1999, alle ore 15.17 l’agenzia Ansa batteva questo comunicato: «In una nota congiunta, Romano Prodi ed Enrico Micheli, rispettivamente presidente del Consiglio e sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel periodo 1996-1997, “escludono nella maniera più categorica di aver avuto notizia diretta o indiretta del dossier Mitrokhin sulle spie del Kgb, di cui si parla in questi giorni su alcuni quotidiani italiani”». Una smentita secca, categorica, lapidaria per nascondere una delle bugie più macroscopiche e maldestre della storia della Repubblica. Una bugia che, in una democrazia normale, avrebbe immediatamente trascinato i responsabili in uno scandalo senza precedenti. Ma in Italia, nonostante il momentaneo clamore e sdegno di alcune forze politiche, la faccenda prese pieghe del tutto diverse. Si misero subito in moto i “pulitori” e i “negazionisti”. Vi fu chi, prepotentemente e a ogni livello, brigò con solerzia per derubricare sbrigativamente il caso, svendendolo ai giornali come una banale, noiosa, vecchia e inutile pratica burocratica.

 

=================== Schede e Documenti

Scheda biografica di Vasilij Mitrokhin

Vasilij Mitrokhin–    Vasilij Nikitich Mitrokhin nasce il 3 marzo 1922 a Yurasovo, distretto di Ryazan, nella Russia centrale, secondo di cinque figli;
–    nel 1941, dopo l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, è inviato in Kazakistan;
–    nell’estate del 1943 partecipa come ufficiale dell’esercito alle operazioni militari in Ucraina;
–    nel 1944 si laurea in diritto; diventa poi un apprezzato avvocato tanto da essere notato dall’Mgb (l’intelligence estera sovietica, che diverrà nel 1954 il Kgb) di cui entrò a far parte nel 1948 (a quel tempo l’Mgb e il Gru, l’intelligence militare, erano stati riuniti nel “Comitato d’informazione”, Ki);
–    in tale veste svolge incarichi di breve durata in Francia, Olanda, Pakistan e Australia (durante i Giochi olimpici);
–    alla fine del 1956, a seguito di sue moderate critiche riguardanti il modo in cui era stato diretto il Kgb, è rimosso dalle operazioni all’estero e destinato all’archivio del Primo direttorato centrale (Fcd); già a quel tempo era un appassionato lettore degli scrittori caduti in disgrazia nell’ultimo periodo dell’età di Stalin (morto nel marzo 1953);
–    analogamente al famoso “rapporto segreto” di Kruscev sui crimini di Stalin (febbraio 1956), l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia nell’agosto 1968 costitusce per Mitrokhin un altro importante momento di svolta della sua “odissea intellettuale” come lui stesso la definì; dalla repressione della “Primavera di Praga”, Mitrokhin trae la conclusione che il sistema sovietico non è riformabile;
–    dopo essere rientrato a Mosca dalla Germania orientale, Mitrokhin comincia a maturare lentamente l’idea di compilare un archivio che documenti le operazioni del Kgb all’estero, come tentavano di fare, tramite la “stampa” clandestina (il “samizdat”) i pochi coraggiosi “dissidenti”, per le attività del Kgb all’interno dell’Unione Sovietica;
–    nel giugno 1972, per una fortunata coincidenza, Mitrokhin diventa il responsabile del trasferimento dell’archivio del Primo direttorato centrale dalla sede centrale del Kgb, la famigerata Lubjanka, alla nuova sede di Jasenevo, alla periferia di Mosca;
–    per 12 anni, fino al 1984, anno del suo pensionamento, alternando il suo lavoro tra queste due sedi, può visionare e riesce a trascrivere a mano una enorme quantità di documenti “top secret” che poi ribatte a macchina e riordina durante i fine settimana nella sua dacia. Il materiale trascritto viene poi sepolto in appositi contenitori sotto la sua dacia; parte della documentazione rimane però in forma manoscritta;
–    alla fine del 1989 la storia subisce una brusca accelerazione: il 9 novembre viene abbatto il muro di Berlino; nell’ottobre 1990 si riunifica la Germania; nell’agosto 1991 a Mosca fallisce il golpe dei restauratori del comunismo; l’11 ottobre è sciolto, almeno formalmente, il Kgb; il Primo direttorato centrale (Fcd) viene trasformato nell’odierno Svr, il servizio informazioni estere russo; nel dicembre 1991 si disgrega l’Unione Sovietica;
–    il 1992 diventa per Mitrokhin l’anno cruciale per tentare di trasferire il suo archivio fuori dalla Russia; in una notte cruciale tra il 23 e il 24 marzo di quell’anno sale su un treno diretto verso una delle repubbliche baltiche da poco indipendenti; reca con sé una valigia nella quale ha accuratamente nascosto una piccola selezione dei suoi appunti. Si reca da prima all’ambasciata degli Stati Uniti, ma il funzionario che lo ricevette non capisce subito con chi ha a che fare; allora Mitrokhin decide di rivolgersi all’ambasciata britannica dove viene accolto da una giovane e disponibile funzionaria che parla un ottimo russo; il primo fondamentale contatto è stabilito. Il 9 aprile si incontra per la prima volta con gli agenti del servizio segreto britannico (il Secret Intelligence Service, Sis) ai quali mostra 2000 pagine dattiloscritte dei suoi appunti. Viene fissato un nuovo incontro per l’11 giugno. Il 7 settembre Mitrokhin giunge per la prima volta a Londra dove è interrogato e pianifica il definitivo abbandono della madre patria e il suo trasferimento in Gran Bretagna. Il 13 ottobre Mitrokhin rientra in Russia. Il 7 novembre 1992, 75° anniversario della Rivoluzione bolscevica (nota come Rivoluzione d’ottobre perché in Russia in quel periodo era ancora in vigore il calendario giuliano) Mitrokhin, con la sua famiglia, ritorna nella capitale baltica e da qui approda in Gran Bretagna, sua nuova patria di adozione;
–    alla fine del 1995 incontra Christopher Andrew, professore di storia moderna e contemporanea all’Università di Cambridge, uno dei massimi esperti sul ruolo svolto da servizi segreti nella storia del XX secolo, col quale collabora alla pubblicazione di un’opera tratta dal suo gigantesco archivio; era una delle condizioni che Mitrokhin aveva posto per la sua collaborazione coi servizi britannici. La stesura richiede quasi quattro anni;
–    l’11 settembre 1999 il quotidiano londinese The Times inizia la pubblicazione di una serie di articoli che anticipano l’uscita del libro di Andrew e Mitrokhin che finalmente è pubblicato, con grande clamore, il 20 settembre col titolo The Mitrokhin Archive. The KGB in Europe and the West, Allen Lane (un’edizione italiana parziale e censurata è stata pubblicata col titolo L’Archivio Mitrokhin. Le attività segrete del KGB in Occidente. Con un’appendice sui documenti dell’Archivio Mitrokhin in Italia, Rizzoli, 1999; rist. 2007);
–    Mitrokhin non riuscirà a vedere la pubblicazione della seconda parte della sua opera, per altro in gran parte terminata al momento della sua morte, avvenuta il 23 gennaio 2004 all’età di quasi 82 anni. Il secondo volume dell’opera di Andrew e Mitrokhin è pubblicato nel 2005 col titolo The Mitrokhin Archive II. The KGB and the World, Allen Lane (trad. it. L’Archivio Mitrokhin. Una storia globale della guerra fredda, Rizzoli, 2005).

Vladimir Bukovskij e Vasilij Mitrokhin “dissidenti-archivisti”

Nella primavera del 1992 – mentre Vasilij Mitrokhin si metteva in contatto per la prima volta con l’ambasciata britannica – Vladimir Bukovskij, un famoso dissidente (liberato il 17 dicembre 1976 dal governo sovietico in seguito a uno scambio con il segretario del partito comunista cileno Luis Corvalan, incarcerato nel 1973 dal generale Pinochet) ebbe la possibilità di accedere agli archivi del Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione Sovietica (Pcus) e riuscì a riprodurre circa 7000 documenti originali. Le modalità di questa operazione, avvenuta sotto gli occhi degli ex membri del comitato centrale del Politburo e dei ministri dell’entourage di Eltsin, incantati dalle nuove tecnologie di cui disponeva Bukovskij (uno scanner collegato a un computer), rasenta una scena di un romanzo di Gogol. I vecchi e i nuovi burocrati non si resero conto che alla fine di ciò che stava facendo veramente l’ex dissidente; ma ormai era troppo tardi, Bukovskij aveva già memorizzato il suo preziosissimo carico di documenti e se ne tornò in Gran Bretagna, come del resto avrebbe fatto lo stesso Mitrokhin.
Quei documenti originali servirono a Bukovskij per scrivere quel libro straordinario e impressionante intitolato Gli archivi segreti di Mosca. L’opera fu tradotta in italiano nel 1999 – lo stesso anno che vide la pubblicazione del primo volume dell’Archivio Mitrokhin. Fu veramente un’iniziativa encomiabile quella condotta a termine dalla casa editrice Spirali che stampò la prima traduzione integrale (almeno fino a quel momento), del monumentale lavoro di Bukovskij. Si è trattato di un significativo evento nell’editoria italiana.
[link al sito http://www.chiweb.net/politica-giustizia/bukovskij.html dove si trova la trascrizione integrale del dibattito, tenutosi a Padova nel 1999, in occasione di una presentazione del volume, presente l’autore]
Decisamente più infelice fu invece il destino editoriale del primo volume dell’Archivio Mitrokhin. Senza fornire alcuna avvertenza, la casa editrice Rizzoli pensò bene di rifilare all’ignaro lettore italiano un’edizione parziale e censurata, eliminando completamente un intero capitolo (il 28° dell’ed. inglese, “The Penetration and Persecution of the Soviet Churches”) e sopprimendo ben 438 note (e naturalmente i testi che a queste note rimandavano). Ad esempio, nel primo capitolo dell’edizione italiana è stato eliminato circa il 17% del testo originale inglese.
[pelizzaro-kgb.pdf]

Un suggestivo frammento eliminato: Mitrokhin tra Bulgakov e Solzenicyn

In una delle pagine eliminate più significative del primo capitolo dell’edizione italiana dell’Archivio Mitrokhin si ricorda come una delle caratteristiche peculiari della grande letteratura scaturita sotto il regime sovietico sia rappresentata dal fatto di essere stata scritta in segreto. Sono citati due esempi: Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov (1891-1940) e gli scritti di Alexandr Solzenicyn (1918-2008) precedenti e successivi alla pubblicazione di Una giornata di Ivan Denisovic (1962).
Bulgakov, poco prima di morire, volle accertarsi per l’ultima volta che il manoscritto del suo romanzo si trovasse ancora nel nascondiglio nel quale era stato occultato. Il romanzo, che circolò in forma clandestina (samizdat), fu pubblicato postumo solo nel 1966-1967, in una versione censurata (circa il 12% del testo) e in parte rimaneggiata. Solo nel 1973 fu stampata la versione completa.
Così come Mitrokhin aveva nascosto le sue annotazioni in un nascondiglio sotto la sua dacia, Solzenicyn aveva occultato i suoi primi minuscoli manoscritti in un nascondiglio del suo giardino. Esauratasi rapidamente l’era della destalinizzazione, che aveva vista appunto la pubblicazione del romanzo breve Una giornata di Ivan Denisovic, Solzenicyn – come Pasternak – fu insignito del premio Nobel nel 1970. In quegli stessi anni fu costretto a ingaggiare una lunga lotta per impedire al Kgb di trovare i manoscritti dell’Arcipelago GULag, fino a che fu espulso dall’Unione Sovietica nel febbraio 1974.
Nelle ultime righe di questo frammento soppresso l’impresa di Mitrokhin è ricollegata idealmente alla tribolata attività dei suoi due famosi concittadini. Nelle ultime due righe eliminate si legge: “Come loro [Bulgakov e Solzenicyn, citati sopra] egli [Mitrokhin] cominciò a raccogliere il suo archivio «per permettere che la verità non fosse dimenticata, e che la posterità potesse un qualche giorno venire a conoscerla»”.
Il “censore-chirurgo” della Rizzoli avrà avuto modo di riflettere a lungo su questa pagina. Sopprimendola si è come assunto il compito, beffardo e paradossale, di assimilare davvero il destino dei manoscritti di Mitrokhin ai manoscritti dei suoi più illustri compatrioti.