op-pecorelli (1)Era il 27 aprile 1978. «Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della Dc che in moltissimi casi scambi sono stati fatti in passato, ovunque, per salvaguardare ostaggi, per salvare vittime innocenti. Ma è tempo di aggiungere che, senza che almeno la D.C. lo ignorasse, anche la libertà (con l’espatrio) in un numero discreto di casi è stata concessa a palestinesi, per parare la grave minaccia di ritorsioni e rappresaglie capaci di arrecare danno rilevante alla comunità. E, si noti, si trattava di minacce serie, temibili, ma non aventi il grado d’immanenza di quelle che oggi ci occupano. Ma allora il principio era stato accettato. La necessità di fare uno strappo alla regola della legalità formale (in cambio c’era l’esilio) era stata riconosciuta. Ci sono testimonianze ineccepibili, che permetterebbero di dire una parola chiarificatrice. E sia ben chiaro che, provvedendo in tal modo, come la necessità comportava, non si intendeva certo mancare di riguardo ai paesi amici interessati, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli e fiduciosi rapporti».

Così scriveva Aldo Moro in una lettera indirizzata alla Direzione centrale della Democrazia cristiana dalla sua cella ricavata dai brigatisti nell’appartamento di via Montalcini nel quartiere della Magliana a Roma. È la prima delle lettere “palestinesi” dell’ex presidente del Consiglio dalla “prigione del popolo” ad essere resa pubblica. Scritta appunto il 27 aprile 1978, fu recapitata in originale dalle Br alla Dc e pubblicata dal quotidiano Il Messaggero 48 ore dopo, il 29 aprile. Dieci giorni dopo, il 9 maggio 1978 (giorno del ritrovamento del cadavere del presidente della Dc in via Michelangelo Caetani), il settimanale OP diretto dal temerario Carmine (detto Mino) Pecorelli usciva con un articolo che può essere tranquillamente considerata la prima rivelazione dell’esistenza di un accordo segreto tra governo italiano e terrorismo palestinese. L’articolo di OP era titolato “Qui il KGB ha diritto di cittadinanza” e, considerato che Pecorelli dirigeva un settimanale, venne pensato, arricchito e stampato quando Moro era ancora in vita (l’articolo in questione, si trova riprodotto in fondo a questa pagina) .

La prima cosa che balza agli occhi di questo articolo è la complessità delle informazioni che arricchiscono e fanno da corollario alla lettera di Moro prigioniero delle Brigate rosse. Una massa di informazioni e dettagli che, rilette oggi, fanno capire quale fosse il livello dei contatti che Pecorelli vantava nella comunità d’intelligence. Non v’è dubbio, infatti, che l’avvocato giornalista molisano ebbe modo di acquisire notizie all’epoca coperte dal segreto visti i contatti e i rapporti che c’erano tra il Sismi e le organizzazioni palestinesi, primo fra tutte il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, fondato da Wadi Haddad e George Habbash. Alcuni dettagli da lui rivelati nell’articolo del 9 maggio sono così precisi e aggiornati che non possono che provenire da fonti riservate di altissimo livello. Basti pensare alla notizia della morte di Haddad a Berlino Est, avvenuta il 28 marzo del 1978 all’età di 51 anni, un mese prima della lettera scritta da Moro che non poteva essere a conoscenza della circostanza poiché Haddad (molto probabilmente avvelenato dal Mossad con una scatola di cioccolatini tossici) era stato ricoverato d’urgenza in una clinica della capitale dell’allora Repubblica democratica tedesca in assoluto segreto, proprio per sfuggire agli agenti israeliani che gli davano la caccia dal giorno del massacro alle Olimpiadi di Monaco (settembre 1972).

Ciò che colpisce è soprattutto la conoscenza da parte di Pecorelli del legame tra l’Fplp e il Kgb. Si legge, infatti, su OP: «Il Fronte è una emanazione diretta del KGB di Mosca». Informazione, questa, all’epoca inedita poi confermata in termini documentali dal dossier Mitrokhin: Haddad venne reclutato dal KGB nel 1972 col nome in codice di “Natsionalist”.

Pecorelli prende spunto dalle considerazioni di Moro a proposito dei palestinesi per collocare quei riferimenti nel contesto della scoperta dei missili Sam-7 Strela a Ostia il 5 settembre 1973, dell’arresto e della successiva liberazione dei cinque “arabi” fermati. È quello che Cossiga trent’anni dopo chiamerà il “lodo Moro”. Pecorelli prosegue poi ricordando l’attentato all’aeroporto di Fiumicino del 17 dicembre 1973, attribuendolo all’ala dura del movimento palestinese e cioè al Fronte rappresentato da George Habbash e dall’appena defunto Wadi Haddad, considerati nemici di Yasser Arafat.

Pecorelli continua con considerazioni di politica internazionale, contrapponendo il tollerante lassismo italiano nel contrastare l’infiltrazione spionistica sovietica con il ben diverso atteggiamento del britannico. Nel settembre del 1971, infatti, le autorità britanniche disposero l’espulsione in una sola volta di 90 cittadini sovietici (che agivano sotto copertura diplomatica) mentre per altri 15 in quel momento all’estero venne impedito di rientrare nel Regno Unito.

L’articolo di Pecorelli è una micidiale sequenza di argomenti tabù per la storia della Repubblica. Il tema del “lodo Moro” – dopo l’assassinio del direttore di OP – è stato rimosso dal dibattito politico e dalle cronache giornalistiche. È scomparso anche dalla pubblicistica e dalle ricostruzioni storiche del caso Moro. Un esempio eclatante è il libro antologico Le idi di marzo. Il delitto Moro secondo Mino Pecorelli di Sergio Flamigni (Kaos, 2006). L’articolo di OP del 9 maggio 1978, forse uno dei più importanti pubblicati dal settimanale e che qui di seguito trascriviamo, manca infatti all’appello. Non lo si ritrova tra le pagine 297-304, dove avrebbe dovuto essere tra gli articoli del 9 maggio 1978. E così, poiché OP è un settimanale di problematica reperibilità, l’articolo di Pecorelli diventa praticamente sconosciuto. Eppure nel 2005 e nel 2006 si parlò molto del “lodo Moro”, soprattutto dopo il deposito in Commissione Mitrokhin (il 23 febbraio 2006) della Relazione “sul gruppo Separat e il contesto dell’attentato del 2 agosto 1980”. In quel documento, infatti, che poi è servito per far riaprire le indagini sulla strage di Bologna, c’è un intero capitolo, il 5°, intitolato “L’accordo” e dedicato al patto tra l’autorità italiana e organizzazioni terroristiche palestinesi nel quale ben si spiega la natura di quelle negoziazioni segrete e l’attivismo di Moro prigioniero delle Br per far sbloccare la situazione a favore di uno scambio, facendo leva sullo stesso principio di opportunità politica che aveva puntellato il “lodo” per circa sei anni, sin dal 1972. Del resto, i nomi di George Habbash e Wadi Haddad sono stati fatti sparire anche dall’indice dei nomi della cosiddetta edizione italiana del primo volume dell’Archivio Mitrokhin di Christopher Andrew e Vasili Mitrokhin, (Rizzoli, 1999).

Ebbene, Pecorelli sapeva troppe cose e le aveva sapute troppo presto… la sera del 20 marzo del 1979, il direttore di OP viene assassinato con colpi di pistola automatica sparati quasi a bruciapelo. Pecorelli aveva da poco lasciato la redazione del settimanale insieme alla segretaria e compagna Franca Mangiavacca e al giornalista Paolo Patrizi. Un omicidio rimasto senza colpevoli e soprattutto senza mandanti. Accusati e processati dalla Corte d’Assise di Perugia per l’omicidio di Pecorelli, Giulio Andreotti, Claudio Vitalone, Gaetano Badalamenti, Pippo Calò, Massimo Carminati e altri sono stati assolti il 30 ottobre 2003 dalla Cassazione che ha annullato la condanna inflitta in Appello ai soli Andreotti e Badalamenti.

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«Qui il KGB ha diritto di cittadinanza», OP, 9 maggio 1978

Lo stato italiano ha progressivamente abdicato, a favore del nulla. Il vuoto di potere è stato riempito da un superpotere occulto. Prendiamo il caso Moro. In una lettera il presidente della dc, invitando quelli del suo partito a trattare con i terroristi, ha fatto un preciso riferimento all’espatrio a suo tempo concesso ad un nucleo di terroristi palestinesi. L’accenno di Moro ci consente di rivelare alcuni retroscena.
La vera ragione per cui furono rispediti in patria i palestinesi sorpresi a Fiumicino mentre si accingevano a far saltare in aria un aereo della “El Al” fu quella di evitare che essi (o loro complici) compissero una strage. Dunque, dice Moro, motivi di opportunità e considerazioni di carattere umanitario, consigliarono in quell’occasione il governo italiano di sacrificare la forma per venire a patti con i terroristi. Perché oggi non fare altrettanto?
Ma non è questo che oggi ci interessa. Ci interessa invece dimostrare come pulluli di spie il suolo della penisola, come nulla in passato sia stato fatto per limitare o circoscrivere questo pericolo. Oggi piangere sul latte versato, è tardi. Ma continuiamo nel racconto. All’epoca della scampata strage di Fiumicino fu scritto che i terroristi palestinesi erano uomini di Arafat. Il leader dell’Olp intende restituire una patria ai palestinesi attraverso negoziati internazionali, cioè giocando su occasionali contraddizioni tra le superpotenze. Rivale di Arafat, giudicato troppo «autonomo», con l’unico di tenere perennemente aperta la questione araba, è il Fronte del Rifiuto. Guidato da George Habbash e da Wadi Addad [Haddad] (recentemente scomparso a Berlino Est, sua seconda patria) il Fronte è una emanazione diretta del KGB di Mosca.
Al riguardo si può dire che le formazioni paramilitari filosovietiche operanti in Europa e in Medio Oriente, fanno capo a due scuole diverse. La scuola di Karlovy Vary, in Cecoslovacchia (dove furono addestrati i Gap di Feltrinelli e le Br di Curcio) e quella di Berlino Est, specializzata nella formazione di personale da destinare allo scacchiere arabo. Gli unici terroristi “europei” addestrati in Germania, sono stati quelli della Baader Meinhof, nei quali si sente l’influsso “arabo”.
Ma ecco il punto: come è noto, dopo il tentativo sventato dai nostri servizi, i terroristi arabi riuscirono nell’impresa a provocare una strage nell’aeroporto di Fiumicino. Furono 34 morti. Come non pensare che la seconda volta siano stati i rivali di Arafat, i palestinesi di Habbash e di Addad [Haddad] a seminare in Italia la morte? Se ciò è vero, come è probabile, significa che l’Italia pullula di terroristi sovietici. Come giocheranno le loro carte ora il sequestro Moro ha messo il paese al buio?
L’Urss è alle strette. Ha risorse di petrolio ancora per 10 anni. Entro i quali deve trovare nuove fonti energetiche. Ecco allora spiegate certe accelerazioni nel processo di destabilizzazione dell’Africa, dell’Asia e | del Medio Oriente. Solo per restare ai tempi più recenti, colpo di stato filomoscovita in Afghanistan; guerra di conquista nell’Ogaden; Medio Oriente in crescente guerriglia; Grecia e Turchia armi al piede per via di Cipro; Spagna e Portogallo tagliate fuori da motivi logistici ed interni… La Germania ovest, roccaforte europea, accerchiata su tre fronti. Il Mediterraneo diventato un mare russo, l’Asia tagliata in due, l’Africa anche…
La Russia ha fame di petrolio e di uranio. La Russia ha fretta e preme per promuovere crisi nei paesi più deboli suoi limitrofi. Del resto la Russia sta seguendo questa accentuata linea di espansionismo fin dal 1968. Il suo piano fu scoperto nel ’71 dall’intelligence di Londra. Formalmente erano i tempi della grande distensione Mosca/Washington, Nixon stava per recarsi in visita in Unione Sovietica, quando all’improvviso l’Inghilterra gelò tutte le aspettative diplomatiche espatriando in una sola notte ben 105 spie sovietiche (in realtà furono firmati 110 mandati di espatrio ma all’atto della consegna 5 russi risultarono in licenza a Mosca).
110 agenti segreti esperti nell’addestramento alla guerriglia e nella sollevazione di masse infiltrati nella sola Londra, rivelano quanto ambiziosi fossero i piani di Breznev. Scioperi, guerriglia, attentati, sabotaggi, il sistema democratico reso inabitabile. Ciò che era stato pensato per l’Inghilterra, è successo in Italia. Forse perché Londra cacciò a tempo debito le spie russe. Giulio Andreotti invece, nonostante nel 1971 gli fossero state segnalate dai servizi, non volle fare altrettanto.
Oggi perché non vuole trattare con i terroristi?