la ringraziamo della sua articolata risposta (http://www.fascinazione.info/…) nella quale, tuttavia, brilla l’uso strumentale di un certo “metodo” nell’esporre i fatti sostituendoli con prese di posizione, pareri e commenti personali. Nelle pieghe dei suoi vari interventi emerge con forza, invece, una sola volontà e un solo obiettivo: difendere la reputazione, la “purezza” del disegno, delle finalità e della storia delle Brigate rosse, organizzazione per la quale lei ha ricoperto “incarichi” di rilievo, nonché difendere l’operato della sua ex moglie, la terrorista tedesca Christa-Margot Fröhlich, con la quale – come ci dice – aveva frequenti contatti telefonici in carcere.

Nessun nuovo elemento, nessun dato oggettivo, nessun riscontro alle sue lapidarie e, in alcuni casi, infondate affermazioni.

Sono proprio il suo ingombrante passato di appartenente alle Br e il suo legame con una donna che andava in giro per l’Europa con valigie cariche di esplosivo (la Fröhlich, arrestata a Fiumicino il 18 giugno 1982. Sul punto, un rapporto della Stasi, la polizia segreta dell’allora Ddr, affermava che l’ordigno trasportato dalla sua ex moglie doveva servire a compiere un altro attentato contro la SNCF. In altri documenti della Stasi veniva citato il coinvolgimento della Fröhlich anche nell’attentato contro il treno “Le Capitole” del 29 marzo 1982. La tedesca avrebbe, secondo la polizia segreta tedesco-orientale, piazzato gli esplosivi a bordo del treno per ordine diretto di Carlos) a renderla ai nostri occhi un interlocutore inadatto a una seria e serena discussione su una tragedia come la strage di Bologna. A maggior ragione perché non apporta alla vicenda nessun elemento di cui abbia conoscenza diretta che confuti quanto emerso in atti e in sede giudiziaria.

Ciò che dovevamo rilevare in merito alle sue affermazioni sull’attentato del 2 agosto 1980 e, in particolare, sulla comparazione e composizione dell’ordigno utilizzato lo abbiamo scritto, nero su bianco, in un nostro articolo pubblicato sul settimanale di LiberoReporter “WEEK” nel numero 5 del 27 aprile scorso. Non abbiamo null’altro da aggiungere, anche perché non c’è altro da aggiungere su questo tema, vista l’abbondante massa di inesattezze (o falsità, a seconda del punto di vista) che ha prodotto nei suoi interventi. E questo lo diciamo per sgombrare immediatamente il campo dalla facile accusa di volerci sottrarre al contraddittorio. Tutt’altro.

Stupisce, invece, nel suo scritto un dato su tutti: la velata minaccia di eventuali querele per ciò che abbiamo illustrato, scritto e documentato nel nostro libro “Dossier strage di Bologna”. Stupisce questo passaggio perché si evince come i principi dello Stato di diritto lei sembra – oggi – in qualche modo conoscerli e riconoscerli. Stupisce perché – nell’estrema sintesi del suo ragionamento – si afferma (giustamente) il principio secondo il quale nello Stato di diritto tutti possono esprimere liberamente e democraticamente il proprio pensiero e i propri convincimenti. Questo vale anche per persone che si sono macchiate di gravi reati e delitti, come nel suo caso. Chiunque, anche un militante compromesso con organizzazioni terroristiche coinvolte in omicidi, sequestri e attentati, può esercitare queste libertà e, nel caso, reclamare giustizia chiedendo il rispetto dei diritti fondamentali della persona.

Tutto questo è molto interessante se paragonato con quanto l’organizzazione terroristica nella quale ha militato (le Brigate rosse) professava e scriveva nei vari documenti, nei comunicati e nelle risoluzioni strategiche in cui si ripeteva – in modo paranoico – la necessità di distruzione dello Stato di diritto, sostituendolo con la dittatura del proletariato. Non possiamo dimenticare i “processi” e le “condanne” a morte che i tribunaletti del popolo hanno emanato e le vittime che la vostra organizzazione ha lasciato in terra nel nome di queste aberranti forme di ideologia. Anche a distanza di anni, fanno rabbrividire quelle modalità di azione politica. Lei e tanti altri suoi compagni di lotta non avete dubitato nel praticare l’omicidio, la soppressione dell’altro, l’eliminazione fisica di persone solo perché si ponevano in una posizione antagonista al vostro disegno o solo perché non la pensavano come voi. Ciò non può essere dimenticato e questo aspetto rappresenta un discrimine insuperabile per noi e per il nostro modo di vivere, contrario a ogni forma di violenza.

Tante, troppe le vittime colpevoli di aver – secondo voi – ostacolato l’affermazione dei vostri obiettivi politico-ideologici: dal presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino Fulvio Croce al giornalista de “La Stampa” Carlo Casalegno, dai magistrati Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione agli agenti di custodia, di carabinieri e di polizia Lorenzo Cotugno, Francesco Di Cataldo, Rosario Berardi e Antonio Esposito, dagli agenti di scorta Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino e Domenico Ricci ad Aldo Moro, dal sindacalista Guido Rossa al professore Vittorio Bachelet, dal colonnello del carabinieri Antonio Varisco al generale dell’Aeronautica Licio Giorgieri, dall’ingegnere del Pretrolchinico Montedison di Porto Marghera Giuseppe Tagliercio all’ex sindaco di Firenze Lando Conti, dal senatore Roberto Ruffilli al giuslavorista Ezio Tarantelli fino agli ultimi omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi. Solo per citarne alcuni, ma l’elenco è ben più lungo (fra le vittime delle Brigate rosse c’è anche una donna: l’operatrice carceraria Germana Stefanini, rapita, processata e assassinata). Senza contare veri e propri massacri come quelli compiuti a piazza Nicosia e in via Prati di Papa a Roma.

E per quanto riguarda i legami con l’Olp come non ricordare l’assassinio del generale americano Ray Leamon Hunt, comandante della Sinai Multinational Force and Observer Group, compiuto dalle Brigate rosse su mandato della dirigenza palestinese.

Come in una tragica nemesi, oggi è proprio quello Stato che la sua organizzazione terroristica voleva abbattere e sostituire con una qualche forma di dittatura del proletariato a darle la possibilità di esprimere il suo libero pensiero e manifestare i suoi convincimenti.

Per concludere, visto che lei, come quadro della colonna romana delle Brigate rosse, è stato uno dei protagonisti degli anni di piombo, condannato all’ergastolo nel processo Moro Ter, invece che pontificare su altre tragedie della storia italiana del dopoguerra (come la strage di Bologna), potrebbe fornire un serio contributo alla discussione, rispondendo a queste dieci domande alle quali – molti italiani, tante famiglie di vittime del terrorismo – attendono ancora una risposta:

1. Perché è stato condannato all’ergastolo al processo Moro Ter?

2. Quale fu il suo ruolo nella colonna romana delle Brigate rosse?

3. Chi partecipò agli interrogatori dell’on. Aldo Moro durante il suo sequestro da parte delle Br?

4. Perché la colonna romana aveva in affitto una base collocata in uno stabile di via Gradoli a Roma, di proprietà di una galassia di società collegate ai nostri servizi di sicurezza?

5. Dov’è conservata la copia originale del memoriale redatto sulla base degli interrogatori di Moro?

6. Perché non è mai stato ritrovato l’originale di questo importante documento?

7. Perché è stato trucidato in diretta Roberto Peci, fratello di Patrizio, il quale aveva iniziato a raccontare i retroscena dei collegamenti internazionali e del traffico di armi con la resistenza palestinese?

8. Perché si negano i rapporti e i collegamenti di Antonio Savasta con il gruppo Carlos?

9. Cosa ci può dire riguardo ai legami di Giovanni Senzani con l’Olp che sfociarono nella partecipazione di quest’ultimo ad una riunione a Parigi, a fine dicembre 1981, alla quale era presente fra gli altri anche Abu Ayad, capo sei servizi segreti di sicurezza palestinesi? Gli appunti manoscritti presi da Senzani durante quella riunione gli furono ritrovati in tasca al momento del suo arresto il 9 gennaio 1982.

10. Ha mai pensato di chiedere perdono per le sue azioni e in generale per quelle dell’organizzazione in cui ha militato?

Nella speranza che questo possa contribuire a ricostruire una parte di quella verità che ancora stenta ad essere affermata.

Gian Paolo Pelizzaro
François de Quengo de Tonquedéc
Gabriele Paradisi
Enrico Tagliaferro