I familiari di Graziella De Palo hanno scelto come loro avvocato penale l’ex giudice.

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da sx a dx: Carlo Palermo e Giancarlo De Palo tra un ritratto raffigurante Graziella De Palo

L’avvocato Carlo Palermo, l’ex giudice che con la sua inchiesta di Trento è stato il primo a far luce sui traffici di armi tra Italia e Medio Oriente, seguirà il caso di Graziella De Palo, la giornalista “scomparsa” a Beirut, in Libano, il 2 settembre 1980 con il suo collega Italo Toni. I familiari di Graziella dopo 36 anni attendono ancora delle risposte sulla fine della loro congiunta, di cui non sono ancora riusciti ad avere nemmeno i resti. Lo stesso vale per Italo. Alcuni documenti relativi alla vicenda sono ancora coperti dal segreto di Stato.

In particolare, lo è tutto quello che riguarda i rapporti e gli accordi tra Italia e organizzazioni palestinesi: il presidente del COPASIR, Giacomo Stucchi, nel settembre 2014, ha dichiarato alla famiglia che la possibilità di svelare queste vicende fa tremare anche il governo Renzi.

Un compito difficile, dunque, quello di Carlo Palermo, che ha già pagato tanto sia nella sua carriera di giudice sia con la sua vita personale l’impegno nel ricostruire la Verità, di cui è testimonianza profetica il suo saggio sul terrorismo di matrice islamica Il quarto livello, la cui prima edizione, degli Editori Riuniti, risale all’ormai lontano 1996. Nel 1985, mentre stava lavorando in qualità di giudice alla sua inchiesta sul traffico d’armi, egli aveva subìto un attentato a Pizzolungo, al quale scampò per miracolo, ma nel quale persero la vita una madre e i suoi due figli.

Anche Graziella De Palo indagava sul traffico d’armi in quegli stessi anni, e, proprio per seguire una pista su questi traffici, nel 1980 si era recata in Libano insieme al collega Italo Toni. Adesso i destini dell’ex giudice e della giornalista “scomparsa” si intrecciano ancora di più e Carlo Palermo avrà il difficile compito di cercare di svelare una Verità occultata dallo Stato italiano per quasi 40 anni.

Avvocato, il segreto di Stato permane ancora su alcuni documenti e la vicenda della scomparsa di Graziella De Palo attende ancora oggi una risposta. Si tratta del doveroso prevalere dei nostri superiori interessi nazionali o dell’appoggio a un gravissimo depistaggio, che vede accusati gli ignari cristiani oltranzisti libanesi a scapito dei veri assassini palestinesi, i cui nomi erano stati addirittura comunicati all’ambasciatore italiano a Beirut, Stefano D’Andrea, dai Servizi libanesi?

“Non sono in grado di esprimere valutazioni su quello che sarebbe stato l’esito delle indagini ove fosse rimasto D’Andrea. Ritengo che tutti i nostri rappresentanti in Libano, a quell’epoca, siano rimasti, a vario titolo, coinvolti nella vicenda della scomparsa dei due giornalisti, e, prima ancora, nei complessi rapporti tra  i nostri apparati governativi e “informativi” con quelli locali. Il “vario titolo”, per tutti, non è stato accertato in quanto nel suo complesso e nei suoi particolari, è venuta a mancare una adeguata ricostruzione dei fatti e della verità.”

All’epoca dei fatti, l’entità statale del piccolo Libano si trovava, nella zona nella quale è avvenuto il delitto, sotto il mandato siriano dei due feroci criminali di Stato, i fratelli Afez e Rifat Al-Assad. Il giudice Armati, che si occupò della scomparsa di Graziella, ipotizzò nella sentenza finale del processo un coinvolgimento siriano. È d’accordo? 

“Personalmente ritengo che numerosi personaggi vicini al regime siriano siano ricollegabili alla vicenda in quanto già da lungo tempo vicini ai gruppi più oltranzisti della Olp e implicati in vari rapporti, quantomeno oscuri, ruotanti attorno a traffici internazionali di armi nonché a collegamenti con il terrorismo internazionale. A tutto ciò non erano estranei anche i nostri gruppi terroristici. 

Attorno a questi rapporti i due giornalisti scrissero pubblicamente, attorno ad essi sono individuabili le ragioni del loro viaggio, attorno ad essi con ogni probabilità ruotarono anche i fatti che provocarono la loro eliminazione”.

Come giudica la decisione del Segretario generale del Ministero degli Esteri di allora, Francesco Malfatti di Montetretto, di estromettere dalle indagini l’ambasciatore italiano a Beirut – che pure aveva il dovere istitutivo di tutelare la vita dei nostri due connazionali e aveva tempestivamente comunicato la verità della quale era venuto a conoscenza – e di farla affidare attraverso il CESIS, organismo del quale era membro di diritto, al SISMI?

“La decisione di estromettere dalle indagini l’ambasciata credo abbia avuto influenza notevole per i diversi canali che questa era in grado di coltivare. Considerati i depistaggi riscontrati in occasione degli accertamenti avvenuti nel primo processo, la mancata attuazione di un percorso alternativo può avere svolto addirittura un ruolo su quanto di fatto avvenne: l’occultamento della verità e delle responsabilità rinvenibili nella contestualità dei fatti.”

Avvocato, da dove partirà per fare luce su una vicenda che negli anni si è complicata e resta così oscura ancora oggi?

 “Gli strumenti per far luce sulla vicenda non possono che partire dalla lettura degli atti del primo processo, quello del giudice Giancarlo Armati, integrati da quelli di recente desecretati. A questi dovrebbero tuttavia aggiungersi necessariamente anche quelli sui quali, quasi incredibilmente, pare persista una volontà di secretazione che appare incomprensibile e inammissibile sia in ragione della presenza, nel caso, di attività riconosciute di carattere terroristico -che di per sé dovrebbero non consentire segreti di Stato –  sia in considerazione della nota presenza di pubbliche declamazioni di volontà politiche di desecretazione non seguite in concreto dal reale mantenimento di tali impegni e promesse. Il che può apparire non accettabile dalle parti offese in considerazione della interminabile sofferenza conseguente al mancato accertamento della verità”.

 

Giancarlo De Palo
Monica Mistretta